Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il Regno del Drago d’oro di Isabel Allende. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 9,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Il Regno del Drago d’oro: trama del libro
Un piccolo e paradisiaco paese, il Regno Proibito, incastonato tra le montagne dell’Himalaya, che vive in uno splendido e pacifico isolamento da milleottocento anni; un monaco buddista che si sta occupando della formazione spirituale del giovane erede al trono; un prezioso oracolo in grado di predire il futuro in una lingua sconosciuta, quella anticamente usata dagli yeti. Questi sono gli ingredienti della nuova avventura di Nadia e Alexander, già protagonisti di “La città delle bestie”, ora alle prese con una pericolosa setta di sanguinari banditi indiani assoldati da un’organizzazione criminale internazionale per trafugare la preziosa statua dai poteri divinatori e per rapire il re che sa come interpellarla.
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Anche con il cielo sereno, il freddo era pungente. Indossavano tuniche di lana e ruvidi mantelli di pelle di yak. Calzavano stivali di cuoio dello stesso animale, foderati di pelo e impermeabilizzati con il grasso. Procedevano con estrema cautela perché uno scivolone sul ghiaccio poteva farli precipitare per centinaia di metri nei profondi crepacci che, come colpi d’ascia vibrati da un dio, fendevano le montagne.
Contro il cielo azzurro intenso si stagliavano le luminose cime innevate dei monti, verso le quali i due viandanti avanzavano lentamente per la rarefazione d’ossigeno dovuta all’altitudine. Facevano frequenti soste per abituare i polmoni. Provavano dolore al petto, alle orecchie e alla testa, sentivano nausea e spossatezza, ma nessuno dei due accennava alle debolezze del corpo; si limitavano a controllare la respirazione per trarre il maggior vantaggio da ogni singola boccata d’aria.
Erano alla ricerca di piante rare, essenziali per la preparazione di lozioni e balsami medicinali, che si trovavano unicamente nella gelida Valle degli Yeti. Se fossero sopravvissuti ai pericoli del viaggio, si sarebbero potuti considerare degli iniziati, dal momento che il loro carattere si sarebbe temprato come acciaio. Nel corso della traversata, in molte occasioni, la volontà e il coraggio erano messi a dura prova. Il discepolo avrebbe avuto bisogno di entrambe le virtù per portare a termine il compito che la vita gli aveva assegnato. Per questo il suo nome era Dil Bahadur, che nella lingua del Regno Proibito significa “cuore intrepido”. Il cammino verso la Valle degli Yeti rappresentava una delle ultime tappe della rigorosa formazione che durava ormai da dodici anni.
Il ragazzo non conosceva la vera ragione del viaggio, che andava ben oltre la ricerca delle piante curative o la sua iniziazione come lama superiore. Il maestro non poteva rivelargliela, così come non poteva parlargli di molte altre cose. La sua missione era guidare il principe in ogni tappa del suo lungo apprendistato; doveva temprare il suo corpo e il suo carattere, esercitarne la mente e mettere ripetutamente alla prova il valore del suo spirito. Dil Bahadur avrebbe scoperto più tardi la ragione del viaggio alla Valle degli Yeti, quando si sarebbe trovato dinnanzi alla meravigliosa statua del Drago d’oro.
