Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Ricordati di guardare la luna di Nicholas Sparks, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 9,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
Ricordati di guardare la luna: trama del libro
Ovunque sarai e qualunque cosa stia accadendo nella tua vita, tutte le volte che ci sarà la luna piena tu cercala nel cielo… Così gli scriveva Savannah quando a dividerli era solo l’oceano, e aspettavano di potersi riabbracciare. John Tyree è un ragazzo solitario e ribelle che ha trovato sfogo all’indole violenta arruolandosi nell’esercito e facendosi mandare di stanza in Europa. Savannah Lynn Curtis è una studentessa esuberante e idealista che trascorre l’estate dedicandosi al volontariato con un gruppo religioso. Due personalità agli antipodi, eppure, quando per caso si incontrano sulla spiaggia di Wilmington, nel North Carolina, durante una licenza di lui, capiscono di avere affinità profonde e giurano di amarsi per sempre. Per John la fine della ferma non è lontana e il trascorrere dei mesi sarà più dolce, scandito dalle lettere della sua ragazza che gli rammentano quei momenti magici al chiaro di luna. Manca poco al congedo quando sulle Torri Gemelle si scatena l’inferno e il soldato, invece di tornare a casa, sceglie di essere mandato in Medio Oriente. Cinque anni dopo, rimpatriato d’urgenza per assistere il padre morente, John va alla ricerca di Savannah e si trova di fronte a una realtà totalmenre inaspettata… Solo l’uomo nuovo che – grazie a lei – è diventato, saprà accettarla e riscattarla con un atto estremo di generosità.
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Wrightsville Beach si trova su un’isoletta appena al largo della costa ed è una delle spiagge più frequentate dello stato. Lì le abitazioni lungo le dune vengono affittate durante la stagione estiva a prezzi scandalosamente alti. Gli Outer Banks potranno avere anche un fascino più romantico, con la loro posizione isolata, i cavalli selvaggi e il ricordo del primo volo che rese celebri i fratelli Wright, ma credetemi, i villeggianti preferiscono andare al mare là dove possono trovare un McDonald’s o un Burger King per far felici i bambini, e un’ampia scelta di locali aperti la sera.
Come tutte le città, Wilmington ha zone ricche e povere, e dato che mio padre aveva uno dei lavori più stabili e sicuri al mondo – faceva il postino – noi stavamo bene. Non navigavamo nell’oro, ma ce la passavamo discretamente. Pur non essendo ricchi, abitavamo poco distante dai quartieri residenziali, e così ho potuto frequentare una buona scuola superiore. A differenza di quelle dei miei compagni, tuttavia, la nostra casa era piccola e malandata; una parte della veranda cominciava a cedere, ma il giardino era fantastico. Sul retro cresceva un’enorme quercia e, a otto anni, ci costruii sopra una casetta usando assi di legno prese da un cantiere. Mio padre non mi aiutò affatto (se fosse riuscito a colpire un chiodo con il martello, si sarebbe trattato certamente di un caso) e quella stessa estate imparai da solo a fare surf. Forse mi sarei dovuto accorgere già allora di quanto fossi diverso da papà, ma ciò dimostra come siano ingenui i bambini.
Noi due eravamo letteralmente agli antipodi. Lui era calmo e introspettivo, io ero sempre in movimento e odiavo stare da solo; mentre papà dava grande importanza all’istruzione, per me la scuola era un club ricreativo dove si potevano fare vari sport.
