Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Resistere non serve a niente di Walter Siti. Il romanzo è pubblicato in Italia da Rizzoli con un prezzo di copertina di 10,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Resistere non serve a niente: trama del libro
Molte inchieste ci hanno parlato della famosa “zona grigia” tra criminalità e finanza, fatta di banchieri accondiscendenti, broker senza scrupoli, politici corrotti, malavitosi di seconda generazione laureati in Scienze economiche e ricevuti negli ambienti più lussuosi e insospettabili. Ma è difficile dar loro un volto, immaginarli nella vita quotidiana. Walter Siti, col suo stile mimetico e complice, sfrutta le risorse della letteratura per offrirci un ritratto ravvicinato di Tommaso: ex ragazzo obeso, matematico mancato e giocoliere della finanza; tutt’altro che privo di buoni sentimenti, forte di un edipo irrisolto e di inconfessabili frequentazioni. Intorno a lui si muove un mondo dove il denaro comanda e deforma; dove il possesso è l’unico criterio di valore, il corpo è moneta e la violenza un vantaggio commerciale. Conosciamo un’olgettina intelligente e una scrittrice impegnata, un sereno delinquente di borgata e un mafioso internazionale che interpreta la propria leadership come una missione. Un mondo dove soldi sporchi e puliti si confondono in un groviglio inestricabile, mentre la stessa distinzione tra bene e male appare incerta e velleitaria. Proseguendo nell’indagine narrativa sulle mutazioni profonde della contemporaneità, sulle vischiosità ossessive e invisibili dietro le emergenze chiassose della cronaca, Siti prefigura un aldilà della democrazia: un inferno contro natura che chiede di essere guardato e sofferto con lucidità prima di essere (forse e radicalmente).
Approfondimenti sul libro
Resistere non serve a niente è in vendita anche in formato eBook al prezzo di euro 7,99.
1.
Le scimmie cappuccine sono quelle con la faccia nuda, il manto color frate e il cappuccio bianco; Keith Chen, docente di Economia a Yale, ne ha addestrate sette (quattro femmine e tre maschi) all’uso del denaro. Ha cominciato distribuendo nelle gabbie dei piccoli dischi di metallo con un foro in mezzo: le scimmie li annusavano, li addentavano e poi li buttavano via. Ma pian piano si sono accorte che fin che avevano i dischi tra le dita venivano rifornite di frutta dai ricercatori, mentre la frutta spariva appena li gettavano. Così hanno imparato a tenerseli in mano fin che non ricevevano la frutta, anzi a scambiarla coi dischi (che da quel momento per loro erano diventati denaro a tutti gli effetti). Chen, allora, ha provato a differenziare i prezzi delle banane e delle mele: tre dischi per una banana, uno solo per una mela – anche i comportamenti si sono differenziati in conseguenza: chi appena avuto un disco lo scambiava subito con una mela, chi amando le banane preferiva aspettare e accumularne tre. Due diverse categorie di consumatori. Dopo parecchi altri esperimenti altrettanto istruttivi (tipo provocare un improvviso rialzo dei prezzi e poi un inspiegabile ribasso), Chen ha voluto vedere come reagissero le scimmie a una ricchezza inaspettata e ha immesso nella gabbia, di colpo, tantissime monete: tutte le cappuccine si sono affrettate ad arraffare più monete che potevano per fare incetta di frutta. Tutte tranne una, un giovane maschio – che invece, dopo aver ammassato un bel gruzzolo, si è avvicinato a una femmina e traendola in disparte gliel’ha deposto ai piedi. La femmina s’è accoppiata subito col donatore, poi ha raccolto il gruzzoletto e si è avviata anche lei a comprare la frutta. Primo caso sperimentale, tra gli animali, di sesso offerto in cambio di denaro.
Questa parabola etologica, estranea com’è a troppo frettolosi e ingombranti parametri morali, può dimostrarsi un buon punto di partenza; soprattutto perché il comportamento ha avuto luogo in un contesto di abbondanza e non di privazione (la giovane femmina avrebbe potuto procurarsi i dischi di metallo da sola, e comunque nessuno stava soffrendo la fame). Da qualche tempo, assecondando un’indignata spinta a “chiamare le cose col loro nome”, molti hanno insistito che le cosiddette escort non sono altro che prostitute (o troie, o mignotte); le parole hanno un peso, in genere quando una parola nuova si afferma è segno che è accaduto qualcosa di nuovo nella realtà. Come i pendolari stipati sui treni locali sembrano ormai incomparabili per natura ai manager che interrogano i loro iPad sul Frecciarossa, così le prostitute di strada e i loro clienti hanno l’aria di appartenere a una diversa umanità rispetto al variegato e sfumatissimo panorama delle (e degli) escort: a mondi separati, parole separate. Le riflessioni che seguono si riferiranno soltanto al mondo ricco o comunque benestante, perché la miseria e il bisogno (oltre a pretendere pietà e rispetto) introducono troppo rumore di fondo nella già complicata faccenda del corpo e del desiderio.
