Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Quello che ti meriti di Anne Holt. Il volume è pubblicato in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 12,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Quello che ti meriti: trama del libro
Una dolente, umanissima coppia di detective: l’investigatore Stubø e la criminologa Vik. Lui, che ha appena perso moglie e figlia in uno stupido incidente, sa che l’unico modo per venire a capo del caso dei bambini rapiti è convincere Vik a partecipare alle indagini. Lei non ne ha proprio voglia, ma non può restare indifferente di fronte al crescente orrore, e alla fine accetta. Tempo da perdere proprio non ce n’è, almeno finché c’è una speranza.
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Emilie era stata svegliata da un brutto sogno quella notte. Papà dormiva; stringendosi il costume della festa nazionale al corpo, era rimasta ad ascoltarlo russare leggero attraverso la parete. L’orlo rosso si era inerpicato su fino alle ginocchia. Cresceva troppo in fretta. Papà lo diceva spesso: Cresci come i funghi, tesoro mio. Emilie aveva lisciato con la mano il tessuto di lana e cercato di accorciare il collo e ritirare le ginocchia. La nonna diceva sempre: Grete era una spilungona, non c’è da stupirsi se la bambina cresce a vista d’occhio.
A Emilie facevano male le spalle e le cosce a forza di stare sempre china. Era colpa della mamma se era cosí alta. L’orlo rosso non le arrivava piú giú delle ginocchia.
Forse poteva chiedere un costume nuovo.
Lo zaino pesava. Aveva raccolto delle farfare. Il mazzo era cosí grande che papà avrebbe dovuto cercare un vaso. Gli steli erano lunghi; non come quando, da piccola, staccava solo la testa del fiore, e poi bisognava farla galleggiare in un portauovo.
Non le piaceva camminare da sola. Però la mamma di Marte era passata a prendere Marte e Silje. Dove andavano non glielo avevano detto. Le avevano solo fatto ciao con la mano dal lunotto della macchina.
Le farfare avevano bisogno d’acqua. Alcune le erano già appassite sulle dita. Emilie cercò di non stringere troppo il mazzetto. Un fiore cadde a terra e lei si chinò a raccoglierlo.
– Ti chiami Emilie?
L’uomo sorrideva. Emilie lo guardò. Non c’era nessun altro in vista sul sentiero fra le due strade trafficate, una scorciatoia che abbreviava di dieci minuti il tragitto verso casa. Lei farfugliò qualcosa di incomprensibile e indietreggiò.
– Emilie Selbu? Sei tu, vero?
Non parlare mai con gli sconosciuti. Non andare mai con chi non conosci. Sii gentile con gli adulti.
– Sí, – sussurrò lei cercando di svicolare.
La scarpa, quella da ginnastica nuova con le stringhe rosa, affondò nel fango e le foglie morte. Emilie quasi perse l’equilibrio. L’uomo la afferrò per un braccio. Poi le mise qualcosa sul viso.
Un’ora e mezza dopo fu denunciata la scomparsa di Emilie Selbu alla polizia.
II.
– Non sono mai riuscita a lasciarmi alle spalle questa storia. Coscienza sporca, forse. D’altro canto mi ero appena laureata in giurisprudenza, in un’epoca in cui si pensava che le mamme coi figli piccoli era meglio stessero a casa ad accudirli. Non c’era molto che potessi dire o fare.
Nel suo sorriso c’era la supplica di essere lasciata in pace. La conversazione durava da quasi due ore. La donna sdraiata a letto si sollevò per respirare meglio. Era evidente che la luce del sole la infastidiva. Strinse il piumone tra le dita.
– Ho solo settant’anni, – sospirò. – Ma mi sento vecchia. Mi devi perdonare.
Johanne Vik si alzò e tirò le tende. Esitò, senza voltarsi.
– Meglio? – chiese alla fine.
L’anziana chiuse gli occhi.
– Ho scritto tutto, – disse. – Tre anni fa. Quando sono andata in pensione pensavo che avrei avuto…
Sollevò una mano sottile.
– …tanto di quel tempo.
Johanne Vik osservò la cartellina accanto a una pila di libri sul comodino. L’anziana signora annuí debolmente.