Mio padre era di corporatura esile e tendeva a camminare strisciando i piedi; io saltellavo qua e là e gli chiedevo in continuazione di cronometrare il tempo che impiegavo ad arrivare alla fine dell’isolato e ritorno. In terza media ero diventato più alto di lui, e un anno dopo lo battevo senza fatica a braccio di ferro. Non ci somigliavamo nemmeno nei tratti. Mio padre aveva capelli biondi, occhi nocciola e lentiggini, mentre io ero scuro di capelli e di occhi, e la mia carnagione olivastra si abbronzava facilmente. Alcuni vicini trovavano strana la nostra diversità, cosa comprensibile, considerando che mi aveva tirato su da solo. A volte li sentivo parlottare sul fatto che mia madre fosse scappata quando io non avevo nemmeno un anno. In seguito mi venne il sospetto che avesse conosciuto un altro, ma mio padre non me lo confermò mai. Mi spiegava soltanto che la mamma si era resa conto di aver commesso un errore a sposarsi così giovane, e che non si sentiva pronta a fare la madre. Non manifestava né disprezzo né rimpianto nei suoi confronti, ma si assicurava che la includessi sempre nelle mie preghiere. «Mi ricordi lei», diceva a volte. Fino a oggi non mi sono mai messo in contatto con mia mamma, né ho desiderio di farlo.
Credo che papà fosse felice, anche se non era tipo da manifestare le proprie emozioni. Abbracci e baci furono una rarità durante la mia infanzia e, quando me li offriva, mi sembravano sempre privi di slancio, come se lo facesse per dovere, e non spontaneamente. Capisco che mi voleva bene dal modo in cui si dedicava a me, ma ero nato quando lui aveva già quarantatré anni e penso che la sua indole fosse più quella di un monaco che di un padre. Era un uomo taciturno. Mi faceva pochissime domande e non si arrabbiava quasi mai, ma per contro non scherzava nemmeno. Era anche abitudinario. Tutti i santi giorni mi cucinava uova strapazzate, bacon e pane tostato per colazione, e tutte le sere ascoltava i miei racconti sulla scuola mentre serviva la cena che aveva preparato. Prenotava gli appuntamenti dal dentista con due mesi di anticipo e pagava le bollette il sabato; faceva il bucato la domenica pomeriggio e la mattina usciva sempre di casa alle 7.35 in punto. Non aveva una vita sociale e svolgeva il suo lavoro in solitudine. Non frequentava nessuna donna, non giocava a poker con gli amici nel fine settimana; il telefono poteva restare muto per giorni e giorni. Quando l’apparecchio squillava, era qualcuno che aveva sbagliato numero, oppure che cercava di venderci qualcosa. So quanto dev’essere stato difficile per lui crescermi senza nessun aiuto, ma non si lamentò mai, neppure quando lo deludevo.
Trascorrevo per conto mio la maggior parte delle serate. Terminate le incombenze quotidiane, mio padre si ritirava nello studio. Le monete erano l’unica grande passione della sua vita. La sua massima aspirazione era starsene seduto a leggere la rivista di numismatica soprannominata Greysheet, alla ricerca del prossimo pezzo da aggiungere alla sua collezione. In realtà era stato mio nonno a iniziarla. Il suo eroe era un tale Louis Eliasberg, un finanziere di Baltimora che era riuscito a completare la raccolta di tutte le monete degli Stati Uniti, compresi i vari conii celebrativi e i marchi di zecca. Nel 1951, dopo la morte della moglie, il nonno si mise in testa di creare a propria volta una collezione assieme al figlio. Nel corso dell’estate lui e mio padre raggiungevano in treno le varie zecche, oppure visitavano le fiere di numismatica del Sudest. Con il passare degli anni strinsero rapporti con collezionisti di tutto il paese, e mio nonno spese un patrimonio per scambiare i pezzi e ampliare la collezione. Diversamente da Louis Eliasberg, tuttavia, non era ricco – aveva un emporio a Burgaw che fallì quando in città venne aperto un supermercato – e non ebbe mai la possibilità di eguagliarlo. Ciononostante, investiva tutti i risparmi in monete. Portava sempre la stessa giacca, non cambiò mai l’automobile e sono quasi sicuro che mio padre finì a lavorare in posta invece di andare all’università perché non era rimasto un centesimo per pagare i suoi studi dopo il diploma. Anche il vecchio era un tipo strambo, questo è sicuro. Tale padre, tale figlio, si dice. Quando morì, lasciò scritto nel testamento che la casa doveva essere messa in vendita, e che bisognava usare il ricavato per comprare altre monete, cosa che probabilmente papà avrebbe comunque fatto.
