Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Quando ho aperto gli occhi di Nicholas Sparks, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 10,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
Quando ho aperto gli occhi: trama del libro
Sono ormai passati quattro anni da quando una malattia le ha tolto il marito, e il gelo nell’anima di Julie si sta finalmente sciogliendo. Dopo una giovinezza difficile, grazie a Jim aveva trovato un posto diverso in cui vivere e tanti amici affezionati, che le sono sempre stati vicini. Così, ora lo strazio si è trasformato in un affetto venato di malinconia e nella riconoscenza per un uomo che, in un ultimo gesto d’amore, le ha lasciato due doni inaspettati: un dolcissimo cucciolo di danese e la promessa di vegliare sempre su di lei. Adesso Julie è pronta a credere possibile una nuova felicità, ma chi vorrà al suo fianco?
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Gli era grata anche per Singe, che si era dimostrato provvidenziale. A modo suo, era stata proprio la sua presenza ad aiutarla a tirare avanti.
In quel momento, tuttavia, schiacciata nel letto in una mattina di inizio primavera a Swansboro, Julie non stava pensando al meraviglioso sostegno che Singer le aveva offerto in quei quattro anni. Piuttosto, malediceva mentalmente la sua stessa esistenza mentre era lì senza fiato, sotto il peso del gigantesco danese.
Con il cane abbandonato sopra di lei, immobilizzata contro il materasso, già si vedeva le labbra cianotiche per mancanza di ossigeno.
«Alzati, pigrone», ansimò. «Mi stai uccidendo…»
Singer, però, continuava a russare pacificamente, allora Julie cominciò a divincolarsi per cercare di svegliarlo. Soffocata da tutto quel peso, aveva l’impressione di essere stata buttata in un lago avvolta in una coperta.
«Dico sul serio», alitò. «Non riesco a respirare.»
Singer alla fine alzò il grosso muso e la guardò assonnato. Che cos’è tutto questo trambusto? sembrava chiedere. Non vedi che sto dormendo?
«Vattene!» latrò Julie.
Il danese sbadigliò, poi le premette il naso freddo contro la guancia.
«Sì, sì, buongiorno», borbottò lei. «Adesso smamma.»
A quelle parole il cane si decise a sollevarsi, schiacciandole con le zampe varie parti del corpo. Alla fine, svettante su di lei con un filo di bava che gli usciva dalla bocca, sembrava proprio una creatura uscita da un film dell’orrore di serie B. Accidenti se era enorme. Dopo tutti quegli anni avrebbe dovuto esserci abituata, pensò Julie facendo un profondo respiro di sollievo. Poi corrugò la fronte.
«Chi ti ha dato il permesso di salire sul mio letto?» chiese severa.
In genere Singer dormiva in un angolo della camera, ma erano due notti che veniva a sdraiarsi di fianco a lei. O, per essere più precisi, sopra di lei. Che matto di un cane.
Il danese abbassò il muso e le leccò il viso.
«No, non sei perdonato», rispose Julie spingendolo via. «Non ci provare nemmeno. Potevi ammazzarmi, lo sai? Pesi il doppio di me. E adesso, giù!»
Singer guaì come un bambino imbronciato prima di decidersi a balzare sul pavimento. Julie si mise seduta, con le costole indolenzite, e guardò l’ora. Di già? I due si stiracchiarono contemporaneamente, poi lei scostò le coperte.
«Forza», disse, «ora ti faccio uscire. Ma non andare a curiosare tra i bidoni dei rifiuti dei vicini. Ieri mi hanno lasciato un biglietto di protesta sul parabrezza della macchina.»
Singer la guardò.
«Lo so, lo so», ammise lei, «è solo spazzatura. Ma la gente è fatta così.»
