Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Una ragazza grande di Danielle Steel, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 10,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
Una ragazza grande: trama del libro
Cicciottella, sgraziata e un po’ insicura, Victoria Dawson non si è mai sentita all’altezza della sua famiglia tanto snob quanto superficiale. Fin da piccola, ha imparato a sopportare gli sguardi di disapprovazione della madre e gli sgradevoli commenti del padre sulle sue forme morbide, e ha affogato i dispiaceri nel gelato e nei dolci, rassegnandosi a vivere nell’ombra della sorella Grace, così bella da rasentare la perfezione. Tuttavia, proprio nella sorella Victoria trova un’insperata alleata: diverse eppure così simili, le due ragazze stringono un rapporto profondo di amore incondizionato e rispetto reciproco, crescendo più vicine di quanto avrebbero mai immaginato. Almeno fino al giorno in cui Victoria decide di abbandonare Los Angeles e la sua famiglia per trasferirsi a New York. Qui, lontana da tutti, può finalmente essere la persona che ha sempre sognato e ricominciare da capo. Trova lavoro come insegnante in una delle migliori scuole private della città e, senza curarsi del mancato sostegno dei genitori – che continuano a rimproverarla per la scarsa considerazione di sé -, per la prima volta si sente felice e realizzata. Ma quando Grace le annuncia di volersi sposare con un uomo egocentrico e narcisista, che è l’esatta copia del padre, Victoria è costretta a tornare in California. Per proteggere la sorella da un matrimonio sbagliato e per affrontare la sua famiglia una volta per tutte.
Jim lavorava già presso un’agenzia di pubblicità, perciò era stata lei a occuparsi dei preparativi delle nozze. Si era laureata, ma in realtà il suo unico, vero interesse durante i quattro anni di college era stato di trovarsi un marito e sposarsi.
Adesso formavano una coppia perfetta; si integravano e si completavano a vicenda ed erano così attraenti che sarebbero stati bene sulle copertine delle riviste. Dopo il matrimonio Christine avrebbe voluto fare l’indossatrice, ma Jim non era stato d’accordo. Lui aveva un buon impiego, guadagnava bene, e non voleva che la moglie lavorasse perché poteva mantenerla, e poi gli piaceva trovarla a casa ad aspettarlo ogni sera. Chi li conosceva affermava che non c’era coppia più affiatata.
Le decisioni le prendeva Jim, senza dubbio, e a Christine andava benissimo. La madre di lei era morta giovane, e quella di Jim, che la nuora chiamava Mamma Dawson, cantava le lodi del figlio in continuazione. Lodi più che meritate, perché era un figlio devoto, un marito innamorato e affettuoso, un compagno piacevole e divertente e, inoltre con il tempo era diventato un pezzo grosso dell’agenzia pubblicitaria. Era cordiale e sapeva rapportarsi con la gente, soprattutto finché lo ammiravano e non lo criticavano, poiché in genere non ce n’era motivo. Insomma, Jim era giovane, bello, simpatico ed estroverso, si presentava bene, aveva messo su un piedistallo sua moglie e la circondava di amore. Da lei si aspettava soltanto che facesse quello che diceva lui, lo rispettasse e lo adorasse; in poche parole che gli lasciasse fare il capo, e condurre il gioco. Il padre di Christine aveva un carattere simile, e quindi lei era la donna giusta per diventare la moglie di un uomo come lui; del resto faceva una bella vita, superiore alle sue più rosee aspettative, dato che lui la circondava di ogni lusso senza farle mancare niente. Con Jim non c’era pericolo di sorprese sgradevoli, di comportamenti strani o delusioni: al contrario, lui la proteggeva e la riempiva di mille premure. Il loro rapporto funzionava alla perfezione perché entrambi conoscevano bene il proprio ruolo e seguivano rigorosamente le regole del gioco. Lui era l’Adorato, lei l’Adoratrice.
Non avevano alcuna premura di mettere al mondo dei bambini, e avrebbero anche atteso più a lungo se la gente non avesse cominciato a spettegolare, insinuando il dubbio che non potessero averne. In realtà stavano solo assaporando la loro indipendenza senza l’impegno dei figli. Facevano dei viaggetti durante il weekend, lunghe vacanze, e uscivano a cena almeno una o due volte la settimana, benché Christine fosse un’ottima cuoca e avesse imparato a preparargli i suoi piatti preferiti. A un certo punto della loro vita avrebbero senz’altro avuto degli eredi, e aspettavano il momento giusto. Però, dopo cinque anni, perfino i genitori di Jim avevano cominciato a preoccuparsi; loro sapevano che cosa voleva dire desiderare un figlio che non arrivava. Jim li aveva rassicurati che su quel versante non c’era nessun problema, era solo che volevano divertirsi e non avevano fretta. Avevano ventisette anni e intendevano godersi la libertà.
