Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Post office di Charles Bukowski. Il volume è pubblicato in Italia da TEA con un prezzo di copertina di 5,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Post office: trama del libro
“Non potevo fare a meno di pensare. Dio mio, questi postini, non fanno altro che infilare le loro lettere nelle cassette e scopare. Questo è il lavoro che fa per me. oh. sì sì sì.” Ma il paradiso sognato da Henry Chinaski, il leggendario e popolare alter ego di Bukowski, viene brutalmente smentito dalla realtà quando, assunto dall’amministrazione postale americana, si ritrova con la sacca di cuoio sulle spalle a girare in lungo e in largo attraverso la squallida periferia di Los Angeles. Profondamente deluso dalla monotona routine quotidiana e insofferente agli sterili e rigidi regolamenti della macchina burocratica. Chinaski si consola affogando le sue frustrazioni nell’alcol e trovando rifugio tra le morbide braccia di donne più sole di lui, come la calda e accogliente Betty, l’insaziabile e vogliosa texana Joyce e Fay, la contestatrice hippy che gli darà una figlia prima di sparire in una remota comunità. Tra clamorose sbornie, azzardate puntate all’ippodromo e “movimentate” nottate in motel sgangherati, Chinaski riuscirà a “guadagnarsi” il licenziamento e a farsi riassumere, ma solo per licenziarsi definitivamente, inorridito e disgustato da quell’immenso ufficio postale che, poi, è la vita stessa.
In ebook Post office (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 5,99 euro.
Cominciò per errore.
Eravamo sotto Natale e venni a sapere dall’ubriacone della collina, che ripeteva lo stesso trucchetto ogni anno, che assumevano praticamente chiunque, così ci andai anch’io e prima che me ne rendessi conto eccomi con una borsa di cuoio sulla spalla ad andare su e giù con tutta calma. Che lavoro, pensai. Facile! Ti davano soltanto un paio di isolati e, se riuscivi a finire, il postino fisso ti affibbiava un altro isolato dove fare le consegne, o magari rientravi in sede ed era il capo ad affidartene un altro, ma ti prendevi tutto il tempo e ficcavi con calma i biglietti d’auguri natalizi nelle cassette delle lettere.
Penso che fosse il mio secondo giorno come postino temporaneo per il Natale quando una grassona uscì di casa e mi seguì mentre consegnavo le lettere. Quando dico grassona intendo dire che aveva il culo grosso e le tette grosse ed era grassoccia in tutti i punti giusti. Lei sembrava un po’ folle ma io continuavo a guardarle il corpo e non me ne fregava niente.
Parlava e parlava e parlava. Poi sputò il rospo. Il marito era un ufficiale su un’isola lontana e lei si sentiva sola, capisci, e viveva sola soletta in una casetta lì dietro.
«Quale casetta?» chiesi.
Scrisse l’indirizzo su un foglio.
«Sono solo anch’io» dissi, «passerò da te stasera per parlare un po’.»
Io ero accasato ma quella con cui stavo era fuori il più delle volte, da qualche parte, e mi sentivo solo, oh sì. Mi sentivo solo per quel bel culone che mi stava lì di fianco.
«Va bene» disse lei, «ci vediamo stasera.»
Era una tipa niente male, era una bella scopata ma come tutte le belle scopate dopo la terza o la quarta notte cominciai a perdere interesse e non ci tornai più.
Ma non potevo trattenermi dal pensare, dio, l’unica attività dei postini è di ficcare dentro le lettere e l’uccello. Questo è il lavoro che fa per me, oh sì sì sì.
2.
Quindi feci l’esame, lo passai, feci la visita medica, la passai, ed eccomi lì… postino sostituto. L’inizio fu facile. Mi mandarono alla West Avon Station ed era proprio come a Natale, solo che non mi scopai nessuna. Ogni giorno speravo di farmi una scopata ma non succedeva. Però il capo era un tipo tranquillo e ciondolavo in giro facendo un isolato qua e là. Non avevo neppure la divisa, solo un berretto. Indossavo i miei abiti di tutti i giorni. L’andazzo con cui io e la mia donna Betty sbevazzavamo ci lasciava ben pochi soldi per i vestiti.