Il cane uscì dalla camera, diretto verso l’ingresso. Julie si sgranchì le spalle mentre lo seguiva, chiudendo gli occhi per un istante. Grosso errore. Andò subito a sbattere con il piede contro il cassettone e il dolore le si propagò dalle dita a tutta la gamba. Dopo il grido iniziale, cominciò a inveire, mescolando imprecazioni diverse in fantasiosi connubi. Saltellando su un piede solo con indosso il pigiama rosa, si sentiva un po’ come Bugs Bunny dopo una delle sue disavventure. Singer le lanciò un’occhiata impaziente, come a dire: E allora? Sei stata tu a svegliarmi, quindi adesso muoviti. Ho da fare fuori.
Julie sbuffò. «Ma non vedi che mi sono fatta male?»
Singer sbadigliò in risposta e Julie si massaggiò il piede prima di zoppicare fino a lui.
«Grazie dell’aiuto. Certo che, in caso di emergenza, sarei davvero spacciata.»
Qualche istante più tardi, dopo essere passato sopra il piede dolorante della padrona – quasi a farlo apposta – Singer uscì in giardino. Invece di dirigersi verso i bidoni della spazzatura, il grosso danese girò verso lo spiazzo alberato che si trovava sul lato della casa. Julie lo osservò dondolare da una parte all’altra la testa massiccia, come se volesse accertarsi che nessuno avesse piantato nuovi alberi o cespugli durante la notte. Tutti i cani hanno l’istinto di marcare il proprio territorio, ma per qualche motivo Singer sembrava convinto che, trovando un numero di posti sufficiente dove fare pipì, sarebbe stato nominato imperatore dei cani del mondo. Se non altro, pensò, se l’era tolto letteralmente dai piedi per un po’.
Negli ultimi giorni era stato davvero insopportabile, rifletté. La seguiva dappertutto, rifiutandosi di perderla un attimo di vista, tranne quando lei lo spediva fuori. Non era riuscita neppure a riordinare la cucina senza inciampare ripetutamente nella sua mole. La notte precedente, poi, non aveva smesso di ringhiare e abbaiare per un’ora, tanto da farle venire voglia di comprare una cuccia insonorizzata, oppure un fucile da caccia grossa.
Bisognava dire, tuttavia, che il comportamento di Singer non era mai stato… normale. A parte ciò che riguardava i bisogni fisici, quel cane agiva sempre come se credesse di essere un umano, considerò Julie. Si rifiutava di mangiare dalla ciotola, non aveva mai avuto bisogno di un guinzaglio e, quando lei guardava la televisione, si accovacciava sul divano e stava lì anche lui a fissare lo schermo. Quando lei parlava con qualcuno, Singer osservava attento, con la testa inclinata di lato, come se seguisse la conversazione. E spesso sembrava capire veramente quello che la padrona gli diceva. Qualunque cosa gli ordinasse di fare, anche la più assurda, Singer ubbidiva. «Potresti andarmi a prendere la borsa in camera da letto?» e lui qualche istante dopo gliela portava trotterellando. «Spegni la luce, per favore?» Singer si alzava sulle zampe posteriori e schiacciava l’interruttore con il naso. Certo, c’erano molti cani addestrati, ma bastava che gli mostrasse una volta come compiere una data azione, e lui imparava a ripeterla. Gli altri lo trovavano un po’ sconcertante, invece Julie ne era orgogliosa.
Così aveva preso l’abitudine di parlare al cane con frasi compiute, di mettersi a litigare con lui, a volte addirittura di chiedergli consiglio.
Tuttavia, il suo comportamento era cambiato da quando lei aveva ricominciato a uscire, e da un paio di mesi mostrava apertamente la propria animosità nei confronti degli uomini che si presentavano sulla soglia di casa. In realtà, fin da cucciolo Singer aveva avuto la tendenza a ringhiare contro gli sconosciuti. Inizialmente lei aveva pensato che avesse un sesto senso per distinguere le persone per bene da quelle che era meglio evitare, ma negli ultimi tempi si era ricreduta, e adesso era convinta che il suo cane fosse una versione grossa e pelosa di un fidanzato geloso.
