Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Pulvis et umbra di Antonio Manzini. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 15,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Pulvis et umbra: trama del libro
In “Pulvis et umbra” due trame si svolgono in parallelo. Ad Aosta si trova il cadavere di una trans. A Roma, in un campo verso la Pontina, due cani pastore annusano il cadavere di un uomo che porta addosso un foglietto scritto. L’indagine sul primo omicidio si smarrisce urtando contro identità nascoste ed esistenze oscurate. Il secondo lascia un cadavere che puzza di storie passate e di vendette. In entrambi Schiavone è messo in mezzo con la sua persona. E proprio quando il fantasma della moglie Marina comincia a ritirarsi, mentre l’agente Caterina Rispoli rivela un passato che chiede tenerezza e un ragazzino solitario risveglia sentimenti paterni inusitati, quando quindi la ruvida scorza con cui si protegge è sfidata da un po’ di umanità intorno, le indagini lo sospingono a lottare contro le sue ombre. Tenta di afferrarle e gli sembra che si trasformino in polvere. La polvere che lascia ogni tradimento.
In ebook Pulvis et umbra (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 9,99 euro.
Cosa lo bloccava? Chi gli aveva inchiodato le scarpe sul marciapiede?
«Ciao amigo, vuoi?».
Una voce lo fece voltare. Un africano carico di roba incellofanata gli offriva un pacco di calzini filo di Scozia.
«Come stai? Dieci euro, amigo…». E allungò la mano libera, Marco come un automa gliela strinse.
«Allora vuoi? Dieci euro!».
Marco fece no con la testa.
«Mi dai qualche spicio? Pe’ caffè?».
Marco fece sì con la testa ma rimase con le mani in tasca, immobile, una sentinella con una consegna precisa, un palo della luce in mezzo alla strada. Il nero aspettava e lo guardava, poi sorrise coi suoi denti bianchi e scosse la testa un paio di volte.
«Amigo, dai spici?» ripeté.
Lento Marco tirò fuori il portafogli. Dentro c’erano due banconote da 50 e una da 10. Prese quella da 10 euro e gliel’allungò. Il venditore senza fiatare acchiappò i soldi e in cambio mollò i calzini che Marco afferrò senza guardare.
«Ciao amigo…» e con passo dinoccolato se ne andò.
Marco tornò a guardare il civico 12. Un palazzo in cortina di due piani con un portone di vetro e ferro battuto, niente portiere, il citofono sul lato destro.
Che ore sono? si chiese.
Le otto e un quarto. Qual era l’orario? Dalle 15 alle 21 o dalle 15 alle 20? Magari era già andata via. Tirò fuori il cellulare e richiamò il numero che aveva fatto alle 10 del mattino. Attese fin quando rispose la segreteria. «Ciao… me chiamo Sonya… mi trovi a via Brean, che traversa di via Monte Grivola. Vieni… sono bela, calda latina e porto quinta de seno. Sono qui sempre ad aspettare per fare cose che a te ti piacciono… vuoi le coccole? Vuoi fare amore muy lungo? Doppia penetrazione? Ho pure sorpresa per te. Tutto quello che vuoi… ambiente relassado y pulito… vieni oggi domenica dalle quindici a ventuno a via Brean 12 e suona citofono Studio Emme… Emme come Milano… ciao belo te espero!».
Era ancora in tempo. Ma lo stomaco continuava a sprofondare e le gambe a restare lì dov’erano. Forse perché la scena se l’era immaginata tante volte. Lei che lo aspettava in guêpière e calze nere fumé. Solo le mutandine, niente reggiseno. I capezzoli scuri sotto la trasparenza della vestaglia, mentre ondeggiava verso di lui sui tacchi vertiginosi che picchiavano sul pavimento. La bocca carnosa, gli occhi socchiusi, i capelli neri e sciolti, un profumo di fiori e pane caldo. Lo invitava a sedersi sul letto, lo baciava, lo spogliava, lo cavalcava per ore sbattendogli sul viso i seni enormi. Ma dentro di sé, in un angolo della coscienza, sapeva benissimo che per scoparsi una come Sophia Loren in Ieri oggi e domani ci voleva ben altro di un annuncio su Gradisca, incontri on line! Chissà cosa ci avrebbe trovato allo Studio Emme di via Brean. C’era una foto sulla pagina, ma era poi veritiera? Mostrava una donna in mutande e reggiseno, col viso nascosto. E quella frase: sorpresa per te, era la cosa che più lo eccitava.
Marco non ce la faceva più. A 52 anni suonati, sposato da 25 e con tre figli, non praticava più da due anni. Barbara aveva chiuso il rubinetto, aveva decretato l’embargo da quando caldane e sbalzi di umore avevano preso il posto dei sorrisi e delle carezze. Non era più interessata al sesso, a lui invece andava come ai tempi del liceo. Due anni a digiuno, se si esclude una mezza fellatio che una rappresentante di rubinetterie di Grosseto gli aveva praticato nove mesi prima al convegno delle caldaie a Firenze mentre, ubriaco come una pigna, cantava «We are the champions!» in piazza della Signoria. Neanche si ricordava il nome della tipa, e non fu niente di eccezionale. E comunque prima di comporre il numero di Sonya ci aveva pensato per settimane. Era sempre lì lì per farlo, telefonino in mano, ma poi rinunciava. La notte sognava quell’incontro, e la mattina si svegliava con un’erezione talmente dolorosa che doveva correre in bagno a calmarla prima di colazione.
Doveva scopare.
