Quando lei era buona: la trama
Da bambina Lucy Nelson vede il padre alcolista finire in galera. Da quel giorno ha cercato di redimere qualunque uomo le capitasse intorno, per la rovina sua e dei suoi amanti. Quando Roy e Lucy iniziano a uscire insieme, lui lo fa perché sta cercando se stesso, lei perché non sopporta più una madre remissiva e un padre ubriacone. Si innamorano, o cosi credono. Quando Lucy cede alle estenuanti insistenze, alle canzoni romantiche e alle parole rassicuranti di Roy e “va fino in fondo”, rimane incinta. Da quel momento in avanti, come in una tragedia greca in cui, qualunque cosa si faccia, non si può sfuggire al destino, tutto precipita. Lucy non vuole ripercorrere le orme della madre, non vuole diventare la moglie di un uomo egoista, debole e fallito, ma si convince di essere già quel tipo di donna, trascinando il matrimonio – e se stessa – alla rovina. Uscito subito prima del “Lamento di Portnoy”, questo terzo romanzo di Philip Roth contiene già tutto il sarcasmo, l’ironia tagliente, l’inquietudine morale delle opere della maturità. Ma possiede una caratteristica che lo rende una stella preziosa: è l’unico romanzo del maestro di Newark ad avere per protagonista una donna. Con Lucy, Roth consegna alla storia della letteratura un personaggio agghiacciante e commovente, incarnazione di una donna che lotta per non sprofondare nella propria follia.
Uno dei piú vividi ricordi d’infanzia di Willard è la volta in cui una squaw chippewa purosangue si presentò alla loro casupola con una radice da far masticare a sua sorella Ginny, che aveva la febbre alta per la scarlattina. Willard aveva sette anni e Ginny uno, e la squaw, stando a come la racconta oggi Willard, ne aveva piú di cento. La bambina delirante non morí, e in seguito Willard capí che il padre avrebbe preferito che fosse morta. Nel giro di pochi anni si accorsero che la povera piccola Ginny non riusciva a imparare a fare due piú due, o a elencare nel giusto ordine i giorni della settimana. Se fosse stata una conseguenza della malattia, o se invece Ginny fosse nata cosí, nessuno l’avrebbe mai saputo.
Willard non dimenticò mai la brutalità di quell’episodio, che per lui consisteva nel fatto che non si facesse nulla, perché quel che stava accadendo stava accadendo a una bambina di un anno. Quel che stava accadendo – cosí perlopiú lo percepiva lui all’epoca – era ancora piú profondo dei suoi occhi… Mentre prendeva coscienza delle proprie peculiari attrattive, il bambino settenne aveva di recente scoperto che, talvolta, ciò che sulle prime gli veniva negato in seguito gli veniva concesso quando lui guardava negli occhi l’altra persona abbastanza a lungo perché trasparissero la sincerità e l’intensità del suo desiderio, e risultasse evidente che non si trattava di una cosa che lui semplicemente voleva, ma di una cosa di cui lui aveva bisogno. Il successo di questa strategia, che a casa era scarso, era invece considerevole alla scuola di Iron City, dove la giovane maestra aveva una predilezione per quel ragazzino cosí dinamico, allegro e intelligente. La sera in cui Ginny giaceva gemente nella sua culla, Willard fece tutto quel che poteva per richiamare l’attenzione del padre, ma lui continuava a mandar giú la sua cena. E, quando finalmente parlò, fu solo per dire al figlio di piantarla di dimenarsi e di fissarlo, e mettersi a mangiare. Ma Willard non riusciva a inghiottire neanche un boccone. Di nuovo si concentrò, di nuovo fece risalire agli occhi tutta la sua emozione, sperò con tutto il cuore – una speranza puramente altruistica, niente per sé; non avrebbe sperato mai piú niente per sé – e rivolse la sua supplica alla madre. Ma lei si limitò a voltarsi dall’altra parte e piangere.
Piú tardi, quando il padre uscí dalla baracca e la madre portò i piatti alla tinozza, lui attraversò la stanza buia fino all’angolo dove giaceva Ginny. Mise una mano nella culla. La guancia che toccò sembrava una borsa dell’acqua calda. Accanto ai piedi roventi della bambina trovò la radice che la donna indiana aveva portato loro quella mattina. Ci avvolse attorno con cura le dita di Ginny, ma appena le lasciò andare quelle tornarono a distendersi. Raccolse la radice e gliela accostò alle labbra. – Prendi, – disse, come se stesse cercando di convincere un animale a mangiare dalla sua mano. Gliela stava ficcando fra le gengive quando la porta si aprí. – Ehi, tu… lasciala stare, va’ via, – e cosí, inerme, andò a letto e, a sette anni, per la prima volta ebbe il terrificante sentore che nell’universo esistessero forze ancora piú immuni al suo fascino, ancora piú avulse dai suoi desideri, ancora piú indifferenti ai bisogni e ai sentimenti umani, di quanto lo fosse suo padre.
Ginny visse con i genitori fino alla morte della madre. Poi il padre di Willard, ormai ridotto una vecchia carcassa, si trasferí in una stanza ad Iron City, e Ginny fu portata a Beckstown, nell’angolo nordoccidentale dello stato, dove all’epoca c’era una clinica per frenastenici. Ci volle quasi un mese perché la notizia di quel che aveva fatto il padre giungesse a Willard. Ignorando le obiezioni di sua moglie, quella sera stessa salí in macchina, e guidò per quasi tutta la notte. L’indomani a mezzogiorno tornò a casa con Ginny – non a Chicago, ma nella cittadina di Liberty Center, duecentocinquanta chilometri a valle di Iron City lungo il fiume, il punto piú a sud raggiunto da Willard quando a diciott’anni aveva deciso di trasferirsi nel mondo civile.
Dopo la guerra la cittadina di campagna che era stata un tempo Liberty Center si stava sempre piú trasformando nel sobborgo di Winnisaw che avrebbe finito per diventare. Ma quando ci si stabilí Willard non c’era nemmeno un ponte sul fiume Slade che collegasse Liberty Center sulla sponda orientale con il capoluogo di contea su quella occidentale; per andare a Winnisaw bisognava prendere un traghetto dal pontile, oppure, in pieno inverno, camminare sul ghiaccio. Liberty Center era una cittadina di casette bianche ombreggiate da grossi olmi e aceri, con un palco per la banda nel mezzo di Broadway, la strada principale. Delimitata a ovest dal pallido corso del fiume, a est si apre verso la campagna, che nell’estate del 1903, quando vi giunse Willard, era di un verde cosí acceso da ricordargli – come diceva sempre per far ridere i giovani – un tizio di sua conoscenza che a un picnic aveva mangiato mezzo chilo di insalata di patate andata a male.
Editore: Einaudi
Pagine: 316
Collana: Super ET
eBook: 6,99 euro
Philip Roth è uno dei maggiori scrittori contemporanei e uno dei più importanti romanzieri ebrei di lingua inglese in assoluto. Il suo romanzo più famoso è Pastorale Americana, per il quale Roth ha ricevuto il Premio Pulitzer nel 1998.
Altri libri
Il complotto contro l’America
Il teatro di Sabbath
La macchia umana
Lamento di Portnoy
Pastorale Americana
Everyman
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