Poi mi trasferirono alla Oakford Station.
Il capo era un tizio con il collo taurino, un certo Jonstone. Lì serviva personale e capii il perché. A Jonstone piaceva indossare camicie rosso scuro… il che significava pericolo e sangue. C’erano sette sostituti – Tom Moto, Nick Pellegrini, Herman Stratford, Rosey Anderson, Bobby Hansen, Harold Wiley e io, Henry Chinaski. Bisognava presentarsi alle cinque del mattino e io ero l’unico ubriacone. Bevevo sempre oltre la mezzanotte, ed eccoci lì ad aspettare, alle cinque di mattina, ad aspettare di timbrare, ad aspettare che qualche postino fisso chiamasse per darsi malato. Di solito quelli fissi si davano malati quando pioveva o quando c’era un’ondata di caldo o subito dopo un giorno di festa quando il carico della posta era doppio.
C’erano quaranta o cinquanta itinerari diversi, forse di più, ogni casellario era differente, non riuscivi mai a impararli, dovevi avere smistato tutta la tua posta prima delle otto per le consegne con i furgoni, e Jonstone non voleva sentire ragioni. I sostituti facevano il giro di consegne delle riviste agli angoli delle strade, saltavano il pranzo, e morivano di fatica lungo il percorso. Jonstone ci faceva cominciare mezz’ora dopo a smistare la posta nei casellari per gli itinerari assegnatici – ruotando sulla sua poltrona girevole con addosso la sua camicia rossa – «Chinaski, ti assegno l’itinerario 539!» Cominciavamo mezz’ora dopo ma si aspettavano che smistassimo e consegnassimo la posta e che fossimo di ritorno in orario. E un paio di volte a settimana, già prostrati, stanchi morti e fottuti dovevamo anche fare la raccolta notturna, e i tempi da rispettare erano impossibili – il furgone non andava così veloce. Bisognava saltare quattro o cinque cassette il primo giro e la volta successiva te le ritrovavi stracolme di posta e tu puzzavi, con il sudore che colava mentre cercavi di ficcare tutto nei sacchi. Altro che fottere in giro. L’unico a fotterci era Jonstone.
3.
Erano gli stessi sostituti a rendere possibile la figura di Jonstone ubbidendo ai suoi ordini impossibili. Non capivo come un uomo della sua acclarata crudeltà potesse avere una simile posizione. Quelli fissi se ne sbattevano, il sindacalista non valeva un fico secco, così buttai giù un rapporto di trenta pagine durante una giornata libera, ne spedii una copia a Jonstone e l’altra la portai personalmente al Federal Building. L’impiegato mi disse di aspettare. E io aspettai e aspettai e aspettai. Aspettai un’ora e mezzo, poi mi accompagnarono da un tappetto con i capelli grigi e gli occhi color cenere di sigaretta. Non mi fece neppure sedere. Si mise a urlarmi contro non appena varcai la porta.
«Sei un furbastro figlio di puttana, vero?»
«Preferirei non mi insultasse, signore!»
«Furbastro figlio di puttana, sei uno dei classici figli di puttana con un certo vocabolario e ti piace sbatterlo sotto il naso alla gente!»
Sventolò verso di me quello che avevo scritto. E urlò: «IL SIGNOR JONSTONE È UN BRAV’UOMO!»
«Non dica sciocchezze. È chiaramente un sadico» dissi.
«Da quanto lavora alle Poste?»
«Da tre settimane.»
«IL SIGNOR JONSTONE LAVORA ALLE POSTE DA TRENT’ANNI!»
«E questo cosa c’entra?»
«Glielo ripeto, IL SIGNOR JONSTONE È UN BRAV’UOMO!»
Credo che il poveretto volesse accopparmi. Lui e Jonstone probabilmente erano andati a letto insieme.
«E va bene» dissi, «Jonstone è un brav’uomo. Si dimentichi di tutta ’sta faccenda del cazzo.» Poi uscii dall’ufficio e mi presi un giorno di ferie. Non retribuito, naturalmente.
