Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il ricatto di John Grisham. Il romanzo è pubblicato in Italia da Mondadori con un prezzo di copertina di 11,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è disponibile in eBook al prezzo di euro 7,99.
Il ricatto: trama del libro
Kyle McAvoy è un giovane avvocato intelligente e di bell’aspetto, con un roseo futuro davanti. Ma nel suo passato c’è un segreto che vorrebbe dimenticare. Quando alcuni loschi personaggi lo avvicinano, annunciandogli di avere le prove del suo coinvolgimento in uno stupro di gruppo negli anni del college, Kyle capisce di non essere più l’unico padrone del suo destino. Gli uomini che lo hanno contattato affermano di essere agenti dell’FBI e lo costringono a piegarsi alla loro volontà. I ricattatori, in realtà, agiscono per conto di un misterioso committente interessato a una causa per il possesso dei progetti di un avveniristico bombardiere commissionato dal Pentagono. Kyle dovrà semplicemente accettare la proposta di lavorare a New York nel più prestigioso studio legale del mondo, che gli ha offerto un impiego strapagato. Questo gli consentirà di passare ai suoi ricattatori preziose informazioni. Kyle si rende conto che la sua carriera e la sua libertà sono in pericolo, così come il futuro che aveva immaginato per sé. Ribellarsi al diabolico meccanismo che rischia di stritolarlo significherà ridare un senso al suo codice etico e mettersi una volta per tutte alla ricerca della verità, anche su se stesso.
A quattro minuti dalla fine della partita, coach Kyle guardò verso la panchina, fece un cenno in direzione di un ragazzino cupo e imbronciato di nome Marquis e gli chiese: «Vuoi entrare?». Senza rispondere, Marquis si avvicinò al tavolo dei giudici e aspettò un’interruzione del gioco. Le sue infrazioni erano numerose: allenamenti saltati, scuola marinata, brutti voti, smarrimento dell’uniforme, turpiloquio. In effetti, dopo dieci settimane e quindici partite, Marquis aveva violato tutte le poche norme che il suo allenatore aveva tentato di imporre. Coach Kyle si era reso conto ormai da tempo che qualsiasi nuova regola sarebbe stata immediatamente trasgredita dalla sua star, ed era quella la ragione per cui aveva ridotto al massimo l’elenco e vinto la tentazione di aggiungerne altre. Non stava funzionando comunque. Cercare di gestire con mano morbida dieci ragazzini provenienti da quartieri degradati aveva fatto finire i Red Knights all’ultimo posto in classifica del campionato d’inverno, divisione fino ai dodici anni.
Marquis di anni ne aveva solo undici, ma era chiaramente il miglior giocatore sul parquet. Preferiva tirare e segnare piuttosto che passare e difendere, e nel giro di due minuti, evitando agilmente la marcatura di atleti più grossi di lui, aveva segnato sei punti. Aveva una media di quattordici punti a partita e, se gli fosse stato concesso di giocare più di un tempo, probabilmente avrebbe potuto arrivare a trenta. Secondo la sua giovane opinione, non aveva alcun bisogno di allenarsi.
Nonostante l’one-man show, la partita ormai era persa. Kyle McAvoy sedeva silenzioso in panchina e guardava l’azione sul campo aspettando che l’orologio segnasse la fine. Ancora un incontro e la stagione si sarebbe conclusa, la sua ultima da coach. In due anni aveva vinto dodici partite e ne aveva perse ventiquattro, e ora si interrogava sui motivi per cui una persona sana di mente potesse di sua spontanea volontà decidere di allenare, a qualsiasi livello. Lo faceva per i ragazzi, si era detto mille volte, ragazzi senza padre, ragazzi con famiglie disastrate, ragazzi bisognosi dell’influenza di una figura maschile positiva. E ci credeva ancora, ma dopo due anni passati a fare il baby-sitter, a discutere con i genitori quando si prendevano il disturbo di farsi vedere, a litigare con altri allenatori che non erano ostili al gioco sporco, a tentare di ignorare arbitri adolescenti che non distinguevano un blocco da uno sfondamento, non ne poteva più. Aveva chiuso con il servizio alla comunità, perlomeno in quella città.
Kyle seguiva la partita e aspettava, strillando ogni tanto perché era quello che si supponeva dovesse fare un coach. Si guardò intorno nella palestra semideserta, un vecchio edificio di mattoni nel centro di New Haven, sede della lega giovanile da quasi cinquant’anni. Sulle gradinate c’era un gruppetto di genitori, in attesa della sirena finale. Marquis fece di nuovo canestro. Nessuno applaudì. I Red Knights erano sotto di dodici punti a due minuti dalla fine.
In fondo alla palestra, proprio sotto il vecchio tabellone segnapunti, si aprì la porta ed entrò un uomo, che si appoggiò alle tribune mobili. Si notava perché era un bianco. In nessuna delle due squadre c’erano giocatori bianchi. L’uomo dava nell’occhio anche perché indossava un abito nero, o blu scuro, camicia bianca e cravatta bordeaux, il tutto sotto un trench che indicava il suo essere un agente federale o un qualche tipo di poliziotto.