Al negozio i due colleghi, Giorgio e Andrea, non facevano che parlare di amanti, mogli insaziabili, signore divorziate sempre disponibili. Lui si limitava a sorridere e a pensare a Barbara che aveva abbandonato da tempo sottovesti e intimo coordinato per pigiamoni con gli orsetti o magliettacce ormai scolorite della sua rivendita di termoidraulica. Via le scarpe coi tacchi per fare posto a ballerine sformate o a infradito casalinghe, il parrucchiere un ricordo lontano. Marco aveva provato ad affrontare la situazione, ma era come discutere con un muro. Inutile anche la puntatina alle terme di Pré-Saint-Didier, sperando che l’acqua calda e i massaggi avrebbero risvegliato in sua moglie, almeno per una notte, un po’ di sana voglia. Invece quella alle nove e mezza già dormiva. E a nulla erano valsi i regali che le aveva fatto l’ultimo Natale. Barbara aveva riportato calze, reggicalze in pizzo e sottoveste al negozio e in cambio aveva preferito un bell’accappatoio giallo per Ginevra, la figlia più piccola, e una coppia di asciugamani blu. La frustrazione aumentava con la voglia, Marco non sapeva più dove sbattere la testa. Ecco perché ora si trovava lì, sul marciapiede, a guardare attonito il civico di una che per cento euro gli avrebbe dato una mezz’ora di pelle, profumo e parole sussurrate nelle orecchie.
Ne ho il diritto, pensava. Ne ho bisogno. Cazzo, mica sono morto!
E allora cosa lo faceva restare lì impalato?
La paura.
Paura che si portava dietro da quando aveva preso quella decisione. Paura di stringere il corpo nudo di un’estranea, di sentirne l’odore, e soprattutto paura che qualcuno lo vedesse. Aosta non era New York. In quel palazzo non conosceva nessuno, ma lui aveva un negozio, i clienti entravano e uscivano. E se avesse suonato allo Studio Emme e proprio mentre la tipa gracchiava «Vieni dentro belo te aspetavo calda y pronta» una madre coi figlioletti fosse uscita dal palazzo? Una figura di merda colossale. E se un vicino avesse strizzato gli occhi come a dire «ma io questo lo conosco. Che ci fa qui? Non ha un negozio di sanitari?». Le voci girano, si sa. E in meno di tre giorni tutti l’avrebbero saputo. Compresa sua moglie. E quel che è peggio Ginevra. Al liceo l’avrebbero presa in giro per anni cantandole dietro «Tuo padre è un puttaniere, tuo padre è un puttaniere!». Come guardare sua figlia negli occhi? Ci avrebbe più parlato? Già i rapporti con l’adolescente erano difficili, se uno ci aggiungeva quel peso da 30 tonnellate era la fine.
Perché non aveva scelto una prostituta in un’altra città? Magari a Torino?
Ci aveva pensato. Ma come giustificare alla moglie il viaggio a Torino? Per fare un’installazione? Non era mai successo in tanti anni di onorata carriera di negoziante. Barbara ci avrebbe impiegato venti minuti a scoprire la bugia. C’era da farsi alleati i due soci, chiedere che gli reggessero il gioco, ma allora il tradimento sarebbe diventato di dominio pubblico, o comunque se non pubblico, dominio di Giorgio e Andrea. E non gli piaceva l’idea che i suoi soci sapessero che a casa andava male, tanto che aveva bisogno di un’amante. Conoscevano Barbara da vent’anni. Era una mancanza di rispetto, uno sputare in faccia a Barbara, e questo non lo sopportava. Era una brava moglie, una brava madre, ma lui doveva scopare. Il cervello piccolo, che gli uomini hanno in mezzo alle gambe, non sentiva più ragioni. «Cosce seni chiappa, culo cosce seni labbra!» questi erano i messaggi che mandava, il leitmotiv degli ultimi due anni, e il cervello grande, che i maschi come tutti i mammiferi hanno nel cranio, aveva resistito. Ma la goccia cinese aveva scavato un solco che era diventato un ruscello, poi il letto di un fiume. Ormai non poteva più guardare la televisione, aprire una rivista, osservare il viavai delle donne per il corso che il cervello piccolo urlava il suo bisogno. «Cosce seni chiappa, culo cosce seni labbra!».
Basta, si disse. Vado. Un uomo all’angolo con il suo cagnolino al guinzaglio sembrava aspettasse che quello facesse i suoi bisogni. A Marco invece pareva che lo stesse fissando. Sicuro si stava chiedendo: cosa ci fa quello lì in piedi da venti minuti? Chi è? Cosa vuole? Cosa cerca da queste parti? E se l’uomo col cane avesse chiamato il commissariato? «Polizia! C’è un tipo strano in piedi da mezz’ora davanti alla Cassa di Risparmio, venite a dare un’occhiata!». L’avrebbero portato in questura e lì per cavarsela avrebbe dovuto dire la verità: «Commissario, non mi fidavo ad attraversare la strada e citofonare a Sonya muy caliente che mi aspettava».
L’ansia gli tolse i chiodi dalle suole delle scarpe, squagliò il silicone dalle giunture e spinse Marco ad attraversare la strada e finalmente arrivò davanti al civico 12. Buttò un occhio nell’androne attraverso i vetri. Nessuno. Nessuno sul marciapiede. L’uomo col cane era sparito. Sul citofono lo Studio Emme era l’interno 3.
Dai, ora o mai più, pensò. Allungò il dito. Suonò.
La luce a tempo si accese e Marco vide un ragazzo scendere le scale e avvicinarsi al portone. Teneva a tracolla una borsa sportiva.
Eccola lì… la figura di merda! si disse.
Il tizio s’era fermato a controllare la cassetta della posta. L’aveva aperta senza chiave per prelevare la corrispondenza.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore romano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Antonio Manzini.
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