Un bel problema, si disse. Dovevano fare un discorsetto, loro due. Singer non voleva che lei restasse sola, giusto? No, certo. Forse avrebbe impiegato un po’ di tempo per abituarsi ad avere intorno qualcun altro, ma alla fine avrebbe capito. Anzi, sarebbe stato contento per lei. Ma qual era il modo migliore per spiegarglierlo?
Si bloccò per un attimo, considerando la questione prima di accorgersi che non aveva senso.
Spiegarglielo? Per la miseria, pensò, sto diventando pazza.
Zoppicò fino al bagno per prepararsi. Si sfilò il pigiama e si appoggiò al lavandino, fissando la propria immagine riflessa nello specchio. Complimenti, si disse, hai ventinove anni e cominci già a perdere colpi. Le dolevano le costole, le bruciava l’alluce e lo specchio le dava il colpo di grazia. Durante la giornata, la sua chioma castana era lunga e liscia, ma appena alzata i capelli sembravano aver subito nottetempo l’attacco di uno gnomo spettinatore. Erano tutti gonfi e arruffati, «sotto assedio», come diceva scherzosamente Jim. E poi aveva le guance imbrattate di mascara, la punta del naso rossa e gli occhi verdi gonfi a causa dei pollini primaverili. Una doccia avrebbe risistemato tutto, giusto?
Mah, forse bisognava correre ai ripari per l’allergia. Aprì l’armadietto dei medicinali e inghiottì una compressa di antistaminico prima di dare un’altra occhiata allo specchio, sperando in un miglioramento istantaneo.
Blah.
Chissà, forse così non avrebbe dovuto fare troppi sforzi per raffreddare l’interesse di Bob, si disse. Ormai era da un anno che gli tagliava i radi capelli e un paio di mesi prima lui aveva finalmente trovato il coraggio di invitarla fuori a cena. Certo, non era il tipo più affascinante del mondo – stempiato, faccia rotonda, occhi troppo ravvicinati e un accenno di pancetta – ma era libero, aveva una buona posizione e poi lei non era più uscita con un uomo dalla morte di Jim. Aveva pensato che quella sarebbe stata l’occasione buona per rimettersi in pista. Si sbagliava. C’era un motivo che spiegava come mai Bob fosse ancora single. Non solo era un disastro sotto la voce aspetto esteriore, ma era talmente noioso che durante la cena persino i clienti seduti ai tavoli vicini le avevano lanciato occhiate di compassione. Il suo unico argomento di conversazione era la contabilità.
Non aveva manifestato il benché minimo interesse né per lei, né per il cibo, né per il tempo, lo sport o il cinema. Lo entusiasmavano solo i conti. Per tre ore lo aveva ascoltato sciorinare dati e nozioni su detrazioni e deduzioni, oneri fiscali e capital gains e, quando alla fine lui si era sporto sul tavolo per confidarle che conosceva «persone importanti all’ufficio delle imposte», lei avrebbe voluto mettersi a piangere.
Naturalmente per Bob era stata una serata stupenda. Da allora l’aveva chiamata almeno tre volte la settimana, chiedendole di incontrarsi «per un secondo consulto, eh-eh-eh». Di sicuro era insopportabile, ma determinato.
Poi c’era stato Ross, il secondo uomo con cui era uscita. Ross il dottore. Ross il bello. Ross il pervertito. Un appuntamento con lui era bastato, grazie tante.
E non bisognava dimenticare il buon vecchio Adam. Lavorava per la contea, le aveva detto. Amava il suo lavoro, le aveva detto. Un tipo normale, le aveva detto.
Julie aveva scoperto che Adam lavorava al dipartimento spurghi.
Per la biografia completa dello scrittore americano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata ad Nicholas Sparks. Per la bibliografia rimandiamo invece alla nostra pagina riassuntiva su tutti i libri dell’autore.
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