Fu solo per caso che Kyle lo vide entrare, e pensò subito che fosse fuori posto. Probabilmente un detective, forse uno della Narcotici alla ricerca di uno spacciatore. Non sarebbe stato il primo arresto nella palestra o negli immediati dintorni.
Dopo essersi appoggiato alle tribune, l’agente/poliziotto lanciò una lunga occhiata verso la panchina dei Red Knights e i suoi occhi sembrarono fermarsi su Kyle, il quale sostenne lo sguardo per un secondo prima di cominciare a sentirsi a disagio. Marquis tirò da quasi metà campo e coach Kyle balzò in piedi, allargò le braccia e scosse la testa come per chiedere: “Perché?”. Marquis lo ignorò e rientrò in difesa. Uno stupido fallo fermò l’orologio, prolungando l’agonia. Mentre osservava il giocatore che eseguiva i tiri liberi, Kyle notò sullo sfondo l’agente/poliziotto che continuava a guardare, non l’azione sul campo ma l’allenatore.
A un venticinquenne specializzando in legge senza precedenti penali e senza alcun comportamento o tendenza illegale, la presenza e l’attenzione di un uomo che aveva tutta l’aria di lavorare per qualche ramo delle forze dell’ordine non avrebbero dovuto suscitare alcuna preoccupazione. Ma non funzionava mai così per Kyle McAvoy. I vigili e gli agenti della Stradale non lo inquietavano in modo particolare: erano pagati per reagire a un’infrazione. Ma gli uomini in abito scuro, detective e agenti, quelli addestrati a scavare in profondità per scoprire segreti… tipi del genere lo mettevano in agitazione.
Trenta secondi alla fine e Marquis stava litigando con un arbitro. Due settimane prima ne aveva colpito uno scagliandogli addosso la palla ed era stato squalificato per una partita. Coach Kyle strillò alla sua star, che non gli diede ascolto, poi passò rapidamente lo sguardo nella palestra per vedere se l’agente/poliziotto N. 1 fosse solo o accompagnato dall’agente/poliziotto N. 2. No, era solo.
Un altro fallo stupido e Kyle urlò all’arbitro di lasciar correre. Si rimise a sedere e si passò una mano su un lato del collo, poi si asciugò il sudore. Era l’inizio di febbraio e la palestra, come sempre, era gelida.
Allora perché stava sudando?
L’agente/poliziotto non si era mosso di un millimetro. Sembrava divertirsi a fissare Kyle.
Finalmente la vecchia sirena gracchiò rauca. La partita grazie a Dio era finita. Una squadra fece festa e l’altra rimase indifferente. Tutte e due si allinearono per scambiarsi l’obbligatorio cinque e il solito “bella partita, bella partita”, tanto privo di significato per i giocatori dodicenni quanto per quelli dei college. Mentre si congratulava con il coach avversario, Kyle guardò in fondo alla palestra: l’uomo bianco era sparito.
Quante probabilità c’erano che stesse aspettando fuori? Naturalmente era paranoia, ma la paranoia era entrata a far parte della sua vita da così tanto tempo che ormai Kyle si limitava a riconoscerne la presenza, adeguarsi e andare avanti.
I Red Knights si ritrovarono nello spogliatoio della squadra ospite, un locale piccolo e pieno di roba sotto le cadenti gradinate fisse riservate ai sostenitori della squadra di casa. Coach Kyle disse tutte le cose che doveva dire: buona gara, bella difesa, il nostro gioco in certe fasi è migliorato, sabato vediamo di chiudere in bellezza. I ragazzi si stavano cambiando e non lo ascoltavano quasi. Erano stanchi di basket perché erano stanchi di perdere e, naturalmente, tutte le colpe erano del coach. Che era troppo giovane, troppo bianco, troppo Ivy League.
I pochi genitori presenti stavano aspettando fuori dallo spogliatoio, ed era proprio durante quei momenti di tensione, quando la squadra usciva, che Kyle odiava maggiormente il suo servizio alla comunità. Ci sarebbero state le solite lamentele sui minuti di gioco. Marquis aveva uno zio,un ventiduenne ex all-state, con una gran boccaccia e la tendenza a lamentarsi per l’ingiusto trattamento riservato al “miglior giocatore della lega” da parte di coach Kyle.
Nello spogliatoio c’era una seconda porta: dava in uno stretto corridoio buio che si snodava dietro le gradinate fino a un’uscita su un vicolo. Kyle non era il primo allenatore ad averlo scoperto, e quella sera voleva evitare non solo le famiglie con le loro lagnanze, ma anche l’agente/poliziotto. Salutò rapidamente i ragazzi e, mentre loro lasciavano lo spogliatoio, si diede alla fuga. Nel giro di pochi secondi raggiunse il vicolo e poi la strada, dove si mise a camminare veloce. C’era parecchia neve ammucchiata e il marciapiede, rivestito da uno strato di ghiaccio, era a malapena transitabile. La temperatura era molto al disotto dello zero. Erano le otto e mezzo di un mercoledì sera e Kyle era diretto alla redazione della rivista della scuola di legge di Yale, dove avrebbe lavorato almeno fino a mezzanotte.
Non andò così.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore statunitense rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a John Grisham.
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