Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La ragazza senza coda di Marialuisa Amodio, romanzo edito in Italia da Fernandel con un prezzo di copertina di 15,00 euro (ma online lo si acquista con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,49.
La ragazza senza coda: trama del libro
«Bambina mia, ricorda: non fidarti di nessuno, perché il miglior amico è il peggior nemico». Queste sono le parole d’addio della nonna quando spedisce Delia a vivere da una zia, in un’altra città, lontano dalla madre, dagli amici e dalla sorella, che la piccola ama con la devozione disperata dei bambini cresciuti nelle famiglie senza amore. Parole per Delia incomprensibili, così come le ragioni del suo allontanamento.Ma negli anni successivi Delia si fiderà di tutti, tenacemente: viaggerà molto, si sposerà e andrà a vivere in Australia. E anche se è convinta di aver troncato ogni rapporto con la famiglia d’origine, questo legame oscuro continuerà a dolerle come un arto fantasma, come la coda mozzata di una lucertola o di un topo. La razionalità e l’affetto del marito solo in parte potranno aiutarla ad addomesticare il passato: la nonna maciara, la strega del paese, che somministrava punizioni corporali come fossero medicine; la madre confinata nell’infanzia da un danno subito alla nascita; i giochi che facevano da bambini, prove generali per la vita adulta in un mondo chiuso e violento. Quel passato non l’abbandona, come l’immagine di un incubo non smette di generare angoscia.Delia torna a Matera dopo vent’anni, ritrova sua sorella Silvia e i vecchi amici, Michele, Rosa, Uccio. Sono tutti lì, con le loro vite sprecate e vissute male. Sono tutti lì, tranne Tommaso. Delia non ricorda la sua fine terribile, non ricorda nulla di quell’estate lontana, finché dalla geografia distorta della memoria emerge una verità dolorosa che nel far luce brucia e distrugge, e forse, finalmente, libera.
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Sogno
Trentasette, trentotto, trentanove, conta Delia. E sono quaranta rintocchi. Ma i gradini sono soltanto diciannove e la lattina continua a rimbalzare. Smette di contare, per scaramanzia. Silvia ha detto che una bambina una volta ha contato fino a cento ed è morta.
Sua sorella è andata a nascondersi lontano. Delia l’ha vista correre fino al portone di Rosa Maragno. Lei preferisce nascondersi dietro il muro, perché, se la beccano, può correre subito a toccare porta.
Tic toc titoc.
È il barattolo di Fanta che rimbalza sui gradini di pietra. Ancora e ancora e… Se ci pensa, è strano che li abbia presi tutti. Di solito fa due, tre rimbalzi e finisce a rotolare sui mattoni irregolari del cortile. Anzi, se il calcio lo tira Uccio Papapietro, si spiaccica dritto contro il muro. E allora hai pochissimo tempo per nasconderti, perché la regola è che chi sta sotto può andare a prendere il barattolo solo quando si ferma. La regola più o meno la seguono tutti, tranne Tommaso, che si butta subito dietro al barattolo.
Le spighe sono immobili. Il vento è forte, ma gli ombrelli dei soffioni non si staccano. Delia si volta lentamente. Sul muro corrono i ragnetti rossi. Strisciando il pollice disegna una croce rossa e recita: «Muro muretto, muro benedetto, proteggimi dal diavolo che sta al mio cospetto». Michele dice che Tommaso è cattivo e finirà all’inferno. Anche nonna lo dice, e quello che dice nonna si avvera sempre.
Muro muretto, muro benedetto, proteggimi dal diavolo che sta al mio cospetto. Delia disegna un’altra croce e si mette in bocca il pollice rosso del sangue dei ragni.
Tic toc titoc.
Il barattolo non smette di rotolare sui gradini e, dietro, rotolano i passi di Tommaso. Delia si alza, piano piano, per sbirciare dal muretto. E se vede Tommaso che cade in un pozzo profondo e le vengono le vertigini e precipita dietro di lui? E se il diavolo alza il braccio dal centro della terra e la prende per i capelli e la tira giù? E se Tommaso la vede e la chiama prigioniera, così al prossimo giro tocca a lei stare sotto?
No, non vuole stare sotto, non vuole scendere a prendere il barattolo. Si succhia il pollice e vede il prato appannato e nel prato un corpo scuro che avanza. Forse è Michele che si è nascosto fra l’erba alta. Ma si muove a scatti e ha una forma strana. Viene avanti carponi. Come i bimbi piccoli e i soldati. È grosso e ansima e va veloce. Delia si morde il pollice per non urlare. Altrimenti Tommaso la sente e tocca a lei scendere al prossimo giro. Delia si toglie il dito di bocca. Scarnificato, è rimasto solo l’osso.
