Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il rapporto Pelican di John Grisham. Il romanzo è pubblicato in Italia da Mondadori con un prezzo di copertina di 12,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 5% di sconto) ed è disponibile in eBook al prezzo di euro 7,99.
Il rapporto Pelican: trama del libro
Nella stessa notte due giudici della Corte Suprema americana vengono trovati uccisi in due posti diversi. Nessuno riesce a scoprire il motivo delle tragiche morti, finché Darby Shaw, studentessa di legge, formula una tesi, denominata in seguito dall’F.B.I. “rapporto Pelican”. Il docente della ragazza consegna il rapporto a un amico dell’F.B.I.: all’apparenza è un’ipotesi come altre, in esso è descritto come mandante degli omicidi un magnate del petrolio, ansioso di vincere una causa per potere sfruttare un giacimento e per questo ha fatto assassinare i due giudici. Ma il rapporto dà via a una serie di eventi sempre più drammatici…
Stava su una piccola sedia a rotelle in un ufficio al piano terreno del palazzo della Corte Suprema. Toccava con i piedi la finestra e si sforzava di tendersi in avanti mentre cresceva il baccano. Detestava i poliziotti; eppure vederli schierati in file compatte e ordinate gli dava una sensazione di sicurezza. Rimanevano immobili sulle loro posizioni mentre una folla di almeno cinquantamila persone urlava la sua sete di sangue.
«Non ne avevo mai visti tanti!» gridò Rosenberg verso la finestra. Era quasi sordo. Jason Kline, il suo assistente anziano, era in piedi dietro di lui. Era il primo lunedì di ottobre, il giorno dell’inizio del nuovo mandato, ed era diventato una celebrazione tradizionale del Primo Emendamento. Una celebrazione solenne. Rosenberg era eccitato. Per lui libertà di parola significava libertà di organizzare tumulti.
«Ci sono gli indiani?» chiese alzando la voce.
Jason Kline si chinò per parlargli all’orecchio destro. «Sì!»
«Con i colori di guerra?»
«Sì! In tenuta da combattimento.»
«E stanno danzando?»
«Sì.»
Gli indiani, i neri, i bianchi, i bruni, le donne, i gay, gli amanti degli alberi, gli animalisti, i sostenitori della supremazia dei bianchi, i sostenitori della supremazia dei neri, i contestatori fiscali, i tagliaboschi, gli agricoltori… era una marea imponente di protesta. E i poliziotti anti-disordini impugnavano gli sfollagente neri.
«Gli indiani dovrebbero amarmi!»
«Ne sono sicuro.» Kline annuì e sorrise all’ometto fragile che stringeva i pugni. La sua era un’ideologia molto semplice: il governo aveva la precedenza sugli affari, l’individuo sul governo, l’ambiente su tutto. In quanto agli indiani… dategli tutto ciò che vogliono.
Le grida, le preghiere, i canti, il salmodiare e gli urli diventarono ancora più forti, e i poliziotti serrarono le file senza darlo troppo a vedere. La folla era più numerosa e agitata che negli anni precedenti. L’atmosfera era più tesa. La violenza era all’ordine del giorno. Erano state piazzate bombe in molte cliniche abortiste, parecchi medici erano stati aggrediti e picchiati. Uno, anzi, era stato ucciso a Pensacola, imbavagliato e legato in posizione fetale e bruciato con l’acido. Gli scontri per le strade erano avvenimenti di ogni settimana. Chiese e preti erano stati attaccati da gay militanti. I sostenitori della supremazia bianca agivano attraverso una decina di note organizzazioni paramilitari abbastanza confuse, e si erano fatti più audaci negli assalti contro neri, ispanici e asiatici. L’odio era ormai diventato il passatempo prediletto dell’America.
E naturalmente la Corte era un bersaglio facile. Dopo il 1990 le minacce gravi contro i giudici erano decuplicate. La polizia della Corte Suprema aveva triplicato gli effettivi. Almeno due agenti dell’Fbi erano stati assegnati alla protezione di ogni giudice, mentre altri cinquanta erano occupati a fare indagini sulle minacce.
«Mi odiano, non è vero?» chiese Rosenberg a voce alta mentre guardava dalla finestra.
«Sì, qualcuno sì» rispose Kline con aria divertita.
A Rosenberg piaceva sentirselo dire. Sorrise e aspirò profondamente. L’ottanta per cento delle minacce di morte era indirizzato a lui.
«Vede qualche cartello?» chiese. Era semicieco.
«Sì, parecchi.»
«Cosa dicono?»
«Le solite cose. A morte Rosenberg. Rosenberg, vai in pensione. Toglietegli l’ossigeno.»
«Sono anni che sventolano gli stessi maledetti cartelli. Perché non ne fanno di nuovi?»
L’assistente non rispose. Abe si sarebbe dovuto ritirare già da anni; ma un giorno l’avrebbero portato fuori su una barella. I suoi tre assistenti svolgevano quasi tutte le ricerche, ma Rosenberg si ostinava a voler scrivere personalmente i suoi pareri. Con un grosso pennarello scribacchiava le parole su un blocco per appunti a fogli bianchi, come un alunno della prima elementare che impara a scrivere. Lavorava lentamente; ma dato che la sua era una carica a vita, il tempo non aveva molta importanza. Gli assistenti controllavano i suoi pareri e molto di rado scoprivano qualche errore.