La collezione aveva già un discreto valore nel momento in cui lui la ereditò. Quando poi ci fu la crescita dell’inflazione, e l’oro toccò gli 850 dollari l’oncia, valeva una piccola fortuna, che avrebbe permesso al mio frugale genitore di vivere comodamente di rendita. Ma né il nonno né papà si erano dedicati al collezionismo per denaro: semplicemente amavano il gusto della caccia e il legame che quell’interesse in comune creava tra di loro. C’era qualcosa di esaltante nel cercare a lungo e con foga una certa moneta, localizzarla e poi iniziare le trattative per acquistarla al giusto prezzo. A volte era abbordabile, altre no, ma ogni singolo pezzo aggiunto alla raccolta costituiva un tesoro. Mio padre sperava di condividere anche con me questa passione e lo spirito di sacrificio che richiedeva. Per ripararmi dal freddo d’inverno dovevo dormire sotto una montagna di coperte, e ogni anno ricevevo un unico paio di scarpe nuove; quanto ai vestiti, ricorrevo all’Esercito della Salvezza. Papà non possedeva neppure una macchina fotografica. L’unica foto che abbiamo venne scattata a una mostra numismatica ad Atlanta. Un mercante di monete ce la fece davanti al suo banco e ce la spedì. Per anni rimase in mostra sopra la scrivania nello studio. In quel ritratto, papà mi tiene un braccio sulla spalla ed entrambi siamo raggianti. Io ho in mano un Buffalo Nickel 1926-D in condizioni perfette, che avevamo appena acquistato. Era un pezzo abbastanza raro e finimmo per mangiare fagioli e hot dog per un mese, visto che era costato più del previsto.
Ma i sacrifici non mi pesarono… almeno per un certo periodo. Avevo sei o sette anni quando papà cominciò a parlarmi di monete, trattandomi come un suo pari. Da bambino io mi beavo di quelle attenzioni, assorbendo tutte le informazioni che mi forniva. Dopo un po’ ero in grado di dire quanti Saint-Gaudens double eagle fossero stati coniati nel 1927 rispetto al 1924 e perché un Barber Dime del 1895 battuto a New Orleans valesse dieci volte la medesima moneta coniata nello stesso anno a Filadelfia. Sono cose che non ho mai dimenticato. Ma a differenza di mio padre, in me la passione per il collezionismo si spense a poco a poco. Dopo aver passato per anni i fine settimana assieme a lui, volevo uscire con gli amici. Come tutti gli adolescenti iniziai a nutrire altri interessi: per gli sport, le ragazze, le automobili e la musica, e arrivato a quattordici anni trascorrevo ben poco tempo a casa. Anche il mio risentimento intanto cresceva. Gradualmente cominciai a notare le diversità tra il mio modo di vivere e quello dei miei coetanei. Mentre gli altri avevano i soldi per andare al cinema o comperarsi un paio di occhiali da sole alla moda, io raggranellavo degli spiccioli per prendere un hamburger da McDonald’s. Molti di loro ricevettero in regalo un’auto per i sedici anni; mio padre mi diede invece un dollaro d’argento Morgan del 1883 coniato a Carson City. Nascondevamo con una coperta gli strappi nella fodera consunta del divano ed eravamo l’unica famiglia a non avere la televisione via cavo né un forno a microonde. Quando si ruppe il frigorifero, papà ne acquistò uno di seconda mano di un orripilante verde, che non c’entrava niente con la nostra cucina. Io mi vergognavo a invitare gli amici a casa, e incolpavo lui di questo. So che il mio era un atteggiamento meschino – se fossi stato tanto preoccupato per il denaro, avrei potuto fare qualche lavoretto per procurarmelo – ma così era. Ero cieco e sordo, e anche se vi dicessi che rimpiango la mia immaturità di allora, non servirebbe a cambiare il passato.
Per la biografia completa dello scrittore americano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata ad Nicholas Sparks. Per la bibliografia rimandiamo invece alla nostra pagina riassuntiva su tutti i libri dell’autore.
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