Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Al primo sguardo di Danielle Steel, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 13,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
Al primo sguardo: trama del libro
Infaticabile e dotata di un istinto infallibile, Timmie O’Neill sembra possedere il tocco del re Mida e negli anni ha saputo costruire un vero e proprio impero di moda da zero. Oggi è una stilista di fama mondiale, acclamata da tutti come icona di stile ed eleganza. Ma dietro ai suoi grandi occhi verdi nasconde molte, troppe ferite. La sua vita personale infatti non ha tenuto il passo dei successi professionali. E dopo la tragica morte del figlio, il naufragio del suo matrimonio e una serie di relazioni sbagliate, Timmie si è rifugiata ogni giorno di più nel lavoro. Sempre pronta a rischiare negli affari, non ha mai fatto altrettanto con il suo cuore. Finché l’incontro con Jean-Charles, affascinante medico francese, la sorprende tra le magiche luci di Parigi facendole scoprire che, per quanto cerchiamo di allontanarla, nessuno di noi è immune alla magia dell’amore. Quello vero. “Al primo sguardo” è un romanzo sull’amore nei suoi molteplici aspetti, e su quella paura di perdere il controllo e di soffrire che spesso fa alzare impenetrabili mura verso gli altri, e ci impedisce di vivere davvero. Eppure, come ci ricorda Danielle Steel, nella vita bisogna saper osare e cogliere il momento. Perché, a volte, basta un solo istante per cambiare una vita.
Entrata in affari a venticinque anni, adesso che ne aveva quarantotto comandava un impero che includeva l’abbigliamento per bambini e accessori di design per la casa, dalla carta da parati ai tessuti. Una decina d’anni prima si era data invece alla produzione di cosmetici e profumi che avevano conquistato clienti in tutto il mondo. Timmie O’Neill era sinonimo di moda, stile e successo internazionale.
Il suo marchio, Timmie O, dominava il mercato da più di vent’anni. E adesso la sua fondatrice era diretta a Parigi per mostrare le ultime creazioni che presto avrebbero invaso anche i mercati europei. I suoi colleghi americani si dicevano sfiniti già durante la frenetica fashion week newyorkese, e pensare che loro non dovevano affrontare le tappe frenetiche in Europa. Timmie invece affrontava quei periodi con energia ed entusiasmo eccezionali. Tuttavia, dopo Milano, si sentiva stanca alla sola idea di sostenere un’ulteriore passerella. La collezione esibita a New York aveva riscosso un plauso ancor più grande delle precedenti, quindi ci si aspettava la stessa accoglienza a Parigi.
Timmie sembrava possedere il tocco del re Mida: anche nelle rare stagioni in cui era stata meno soddisfatta del proprio lavoro, il successo non le era mancato. Era una perfezionista e aveva grazia e stile impeccabili. Dava sempre il meglio di sé surclassando gli altri ed era dotata della capacità straordinaria di prevedere le tendenze più in voga: abbigliamento e profumi irrompevano sul mercato centrando sempre il bersaglio. Per i profumi, aveva creato personalmente tanto le fragranze quanto il packaging. Non vi era nulla in cui non eccellesse, tranne che forse della cucina. E nel modo in cui si vestiva, come lei stessa ammetteva. Nonostante le doti creative e le sue realizzazioni, Timmie non perdeva tempo a scegliere cosa indossare; il suo stile rispecchiava un’eleganza semplice, dalle linee pulite.
Per viaggiare aveva scelto jeans e T-shirt – entrambi del proprio marchio –, una giacca di visone vintage acquistata tempo addietro in una stradina poco conosciuta di Milano e un paio di ballerine nere che aveva disegnato qualche anno prima. Portava una borsa Hermès di coccodrillo nero – antesignana della più famosa Birkin – elegantemente consumata da anni e anni di spostamenti.
Il pilota annunciò l’inizio della discesa verso l’aeroporto Charles De Gaulle proprio mentre Timmie allungava le gambe davanti a sé: in prima classe lo spazio non era un lusso. Aveva sonnecchiato per quasi tutto il volo e saltato perfino il pasto, cercando di riprendersi dalla dura settimana milanese nella quale aveva approfittato per visitare le industrie tessili e di pellame da cui si riforniva. C’erano poi le feste e gli eventi sociali: dormire era una chimera. Il prete seduto accanto a lei era rimasto sempre in silenzio. Probabilmente era una delle poche persone che non l’avrebbe mai riconosciuta e che non indossava un capo griffato Timmie O. Si erano salutati educatamente con un cenno del capo al momento in cui lei si era accomodata e nulla più, anche perché, dieci minuti più tardi, dopo aver dato una rapida sfogliata all’International Herald Tribune per leggere le opinioni sulle sfilate di Milano e Londra, si era addormentata come un sasso. Timmie sorrise guardando fuori dal finestrino e vedendo Parigi farsi sempre più vicina. Poi rivolse un’occhiata ai due assistenti di volo accomodati dall’altro lato del corridoio. Il prete era stato felice di sedersi accanto al finestrino e nessuno dei suoi collaboratori l’aveva disturbata mentre dormicchiava. Erano stanchi pure loro. Parigi sarebbe stato l’ultimo exploit di un viaggio sfibrante.