Tensing e Dil Bahadur avevano con sé coperte, cereali e grasso di yak, indispensabili per la sopravvivenza. Arrotolate in vita portavano corde di peli di yak utili per scalare e in mano tenevano un bastone lungo e resistente come una pertica per puntellarsi, per difendersi in caso d’attacco e per montare una tenda improvvisata la notte. Lo usavano anche per saggiare la profondità e la stabilità del terreno prima di posare i piedi in quelle zone dove, secondo la loro esperienza, la neve fresca copriva di solito profonde cavità. Spesso incontravano crepacci che, impossibili da saltare, li obbligavano a lunghe deviazioni. A volte, per risparmiarsi ore di cammino, adagiavano la pertica sul precipizio e, una volta certi che fosse saldamente fissata ai due estremi, si azzardavano a posarvi sopra un piede, ma senza fare più di un solo passo, per balzare dall’altra parte, perché le probabilità di cadere nel vuoto erano alte. Saltavano senza pensarci, a mente sgombra, confidando nella destrezza del corpo, nell’istinto e nella buona sorte; se si fossero fermati a calcolare i movimenti, non avrebbero mai osato provarci. Se il crepaccio era più largo della lunghezza del bastone, assicuravano una corda a una roccia alta, poi uno dei due si legava l’altra estremità in vita, prendeva la rincorsa e saltava, dondolando come un pendolo, fino a raggiungere il bordo opposto. Il giovane discepolo, pur dotato di grande fermezza e audacia davanti al pericolo, era sempre titubante quando si trattava di ricorrere a tali metodi.
Erano giunti a uno di questi crepacci e il lama stava cercando il punto più adatto per superarlo. Il ragazzo chiuse per un istante gli occhi, levando al cielo una preghiera.
“Hai paura di morire, Dil Bahadur?” indagò sorridendo Tensing.
“No, venerabile maestro. L’ora della mia morte è scritta nel mio destino da quando sono nato. Morirò quando avrò portato a termine il compito di questa reincarnazione e il mio spirito sarà pronto per volare; solo ho paura di spaccarmi tutte le ossa e di rimanere vivo laggiù” replicò il ragazzo, indicando l’impressionante precipizio che si apriva ai suoi piedi.
“Può darsi che ciò possa effettivamente rappresentare un inconveniente” ammise il lama di buon umore. “Se apri la mente e il cuore, ti sembrerà più semplice” aggiunse.
“E cosa fareste se dovessi cadere nel burrone?”
“Nel caso, ci penserei al momento opportuno! Ora sono distratto da altri pensieri.”
“Posso sapere quali, maestro?”
“La bellezza del panorama” replicò indicando l’interminabile catena montuosa, l’immacolato candore della neve, il fulgore del cielo.
“Assomiglia a un paesaggio lunare” osservò il ragazzo.
“Può darsi… Su quale parte della luna sei stato, Dil Bahadur?” chiese il lama dissimulando nuovamente un sorriso.
“Non sono ancora andato così lontano, maestro, ma me la immagino così.”
“Sulla luna il cielo è nero e non ci sono montagne simili a queste. Non c’è nemmeno la neve. È tutto roccia e polvere color cenere.”
“Può darsi che un giorno io possa compiere un viaggio astrale sulla luna, come il mio venerabile maestro” continuò il discepolo.
“Può darsi…”
Dopo che il lama ebbe assicurato la pertica, si tolsero le tuniche e i mantelli che impedivano loro di muoversi con scioltezza e legarono insieme le loro cose in quattro fagotti. Il lama aveva l’aspetto di un atleta. La schiena e le braccia erano tutte un fascio di muscoli, il collo era grosso quanto la coscia di un qualunque altro uomo e le gambe sembravano tronchi d’albero. Quell’incredibile corpo da guerriero contrastava con il viso sereno, gli occhi dolci e la bocca delicata, quasi femminile, sempre sorridente. Tensing afferrò i fagotti a uno a uno, prese lo slancio facendo girare il braccio come la pala di un mulino, e li lanciò dall’altra parte del precipizio.
“La paura non è reale, Dil Bahadur; è solo nella tua mente, come tutto il resto. I nostri pensieri danno forma a ciò che noi supponiamo sia la realtà” gli disse.
“In questo momento la mia mente sta creando una voragine piuttosto profonda, maestro” mormorò il principe.
“E la mia mente sta creando un ponte molto sicuro” replicò il lama.
Fece un cenno di commiato al ragazzo che attendeva sulla neve, compì un lungo passo nel vuoto, collocò il piede destro a metà del bastone di legno e in una frazione di secondo si diede una spinta in avanti, raggiungendo con il piede sinistro l’altra sponda. Dil Bahadur lo imitò con minor grazia e velocità, ma senza che un solo gesto tradisse il suo nervosismo. Il maestro notò che la pelle del giovane brillava, imperlata di sudore. Si rivestirono in fretta e ripresero il cammino.