Nell’universo delle escort, e nella zona di alta gamma della Rete, è davvero il corpo quello che si vende? Molti pensano che sia piuttosto l’immagine, tant’è vero che il medesimo corpo, quando è valorizzato da foto o passerelle o tivù, aumenta di prezzo; e le donne (o gli uomini) che si vendono lo sanno talmente bene che affollano le palestre per migliorare la loro immagine assai più che le loro prestazioni sessuali. Il valore d’uso della merce (l’atto sessuale) è largamente superato dal suo valore di scambio, come icona del lusso e status symbol. E dunque si paga il lavoro che è stato necessario per produrre la merce, compreso il trasporto (vedi il successo di molte escort esotiche, che portano con sé il brivido di lingue e Paesi lontani).
Con la pansessualizzazione degli ultimi trent’anni, anche il sesso è diventato un mediatore universale esattamente come il denaro; entrambi si impregnano di un riflesso d’assoluto – il denaro per l’infinità di cose in cui riesce a trasformarsi (“divinità che congiunge gli impossibili e li costringe a baciarsi” lo definisce Shakespeare nel Timone d’Atene); il sesso perché, sganciato dall’amore, ne ha conservato tuttavia un profumo d’infinito. Molti imprenditori, lo sappiamo, pagano i politici direttamente in russe, o lituane; più che una merce, il corpo diventa moneta – e se diventa esso stesso, come il denaro, l’equivalente generale di molti specifici beni, allora non deve avere caratteristiche troppo individuanti; di qui l’omologazione estetica, ottenuta con la chirurgia o con mezzi più soft come l’abbigliamento e il trucco. Se il corpo diventa moneta, che cosa compra esattamente il cliente quando cerca la compagnia di una escort? Con tot euro, o dollari, compra un altro tipo di moneta che può eventualmente scambiare per ottenere più ambiziosi e immateriali favori. La prostituzione, in questo caso, somiglia a un commercio di valuta.
2.
Il gioco di specchi delle proiezioni si allea con la tecnologia nel dilatare lo spazio tra prostituzione reale e prostituzione percepita; se l’immagine è più importante del corpo, la ragazzina che si fotografa seminuda e vende i propri scatti col telefonino ai compagni di scuola, lo capisce o no che sta prostituendosi? E se si riprende con una webcam? Se guadagnare denaro ballando la lap dance è socialmente e moralmente lecito, lasciarsi sfiorare da un cliente durante una sessione a porte chiuse di table dance si configurerà come prostituzione o no? Guardare e non toccare? O solo carezze intime, senza penetrazione? Distinzioni bizantine o gesuitiche: vendere la propria immagine significa svendere l’ideale di sé o realizzare pulsioni segrete? O magari secondo il pensiero selvaggio significa davvero vendere l’anima, forse più di chi si limita a concedere il proprio corpo figurandosi altrove? Accettare soldi da un giornale per incastrare un calciatore facendoci l’amore gratis, è un ruolo da attrice o da prostituta? Una pratica che comincia a diffondersi nelle discoteche, di versare una cifra alla ragazza per “velocizzare il corteggiamento”, senza obbligo di consenso finale, a che punto sta della scala? Pigrizia, orrore della fatica inutile; e se l’immagine di un prodotto di lusso è più glamour dell’immagine di sé, essere parificata a quel prodotto non sarà invece una promozione?
Se davvero ciò che il cliente compra è una sensazione (non si osa dire un sentimento) immateriale, allora non sarà più concreta (e quindi più prostitutiva) la vendita della propria forza-lavoro? Il padrone mercifica il tuo corpo e talvolta lo fa ammalare, mentre come escort sei tu che scientemente ti modifichi e puoi perfino illuderti di esercitare un potere su chi ti paga. Praga o Venezia si prostituiscono nel momento che si imbellettano per compiacere i turisti, tradiscono il loro cuore segreto per agghindarsi di falsi ori e di luci pacchiane. Il corpo come paesaggio o come opera d’arte kitsch; chi lo vende può pensare di stare eventualmente peccando contro il buon gusto, non certo contro la morale. Molte ragazze scherzano autoironiche su come si vestono quando si recano negli hotel per un “cena e dopocena” – nella vita di tutti i giorni, quella che conta, stanno in jeans e maglietta. Sono madri affettuose, figlie che hanno un buon dialogo coi genitori. L’idea non è più quella del marchio infamante che dura una vita, la lettera scarlatta o la Traviata dell’opera lirica: anche la prostituzione è precaria, come tutto. I ricchi e potenti non ti comprano, al massimo ti prendono in leasing finché il rapporto qualità-prezzo gli converrà, e finché il loro desiderio non si rivolgerà altrove. Ma anche le ragazze (o i ragazzi) pensano di vendersi fin che gli conviene: anche il loro non è un vendersi ma un affittarsi (“rent girls” o “boys” è la dizione americana), in una fluidità di mercato che equipara il corpo a una cedola, a una promessa di valore che se sei abbastanza brava puoi anche moltiplicare senza che qualcuno effettivamente la riscuota. Non più merce e forse nemmeno denaro ma piuttosto un derivato, un future.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore modenese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Walter Siti.
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