Rosenberg ridacchiò. «Dovremmo gettare Runyan in pasto agli indiani.» Il primo giudice era John Runyan, un conservatore inflessibile nominato da un repubblicano e odiato dagli indiani e da quasi tutte le altre minoranze. Sette giudici su nove erano stati nominati da presidenti repubblicani. Erano quindici anni che Rosenberg aspettava un democratico insediato alla Casa Bianca. Voleva andarsene, ne sentiva il bisogno, ma non sopportava l’idea che un tipo di destra come Runyan occupasse il suo seggio amatissimo.
Poteva aspettare. Poteva starsene lì sulla sedia a rotelle, respirare l’ossigeno e proteggere gli indiani, i neri, le donne, i poveri, gli handicappati e l’ambiente fino a quando fosse arrivato a centocinque anni. E nessuno al mondo avrebbe potuto impedirglielo, a meno di ucciderlo. E non sarebbe stata una cattiva idea.
La testa del grand’uomo ciondolò, tremolò e si appoggiò sulla spalla. Si era riaddormentato. Kline si scostò senza far rumore e proseguì la ricerca nella biblioteca. Sarebbe tornato fra mezz’ora per controllare l’ossigeno e dare le pillole ad Abe.
L’ufficio del primo giudice è al piano terreno, ed è più grande e lussuoso degli altri otto. L’anticamera viene utilizzata per piccoli ricevimenti e riunioni ufficiali, e il primo giudice lavora nell’ufficio interno.
La porta dell’ufficio interno era chiusa, e dentro c’erano il primo giudice, i suoi tre assistenti, il capitano della polizia della Corte Suprema, tre agenti dell’Fbi e K.O. Lewis, vicedirettore dell’Fbi. L’atmosfera era solenne, e tutti facevano il possibile per ignorare il chiasso che saliva dalle strade. Ma era difficile. Il primo giudice e Lewis discutevano l’ultima serie delle minacce di morte, e tutti gli altri ascoltavano. Gli assistenti prendevano appunti.
Nei sessanta giorni precedenti l’Fbi aveva registrato più di duecento minacce, un nuovo primato. C’era il solito assortimento di lettere minatorie che incitavano “Fate saltare in aria la Corte!” ma molte erano più precise e indicavano nomi, cause, problemi.
Runyan non cercava di nascondere la sua ansia. Aveva davanti un rapporto riservato dell’Fbi e leggeva i nomi degli individui e delle organizzazioni sospettati di avere inviato le minacce. Il Ku Klux Klan, gli ariani, i nazisti, i palestinesi, i separatisti neri, i difensori della vita, gli omofobici. Perfino l’Ira. Sembrava che ci fossero tutti, tranne il Rotary e i boy scout. Un gruppo medio-orientale spalleggiato dagli iraniani aveva minacciato di spargere sangue sul suolo americano come rappresaglia per la morte di due ministri della Giustizia a Teheran. Non esisteva neppure l’ombra di un indizio che potesse collegare quegli omicidi alla nuova unità di terroristi americani di fama recente, chiamata Underground Army, Esercito Clandestino, che aveva ucciso nel Texas un giudice federale con un’autobomba. Non c’erano stati arresti, ma l’UA aveva rivendicato l’attentato. Inoltre, era sospettato di una dozzina di esplosioni avvenute negli uffici dell’Aclu, ma faceva sempre lavori molto puliti, senza lasciare tracce.
«E i terroristi portoricani?» chiese Runyan senza alzare gli occhi.
«Non hanno molto peso. Non sono loro, quelli che ci preoccupano» rispose K.O. Lewis con noncuranza. «Continuano a minacciare da vent’anni.»
«Be’, forse stavolta hanno fatto qualcosa. Il clima è quello giusto, non le sembra?»
«Lasci perdere i portoricani, capo.» A Runyan piaceva sentirsi chiamare capo. Non signor primo giudice, ma semplicemente capo. «Quelli minacciano solo perché lo fanno tutti gli altri.»
«Molto divertente» disse senza sorridere. «Molto divertente. Mi dispiacerebbe se qualche gruppo restasse escluso.» Runyan buttò il rapporto sulla scrivania e si massaggiò le tempie. «Parliamo della sicurezza.» E chiuse gli occhi.
K.O. Lewis posò la sua copia del rapporto sulla scrivania del capo. «Ecco, il direttore pensa che dovremmo assegnare quattro agenti a ogni giudice, almeno per i prossimi novanta giorni. Ci serviremo di berline scortate per andare e tornare dal lavoro, e la polizia della Corte Suprema garantirà il suo appoggio e la sicurezza del palazzo.»
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore statunitense rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Grisham. Vi invitiamo inoltre a leggere il nostro articolo dedicati ai migliori libri di John Grisham diventati film o serie TV.
Lascia un commento