Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Punto critico di Michael Crichton. Il romanzo è pubblicato in Italia da Garzanti con un prezzo di copertina di 9,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Punto critico: trama del libro
Un aereo entra misteriosamente in stallo sopra il Pacifico, e dopo attimi di terrore, a un passo dalla catastrofe, compie un atterraggio di fortuna con il suo carico di morti e feriti. Qual è stata la causa dell’incidente? Un errore dei piloti? Un difetto strutturale del velivolo? Oppure un atto di sabotaggio? Inizia così un drammatico intrigo, ricco di sorprese e colpi di scena, che coinvolge le multinazionali dell’aeronautica, le compagnie di assicurazione e qualche giornalista senza scrupoli.
Approfondimenti sul libro
L’ebook di Punto critico (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di euro 6,99.
Ore 5,18
Emily Jansen tirò un sospiro di sollievo. Quel lungo viaggio in aereo stava per giungere al termine. Dai finestrini filtravano scie di luce mattutina. In braccio a lei, la piccola Sarah, intenta a risucchiare fragorosamente ciò che rimaneva del contenuto del biberon e ad allontanarlo da sé con i pugnetti, strizzò gli occhi per l’improvviso chiarore. «Buono, vero?», le disse Emily. «Okay… oplà…».
Si appoggiò la neonata a una spalla, dandole dei colpetti sulla schiena. La bimba fece un ruttino gorgogliante e si rilassò.
Sul sedile accanto, Tim Jansen sbadigliò, stropicciandosi gli occhi. Aveva dormito tutta la notte, sin dalla partenza da Hong Kong. Emily, invece, non riusciva mai a dormire in aereo; era troppo nervosa.
«‘Ngiorno», disse Tim, guardando l’orologio. «Dài che mancano solo due ore. Si sa niente della colazione?».
«Non ancora», disse Emily, scuotendo il capo. Avevano preso un volo della TransPacific Airlines, un charter da Hong Kong. I soldi risparmiati sarebbero tornati utili per la nuova casa alla University of Colorado, dove Tim avrebbe lavorato come assistente. Il viaggio era stato abbastanza piacevole – erano seduti nelle file davanti – anche se le hostess parevano disorganizzate e i pasti arrivavano in modo irregolare. Emily aveva saltato la cena perché Tim dormiva, e lei non avrebbe potuto mangiare con Sarah in braccio.
Continuava a sorprenderla la trascuratezza dell’equipaggio. Durante il volo avevano lasciato la porta della cabina di pilotaggio sempre aperta. Sapeva che era un’abitudine diffusa tra il personale asiatico, e tuttavia la colpiva sempre come un comportamento sconveniente: troppo informale, troppo rilassato. Di notte i piloti se ne andavano in giro per l’aeroplano, a mettere il naso nelle faccende delle hostess. Proprio in quel momento ne stava uscendo uno, diretto verso la parte posteriore dell’apparecchio. Probabilmente si stava solo sgranchendo le gambe. Era tutto sotto controllo… E di certo non la preoccupava il fatto che l’equipaggio fosse cinese. Dopo aver trascorso un anno in Cina, aveva imparato ad apprezzare l’efficienza e la cura per il particolare caratteristica di quel popolo. Ma, chissà come, l’atmosfera che si respirava su quel volo la rendeva nervosa.
Emily si risistemò Sarah in grembo. La bimba fissò gli occhietti su Tim e sorrise radiosa.
«Aspetta, fammi prendere una cosa», disse Tim. Rovistò nella borsa che teneva sotto i piedi, estrasse una videocamera e la puntò sulla figlia. Agitò la mano libera per attirare la sua attenzione. «Sarah… Sa-rah… Fai un sorriso a papà. Sorridi…»
Sarah sorrise e fece un gorgoglio.
«Che effetto fa andare in America, Sarah? Sei pronta per vedere il posto in cui sono nati i tuoi genitori?».
Sarah rifece lo stesso gorgoglio. Dimenò le manine in aria.
«Probabilmente penserà che gli americani hanno tutti delle facce strane», disse Emily. La loro figlia era nata sette mesi prima nell’Hunan, dove Tim aveva studiato medicina cinese.