Oltre il muro, il barattolo continua a rimbalzare sui gradini di pietra.
Tic toc titoc.
2
Casa
La prima cosa che vide, quando aprì gli occhi, fu la cinghia della borsa che batteva sul vetro, producendo un suono metallico, abbastanza forte da risaltare nel rimbombo sferragliante del treno. Chiuse la bocca, passando la lingua sul palato per bagnare la gola dolorante e ingoiò polvere e saliva amara. Sentiva dolore allo stomaco. Si guardò intorno. Sul sedile di fronte due ragazzi la fissavano con troppa confidenza. Delia sollevò le sopracciglia e scosse piano la testa. Che c’è? Uno si girò e affogò una risata nasale nel sedile, l’altro continuò a fissarla con un sorriso sghembo.
Delia afferrò la borsa, ponendo fine al ticchettio, e se la poggiò sulle ginocchia. Di colpo arrossì, ricordando che svegliandosi aveva gridato: «No, Tommaso, non voglio stare sotto». Alzò il dito medio ai due ragazzi. Il gesto fomentò la loro ilarità.
«Trogloditi», sussurrò Delia e si diresse verso il centro del treno, in cerca del vagone ristorante.
Aveva ancora la tachicardia e bruciore allo stomaco. Per l’incubo, forse. O per quello che l’aspettava. Senza fermarsi prese due Maalox dalla borsa e li masticò in fretta. Dio, se aveva bisogno di un caffè.
«Scusi, scusi!»
Il controllore non si girava.
«Scusi», gridò più forte, avvicinandosi. «Dov’è il vagone ristorante?»
Lui la guardò come se avesse fatto una battuta. «Non c’è. L’hanno tolto».
Il treno cominciò a rallentare e si fermò stridendo nella campagna buia.
«Ferrandina. Stazione di Ferrandina», gracchiò la voce del ca¬potreno.
«Ma è la mia stazione!»
«Eh. Si sbrighi a scendere che stiamo fermi poco».
«Ho i bagagli dall’altra parte del treno», sbottò esasperata, con voce più stridula di quanto avrebbe voluto.
Il controllore alzò le spalle. «Mi dia il numero del posto che glieli faccio mandare».
«Sta scherzando?»
Dieci minuti dopo, Delia era in piedi accanto alla valigia a prendere fiato e a guardare la figura con l’impermeabile rosso che le veniva incontro. Metà treno doveva odiarla, per le borsate e la scocciatura, l’altra metà avrebbe riso di lei fino a Taranto.
La donna con l’impermeabile allargò le braccia, dimenò i fianchi ed emise uno strano grido afono. Tormentando i bordi dell’etichetta adesiva con i dati del volo da Melbourne, Delia forzò un sorriso e avanzò per ricevere l’abbraccio.
«La mia sorellina!» disse Silvia e la strinse come un pugile che sperimenta una nuova presa. Poi si staccò e disse: «La solita imbranata. Un treno intero hai bloccato».
Delia si irrigidì e afferrò il manico della valigia, quasi strappandolo alla sorella. Silvia restò a guardarla sorpresa. Scosse la testa e proseguì ciarlando fino alla macchina. Faceva mille domande, ma non aspettava la risposta. Non accennò al motivo per cui era tornata finché non entrarono in città.
«Il dottore dice che a Pasqua non ci arriva».
Delia non rispose. Le era crollata addosso tutta la stanchezza del viaggio. Appoggiò la testa al finestrino umido e guardò fuori. L’ospedale sulla collina del boschetto aveva tutte le luci spente.
«Non passiamo a trovarla?»
«Chi?»
«Nonna».
«Eh, mo’ andiamo. L’hanno dimessa ieri, te l’ho detto. Sta a casa. Viene Michele a fare le iniezioni di morfina. Te lo ricordi Michele?»
«No», rispose Delia, incerta, staccando la fronte dal vetro. Silvia insultò il tizio della macchina davanti che aveva esitato al verde e ripartì.
«Perché le luci sono spente? Le luci dell’ospedale».
«No, quelli sono gli uffici del comune adesso. Hanno fatto l’ospedale nuovo. Devi vedere quant’è bello».
«Be’, immagino che ci andremo. Per nonna».
Sua sorella si girò e la guardò con una smorfia che Delia non seppe interpretare. Mise la freccia e imboccò un vialetto in salita. Delia strinse istintivamente il manico della borsa, preparandosi a scendere. Broome e il mare, Jaime e le villette a schiera si persero lontano. Più falsi di una stella morta. Più falsi dell’infanzia. Silvia tirò il freno a mano. Delia sussultò, come se prima avesse pianto. Casa.