Ma dopo un po’, tutte quelle domande cominciarono a fare effetto, e Jim decise di dire a sua moglie che ormai era ora di allargare la famiglia. Christine, come sempre, si era dichiarata pienamente d’accordo: l’opinione del marito era sempre la più giusta, l’idea migliore. Avevano calcolato che ci volessero da sei mesi a un anno, invece lei rimase incinta subito, prima di quanto si aspettassero, e malgrado le preoccupazioni della suocera la gravidanza era stata semplice e senza complicazioni.
Quando cominciarono le doglie, Jim l’accompagnò in macchina all’ospedale, ma decise di non essere presente in sala parto, e anche questa sembrò a Christine la scelta più giusta: non voleva costringerlo a fare qualcosa che potesse metterlo a disagio. Jim desiderava un maschietto, di conseguenza era anche il desiderio di Christine. A nessuno dei due era mai passato per il cervello che potesse arrivare una femmina, e proprio perché si sentivano sicuri e pieni di fiducia durante la gravidanza avevano chiesto che non fosse rivelato loro il sesso del feto. Ma erano così convinti che si trattasse di un maschio che Christine aveva allestito la cameretta sulle tonalità dell’azzurro. Il nascituro si era presentato in posizione podalica ed era stato necessario il taglio cesareo.
Quando l’infermiera mostrò la bimba attraverso la vetrata del reparto maternità, Christine era ancora sotto anestesia; Jim era sconcertato, e il suo primo pensiero fu che ci fosse stato uno scambio di neonati. Quella che gli stavano indicando era una creatura con un delizioso faccino rotondo e due belle guanciotte piene, ma non assomigliava nel modo più assoluto né a lui né a Christine, e la sua testolina era circondata da un alone di capelli di un biondo chiarissimo. La cosa più sconvolgente, però, oltre ai lineamenti e al colore dei capelli, era che si trattava di una femminuccia. Non era questo, il figlio che si aspettava! Vedendo la neonata oltre il vetro riuscì a pensare soltanto che assomigliava alla regina Victoria. Lo disse addirittura a un’infermiera, la quale lo rimproverò ribattendo che sua figlia era bellissima. Ma Jim, che non aveva familiarità con le faccine grinzose e le smorfie dei neonati, non si trovò affatto d’accordo. Amareggiato, andò a sedersi triste e depresso in sala d’attesa finché lo chiamarono per dirgli che poteva far visita a sua moglie. A Christine bastò l’espressione della sua faccia per capire che era nata una femmina: non era stata all’altezza delle aspettative! Insomma, l’aveva deluso.
«È una bambina?» mormorò, ancora un po’ intontita dall’anestesia, mentre lui annuiva, ammutolito. Come avrebbe fatto a raccontare ai suoi amici che quel figlio tanto atteso era una femmina? Era un colpo durissimo per il suo ego e la sua immagine. L’incapacità di controllare la sorte lo aveva sempre indispettito. Gli piaceva organizzare tutto nei minimi dettagli, avere il polso della situazione, e Christine si era sempre mostrata disposta ad accontentarlo.
«Sì, è una femminuccia», riuscì finalmente a rispondere mentre una lacrima scendeva lenta dall’angolo di un occhio della puerpera. «Assomiglia alla regina Victoria.» Poi tentò di buttarla sul ridere. «Non so chi sia suo padre, ma a quanto pare ha gli occhi azzurri… E poi è bionda.» In nessuna delle due famiglie c’erano dei biondi, a parte la nonna di Jim, ma sembrava un po’ forzato andare a cercare una somiglianza così indietro nel tempo. Certo, si fidava ciecamente di Christine, non aveva dubbi sulla paternità. Era evidente che questa creatura era il prodotto dei geni recessivi, ma sembrava tutto fuorché la loro figlia! Le infermiere gli ripetevano di continuo che era deliziosa, ma lui non era convinto. Passarono parecchie ore prima che la portassero a Christine, la quale la contemplò stupefatta quando gliela misero in braccio, bene avvolta in una copertina rosa, e provò delicatamente ad accarezzarle le manine. Le avevano appena fatto un’iniezione per impedire la montata lattea, perché aveva preso la decisione di rinunciare all’allattamento al seno. Jim non ci teneva, e anche a lei non interessava; le importava più che altro di riacquistare il più in fretta possibile la sua figuretta snella, minuta ed elegante che a Jim piaceva tanto, anche perché durante la gravidanza lui non si era sentito attratto da lei, benché fosse stata molto attenta a non aumentare troppo di peso. Comunque, anche Christine non si capacitava che quella bambolotta paffuta con i capelli di un biondo così chiaro fosse figlia loro. Aveva le gambe lunghe, dritte, robuste. Le gambe di Jim. Ma quanto ai lineamenti…
Mamma Dawson si affrettò a dichiararsi pienamente d’accordo con suo figlio, quando la vide: somigliava alla nonna di Jim, ma si augurava che crescendo sarebbe cambiata, perché quella benedetta donna era stata per tutta la vita un donnone imponente, famosa per la sua cucina e la sua abilità nel cucito e nel ricamo, non certo per la sua avvenenza.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice newyorchese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Danielle Steel.
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