Emily si accorse dell’obiettivo della videocamera puntato su di sé. «E tu, mamma?», fece Tim. «Sei contenta di tornare a casa?».
«Dài, Tim», disse lei. «Per favore». “Devo avere una faccia orrenda”, pensò. “Dopo tutte queste ore”.
«Suvvia, Em. A che cosa stai pensando?».
Doveva darsi una pettinata. Le scappava la pipì.
Emily disse: «Una cosa che mi piacerebbe tanto fare… che ho sognato per mesi e mesi… è mangiarmi un bel cheeseburger».
«Con salsa di fagioli piccanti Xu-xiang?» domandò Tim.
«Oh, Dio, no. Un cheeseburger», fece lei. «Con cipolle, pomodori, lattuga, sottaceti e maionese. La maionese! Oh, Dio! E la senape».
«Lo vuoi anche tu un cheeseburger, Sarah?», disse Tim, tornando a puntare l’obiettivo sulla figlia.
Sarah si stava tirando le dita dei piedi con una manina. Si mise il piede in bocca e guardò Tim.
«È buono?» domandò Tim ridendo. La videocamera traballò tutta. «È quella la tua colazione, Sarah? Non ti va di aspettare la hostess di questo volo?».
Emily udì un cupo rimbombo, quasi una vibrazione, che pareva giungere dall’ala. Girò di scatto la testa. «Cos’è stato?».
«Calmati, Em», disse Tim, senza smettere di ridere.
Anche Sarah rise, emettendo acuti gridolini estasiati.
«Stiamo per arrivare a casa, tesoro», aggiunse.
Ma non aveva ancora finito di parlare che l’aereo fu come scosso da un brivido, e il muso si abbassò. D’un tratto ogni cosa prese un’inclinazione bizzarra. Emily sentì Sarah che scivolava in avanti. L’afferrò e la strinse a sé. L’aereo sembrava scendere in picchiata, ma poi risalì di colpo, e lei si sentì comprimere lo stomaco contro il sedile. La figlia era come un peso morto sopra di lei.
Tim disse: «Ma che diavolo sta…?».
D’un tratto, Emily fu letteralmente sollevata dal sedile e le cinture di sicurezza le si conficcarono nelle cosce. Si sentiva leggera e con lo stomaco in subbuglio. Vide Tim rimbalzare sul sedile e sbattere la testa contro il bagagliaio, mentre la videocamera le passava in volo davanti al viso.
Dalla cabina di pilotaggio proveniva il ronzio insistente degli allarmi e una voce metallica che diceva: «Stallo! Stallo!». Intravide le braccia del pilota in divisa blu che si spostavano rapidamente sui comandi; nell’abitacolo gridavano tutti in cinese. Per l’aereo impazzavano le urla isteriche della gente. Si udì un rumore di vetro infranto.
Il velivolo precipitò di nuovo in una brusca picchiata. Un’anziana cinese, lanciando un grido, scivolò di schiena in corridoio, seguita da un ragazzino, che ruzzolò in avanti. Emily si girò verso Tim, ma lui non era più al suo posto. Dall’alto cadevano le maschere gialle dell’ossigeno; una di esse dondolava proprio di fronte a lei, ma con la bambina stretta tra le braccia non poteva afferrarla.
Fu scagliata contro lo schienale quando, gemendo con incredibile fragore, l’aereo riprese a precipitare in picchiata. Scarpe e borse rimbalzavano per tutta la cabina, colmando l’ambiente di rumori sordi e metallici; si udivano i tonfi dei corpi contro i sedili e sul pavimento.
Tim era scomparso. Emily si girò per vedere dove fosse, quando, d’un tratto, le cadde in testa una pesante valigia: la sorpresa, il dolore, il nero, le stelle. Si sentiva debole e confusa. Gli allarmi continuavano a suonare. I passeggeri a gridare. L’aereo continuava a scendere in picchiata.
Emily abbassò il capo, si strinse al petto la figlia e, per la prima volta in vita sua, si mise a pregare.