– Prendila. Non c’è molto che io possa fare ora. Non so nemmeno se quell’uomo è ancora vivo. Se cosí fosse di anni ne avrebbe… sessantacinque. Qualcosa del genere.
Chiuse gli occhi. La testa le scivolò lentamente da una parte. La sua bocca si aprí appena e quando Johanne Vik si chinò per raccogliere la cartellina rossa, sentí l’odore di un respiro malato. Senza parlare infilò le carte nella borsa e si diresse in punta di piedi verso la porta.
– Un’ultima cosa.
Trasalí e si girò verso l’anziana.
– La gente mi ha chiesto come faccio a essere cosí sicura. Per qualcuno è solo l’idea fissa di una vecchia che non serve piú a nessuno. In fondo, in tutti questi anni non ho fatto niente… ma quando avrai letto tutto, mi piacerebbe sapere…
Tossí lievemente. Chiuse di nuovo gli occhi. Silenzio.
– Sapere cosa?
Johanne Vik sussurrava, non sapeva se la signora si fosse addormentata.
– Io so che era innocente. Mi piacerebbe sapere se sei d’accordo.
– Ma non è questo che io…
L’anziana picchiettò il palmo sull’orlo del letto.
– Lo so che cosa fai. Non ti interessa se era colpevole o innocente. Ma a me sí. In questo caso particolare, mi interessa. Spero che interesserà anche a te. Dopo che avrai letto tutto. Me lo prometti? Che tornerai?
Johanne Vik accennò un debole sorriso. In realtà non era altro che una smorfia senza impegno.
III.
Emilie era già sparita altre volte. Mai a lungo, anche se in un’occasione – doveva essere stato subito dopo la morte di Grete – non era riuscito a trovarla per tre ore. Aveva cercato dappertutto. Prima aveva fatto un irritato giro di telefonate agli amici, alla sorella di Grete che viveva a soli dieci minuti da lí ed era la zia preferita di Emilie, ai nonni che non vedevano la bambina da giorni. Aveva digitato i numeri nuovi con la preoccupazione che diventava paura, con le dita che battevano sui tasti sbagliati. Poi aveva fatto una corsa per il quartiere, in circoli sempre piú grandi, con la paura che diventava panico, e aveva cominciato a piangere.
Era seduta su un albero a scrivere una lettera alla mamma, una lettera con dei disegni che avrebbe spedito in cielo sotto forma di aeroplanino. Lui l’aveva fatta gentilmente scendere dal ramo e aveva lanciato l’aeroplanino ad arco su una scarpata ripida. L’aeroplanino aveva fluttuato da un lato all’altro, quindi aveva oltrepassato due grandi betulle che da allora si erano chiamate La Strada del Paradiso. Dopo, per due settimane, non l’aveva mai persa di vista. Finché, finite le vacanze e la scuola, era stato costretto a lasciarla andare.
Questa volta però era diverso.
Non aveva mai chiamato la polizia prima; quelle scomparse piú o meno brevi non erano da prendere troppo sul serio. Ma questa era diversa. Il panico lo aggredí di colpo, come un’onda. Non sapeva perché, ma quando Emilie non tornò a casa come avrebbe dovuto, era corso alla scuola senza accorgersi di aver perso uno zoccolo di legno per strada. Sul sentiero tra le due strade principali c’erano lo zaino e un gran mazzo di farfare; la scorciatoia che non aveva mai avuto il coraggio di fare da sola.
Grete aveva comprato lo zaino a Emilie un mese prima di morire. Emilie non lo avrebbe mai lasciato lí cosí. Il padre lo raccolse controvoglia. Poteva sbagliarsi, poteva essere lo zaino di qualcun altro, di un bambino piú negligente, magari. Lo zaino sembrava quello, ma non poté esserne del tutto sicuro finché, trattenendo il respiro, non lo aprí e vide le iniziali all’interno. ES. Grandi lettere maiuscole, nella calligrafia di Emilie. Era lo zaino di Emilie, e lei non lo avrebbe mai lasciato lí per terra cosí.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice norvegese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Anne Holt.