4.
Quando Jonstone mi rivide alle cinque del mattino girò sulla sua poltrona e la sua faccia era dello stesso colore della camicia. Ma non disse nulla. A me non fregava niente. Ero stato in piedi fino alle due a bere e a scopare con Betty. Mi appoggiai allo schienale e chiusi gli occhi.
Alle sette Jonstone girò di nuovo sulla poltrona. Tutti gli altri sostituti stavano facendo qualcosa o erano stati mandati in altri uffici dove c’era bisogno di personale.
«È tutto, Chinaski. Non c’è nulla per te oggi.»
Osservò la mia faccia. Cazzo, non me ne fregava niente. L’unica cosa che volevo fare era tornarmene a letto e dormire un po’.
«Okay, Stone» dissi. Tra i postini era soprannominato «the Stone», La Pietra, ma io ero l’unico che si permetteva di chiamarlo così.
Uscii dall’ufficio, la mia vecchia macchina si mise in moto e ben presto fui di nuovo a letto con Betty.
«Oh, Hank! Che bello!»
«Piccola, puoi dirlo forte, cazzo!» Mi spinsi contro al suo culo caldo e dopo quarantacinque secondi ero già addormentato secco.
5.
Ma la mattina dopo successe la stessa cosa.
«È tutto, Chinaski. Non c’è nulla per te oggi.»
Andò avanti così per una settimana. Rimasi lì seduto tutte le mattine dalle cinque alle sette senza ricevere un soldo. Tolsero persino il mio nome dal servizio di raccolta notturno.
Poi Bobby Hansen, uno dei sostituti più vecchi – in termini di anzianità – mi disse: «L’ha fatto anche a me una volta. Ha cercato di prendermi per fame».
«Non me ne frega. Non gli lecco il culo. Mollo tutto o muoio di fame, o l’una o l’altra.»
«Non sei obbligato. Presentati alla Prell Station ogni sera. Di’ al capo che non ti danno da lavorare e loro ti faranno stare lì come sostituto delle consegne speciali.»
«Posso farlo? Non c’è nessuna regola che lo impedisce?»
«Mi arrivava l’assegno ogni due settimane» disse lui.
«Grazie, Bobby.»
6.
Non mi ricordo l’orario d’inizio. Le sei o le sette di sera, una cosa così.
Bisognava solo starsene seduti con una manciata di lettere, prendere una cartina stradale e studiare il percorso. Era facile. Tutti gli autisti ci mettevano molto più tempo del dovuto a studiare il percorso e anch’io ci marciavo come loro. Partivo quando se ne andavano gli altri e tornavo quando tornavano tutti.
Poi si faceva un altro giro di consegne. C’era tempo per sedersi in qualche tavola calda per un caffè, per leggere il giornale, per sentirsi rispettabili. Si aveva perfino il tempo per pranzare. Ogni volta che volevo una giornata libera, me la prendevo. In un percorso c’era una ragazzona giovane che aveva una consegna speciale ogni sera. Confezionava abitini sexy e sottovesti e li indossava anche. Correvi su per quella scala ripida verso le undici di sera, suonavi il campanello e le consegnavi la posta speciale. Lei si lasciava sfuggire un piccolo gemito tipo, «OOOOOOOOOOOOOOhhhhhhhhhHHHH!» e mi si avvicinava molto, molto, e non mi lasciava andare via mentre leggeva la lettera e poi diceva: «OOOOOoooh, buonanotte, TI ringrazio!»
«Sì, signora» dicevo, trotterellando via con l’uccello come quello di un toro.
Ma quell’andazzo non poteva durare. Arrivò per posta dopo quasi una settimana e mezzo di libertà.
Gentile signor Chinaski,
deve presentarsi immediatamente
all’Oakford Station. Qualora si rifiutasse sarà
passibile di un’azione disciplinare o
di licenziamento.
A.E. Jonstone, Dir., Oakford Station.
Eccomi di nuovo messo in croce.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore statunitense rimandiamo i lettori alla nostra pagina dedicata a Charles Bukowski.
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