CENTRO DI CONTROLLO AVVICINAMENTO CALIFORNIA SUD
Ore 5,43
«Avvicinamento SudCal, qui TransPacific 545. Abbiamo un’emergenza».
Nell’edificio dai vetri oscurati che ospitava il Centro di controllo del traffico aereo in avvicinamento della California del Sud, l’esperto controllore Dave Marshall udì la chiamata del pilota e guardò sul suo schermo radar. Il TransPacific 545 era un volo per Denver proveniente da Hong Kong. Gli era stato affidato pochi minuti prima dalla Oakland ARINC: un volo come tanti altri. Marshall portò una mano al microfono che aveva vicino alla guancia e disse: «545, ti ascolto».
«Chiedo autorizzazione per atterraggio d’emergenza a Los Angeles».
Il pilota sembrava calmo. Marshall fissò i verdi blocchi di dati che scorrevano sullo schermo a denotare tutti gli aerei in volo in quel momento. Il TPA 545 si stava avvicinando alla costa della California. Presto avrebbe sorvolato Marina Del Rey. Era ancora a mezz’ora di volo da LAX.
Marshall disse: «Okay, 545, ho ricevuto la tua richiesta di autorizzazione all’atterraggio. Specifica natura dell’emergenza».
«Trattasi di emergenza passeggeri», disse il pilota. «Abbiamo bisogno di ambulanze a terra. Direi trenta o quaranta. Forse di più».
Marshall rimase sbalordito. «TPA 545, ripeti. Mi stai chiedendo quaranta ambulanze?».
«Affermativo. Abbiamo incontrato gravi turbolenze in volo. Ci sono feriti tra i passeggeri e il personale».
Marshall pensò: “E perché diavolo non me l’hai detto prima?”. Girò sulla sua sedia e fece un cenno alla supervisor Jane Levine, la quale prese la cuffia supplementare, premette un pulsante e si mise in ascolto.
Marshall disse: «TransPacific, registro tua richiesta di quaranta ambulanze a terra».
«Cristo», fece Levine con una smorfia. «Quaranta?».
Il pilota era ancora calmo quando rispose: «Affermativo, Avvicinamento SudCal. Quaranta».
«Hai anche bisogno di personale medico? Qual è la natura delle ferite riportate?».
«Non so dirlo con precisione».
Levine fece un gesto circolare, come a dire: “Continua a far parlare il pilota”. Marshall disse: «Puoi fornirci una stima approssimativa?».
«No, spiacente. Una stima non è possibile».
«Qualcuno ha perso conoscenza?».
«Non credo», rispose il pilota. «Ma ci sono due morti».
«Oh, merda», disse Jane Levine. «Grazie mille per avercelo detto. Chi è ‘sto tizio?».
Marshall schiacciò un tasto della sua console, aprendo una finestra in un angolo in alto del video. Riportava il manifesto dell’equipaggio del TPA 545. «Capitano John Chang. Pilota esperto della TransPacific».
«Evitiamo altre sorprese», disse Levine. «L’aereo è a posto?».
Marshall chiese: «TPA 545, in che condizioni si trova il tuo aereo?».
«Abbiamo riportato danni alla cabina passeggeri», rispose il pilota. «Di poco conto».
«Quali sono le condizioni della cabina di pilotaggio?», domandò Marshall.
«La cabina di pilotaggio è operativa. Il FDAU non segnala nulla». Si riferiva al Flight Data Acquisition Unit, l’unità di acquisizione dati di volo, in grado di individuare eventuali avarie nel velivolo. Se segnalava che l’aereo era a posto, era probabile che lo fosse davvero.
Marshall disse: «Registro anche questo, 545. Quali sono le condizioni dell’equipaggio?».
«Il comandante e il copilota sono in buone condizioni».
«Okay, 545. Confermi che ci sono feriti tra il personale di volo?».
«Sì. Sono rimaste ferite due hostess».
«Puoi specificare la natura delle ferite?».
«No, spiacente. Una ha perso conoscenza. L’altra non lo so».
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore e regista statunitense rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Michael Crichton.
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