Le passerelle americane ed europee erano importanti per il prêt-à-porter e sottoponevano tutti a grande stress e fatica. Sebbene Milano fosse una delle tappe fondamentali, era la vittoria nella Ville Lumière a garantire il successo. Era così da sempre. Timmie adorava Parigi più di ogni altra città perché la faceva sognare a occhi aperti. Ancora assonnata, porse qualche annotazione ai suoi assistenti, David e Jade. Il primo lavorava con lei da sei anni, la seconda da dodici; erano compagni devoti che la apprezzavano per la gentilezza, l’onestà e le capacità professionali che era stata in grado di trasmettere loro. Tutto, in Timmie, era fonte d’ispirazione: dal genio lavorativo ai modi premurosi con cui trattava il prossimo. David diceva di lei che brillava da dentro ed emanava luce come un faro nella notte. A renderla particolare era la naturalezza del suo comportamento; l’umiltà era una dote rara nel mondo della moda, ma chi conosceva Timmie la definiva eccezionalmente poco complicata e modesta.
Possedeva peraltro un innato senso degli affari, conosceva i gusti del pubblico, oltre a mostrare una grande flessibilità, al punto che non esitava ad apportare cambiamenti alle collezioni, se coglieva la necessità di un aggiustamento dell’ultima ora. E osava a prescindere da quanto fosse alto il rischio. Si buttava a capofitto in tutto e per David e Jade era un meraviglioso capo e un’amica. Timmie aveva mille qualità: era affidabile, lavoratrice fino allo stremo, competente e creativa; ma al tempo stesso era brillante, divertente, un tantino ossessiva forse, una perfezionista.
David Gold era entrato a far parte del suo team subito dopo aver conseguito il diploma di designer alla Parsons. Aveva sempre aspirato a diventare un creatore di moda. Purtroppo il suo stile richiamava in maniera eccessiva il passato, era prosaico e privo di quella visione futuristica necessaria per sfondare. Timmie, però, aveva visto in lui un ragazzo molto portato per il marketing, organizzato e attento ai dettagli, con la capacità di svolgere più compiti contemporaneamente. Gli aveva quindi offerto un posto di assistente personale. Ancora adesso, dopo sei anni, lui la accompagnava in giro per il mondo, sebbene le sue responsabilità fossero cresciute notevolmente. A trentadue anni David era vicedirettore marketing e non c’era campagna pubblicitaria che non passasse dalle sue mani. Insieme erano riusciti a far brillare il settore delle PR.
Come sempre, David aveva organizzato gli eventi newyorkesi ed europei in maniera che tutto filasse liscio. Timmie ci scherzava spesso su questa sua capacità, e diceva che sul biglietto da visita del suo collaboratore avrebbero dovuto aggiungere la qualifica di mago. La creatività che gli mancava come stilista sbocciava quando si trattava di marketing, pubblicità e pubbliche relazioni. In questo era imbattibile, lei lo riconosceva. Timmie riconosceva sempre le capacità altrui, lodandole al momento opportuno.
Quattro anni prima, il ragazzo era stato colpito da una grave forma di epatite e lei se n’era presa cura: da allora i due erano diventati grandi amici. David affermava che era stata lei a insegnargli tutto quello che sapeva sull’industria della moda, mentre Timmie sosteneva che le abilità di David avevano ormai superato le sue. Gli sforzi congiunti contribuivano al successo sempre maggiore del marchio e della compagnia.
Jade Chin aveva iniziato la carriera come assistente editoriale di Vogue cinque anni prima dell’incontro con la fondatrice di Timmie O e si era fatta notare da lei durante una serie di servizi fotografici pubblicati dalla rivista, ai quali la stilista era solita presenziare per essere sicura che le sue creazioni fossero fotografate e messe in evidenza nella giusta maniera. A quei tempi Jade cercava faticosamente di scalare la vetta del successo per un posto da editor in una qualunque sezione della rivista, un impiego che avrebbe portato numerose grane e scarsi riconoscimenti professionali. La O’Neill, invece, le aveva offerto uno stipendio di tutto rispetto e un lavoro come assistente personale. Sebbene negli anni avesse avuto la possibilità di operare in altri settori del marchio, Jade aveva scelto di restare a fianco del suo capo: adorava quell’incarico e tutto ciò che esso significava. Con David s’intendeva a meraviglia e con Timmie era in perfetta sincronia, anticipandone ogni necessità e ogni desiderio. A detta della stessa Timmie, avere un’assistente personale come lei era il sogno di ogni capo; Jade era assolutamente l’assistente ideale. Pensava a tutto, perfino a portare le bustine del suo tè preferito nella borsa ogni volta che partivano. Tazze di tè fumanti apparivano dal nulla quando lei ne aveva bisogno, insieme a qualche snack, così come i vestiti che avrebbe dovuto indossare per un’intervista, o una lista di persone da chiamare o che l’avevano cercata, oppure un dettagliato elenco degli impegni. Jade era il faro che indicava a Timmie la giusta direzione, tenendola sempre aggiornata e facilitandole i mille compiti che affrontava.
La collaborazione fra i tre era perfetta sotto ogni punto di vista: Jade e David sgombravano la strada dai dettagli più irritanti della vita quotidiana in modo che Timmie si focalizzasse al meglio sul lavoro. Il suo benessere era il fulcro di ogni cosa.
Jade era già stata a Parigi almeno una cinquantina di volte negli ultimi dodici anni. Sebbene infatti la casa madre si trovasse a Los Angeles, il suo capo era stata tra le creatrici di moda americane più coraggiose e aveva deciso di mettere radici pure in Europa. La capitale francese, poi, era la città che Timmie amava, e approfittava di ogni occasione per soggiornarvi. Dopo il mese infernale di sfilate, infatti, aveva l’abitudine di trattenersi lì un paio di giorni in più per rilassarsi. Poi sarebbe tornata a New York per parlare con la produzione, visitare la fabbrica nel New Jersey e programmare una nuova campagna pubblicitaria.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice newyorchese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Danielle Steel.
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