“Manca molto?” chiese Dil Bahadur.
“Può darsi.”
“Sarebbe un’impertinenza chiedervi di non rispondermi sempre ‘può darsi’, maestro?”
“Può darsi” sorrise Tensing, e dopo una pausa aggiunse che, stando alle istruzioni della pergamena, dovevano proseguire verso nord. Mancava ancora la parte di strada più difficile.
“Avete mai visto gli yeti, maestro?”
“Assomigliano ai dragoni, dalle orecchie esce fuoco e hanno quattro paia di braccia.”
“Ma è meraviglioso!” esclamò il ragazzo.
“Quante volte ti ho detto di non credere a tutto quello che senti? Cerca la tua, di verità” scoppiò a ridere il lama.
“Maestro, non stiamo studiando gli insegnamenti di Buddha: stiamo semplicemente conversando…” sospirò il discepolo, a disagio.
“In questa vita non ho mai visto gli yeti, ma me li ricordo da una precedente. Hanno la nostra stessa origine e diverse migliaia di anni fa la loro civiltà era sviluppata quasi quanto quella umana, ma ora sono molto primitivi e hanno un’intelligenza limitata.”
“Che cosa è successo?”
“Sono esseri molto aggressivi. Si sono uccisi fra loro e hanno distrutto tutto ciò che avevano, compresa la loro terra. I sopravvissuti si rifugiarono sulle cime dell’Himalaya e così iniziò la degenerazione della razza. Ora assomigliano a degli animali” spiegò il lama.
“Sono molti?”
“Tutto è relativo. Ci sembreranno molti se ci attaccheranno e pochi se si riveleranno cordiali. A ogni modo, pur avendo una vita breve, si riproducono facilmente e quindi immagino ce ne saranno parecchi nella valle. Vivono in un luogo inaccessibile, ma a volte qualcuno si allontana a caccia di cibo e si perde. Può darsi che dipenda da ciò il ritrovamento delle orme che sono state attribuite all’abominevole uomo delle nevi, come si è soliti chiamarlo” azzardò il lama.
“Le impronte sono enormi. Devono essere giganteschi. Saranno ancora molto aggressivi?”
“Fai molte domande per le quali non ho risposte, Dil Bahadur” replicò il maestro.
Tensing guidò il discepolo sulle cime dei monti, saltando precipizi, scalando ripidissimi pendii, scivolando lungo stretti sentieri scavati nella roccia. C’erano vecchi ponti sospesi, ma erano ridotti in pessimo stato e bisognava percorrerli con prudenza. Quando il vento soffiava o cadeva la grandine, i due viandanti cercavano rifugio e attendevano. Una volta al giorno mangiavano tsampa, un impasto di farina d’orzo tostato, erbe essiccate, grasso di yak e sale. Di acqua ce n’era in abbondanza sotto le croste di ghiaccio. A volte il giovane Dil Bahadur aveva l’impressione che stessero camminando in tondo, perché il paesaggio gli sembrava sempre uguale, ma non esternava i suoi dubbi: sarebbe stata una scortesia nei confronti del maestro.
Quando calava la sera cercavano un rifugio per la notte. A volte bastava una rientranza dove potersi sistemare al riparo dal vento, altre volte trovavano una grotta, ma di tanto in tanto non restava loro che dormire all’addiaccio, protetti a malapena dalle pellicce di yak. Una volta organizzato lo spartano accampamento, si sedevano a gambe incrociate di fronte al sole che tramontava e salmodiavano il mantra fondamentale di Buddha, ripetendo in continuazione Om mani padme hum, “Onore al gioiello del loto”. L’eco ripeteva il loro cantico, moltiplicandolo all’infinito tra le alte vette dell’Himalaya.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice di origine cilena rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Isabel Allende.
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