Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Riti di morte di Alicia Giménez-Bartlett. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einiaudi con un prezzo di copertina di 15,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Riti di morte: trama del libro
Prima avventura della coppia Petra Delicado, ispettore della polizia di Barcellona, e del suo vice Fermin Garzón. Petra è emersa da poco da una crisi esistenziale ed è entrata in polizia dove, in quanto donna – sostiene lei -, è stata parcheggiata negli archivi fino a questo caso spinoso e scabroso: un violentatore seriale che lascia un tatuaggio sulle sue vittime. Garzón, invece, viene dalla Spagna più interna e pigra, Salamanca, e di lui, lento, grasso, leale, carico di esperienza e di pregiudizi, ma ricco di uno spirito sorprendentemente rapido nel superarli, Petra stenta a trovare la chiave interpretativa, la via d’accesso per superare le sue resistenze a dover ubbidire a una donna.
Approfondimenti sul libro
In ebook Riti di morte (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 9,99 euro.
Pensavo che il mio unico scopo fosse organizzarmi meglio, coltivare qualche pianta nel giardinetto di casa e mangiare più spesso una cena calda. In realtà pulsioni più profonde animavano sotterraneamente quella decisione. Possedere una casa tutta mia era come gettare una gomena al pontile, toccare terra ferma, mettere radici. Una premessa che condizionava tutto il resto, come il semplice fatto di essere biondi o bruni, di essere brutti o belli, o di essere nati in Europa piuttosto che in Giappone. Come in tutti i progetti grandiosi l’importante è studiare prima la scenografia, il resto non è che una serie di conseguenze verso il lieto fine.
I muratori ci misero sei mesi a rifare gli interni e, quando ebbero finito, i miei magri risparmi si ritrovarono dilapidati in cose apparentemente assurde come telai di finestre e condutture del gas. In polizia non si guadagna molto, sicché l’idea di riuscire ad accumulare di nuovo una simile somma mi appariva come qualcosa di remoto se non impossibile, una pia illusione. Eppure ero soddisfatta, perché nell’insieme la casa era venuta abbastanza bene. Il giorno prima del trasloco mi fermai a esaminare il risultato: aveva un aspetto solido e quotidiano: allegre porte dipinte di bianco, molta luce… In cucina facevano bella mostra di sé gli armadietti realizzati su misura e una magnifica vecchia stufa, che avevo voluto mantenere. A lato avevo fatto installare un piano cottura in vetroceramica che era l’ultimo grido della tecnologia. Lì sopra avrei preparato elaborati manicaretti, piatti che avrebbero fatto perdere la pazienza perfino alle nostre nonne, ollas podridas e stufati che avrebbero richiesto giorni interi di cottura a fuoco lento. Avrei detto addio, per quanto possibile, ai pasti precotti, alla pizza telefonica, all’hot dog, al taco messicano e al chop-suey in vaschetta. Avrei smesso di andare a cena in trattoria col minimo pretesto. Quando si cambia si cambia e, contrariamente a quanto si creda, bisogna cominciare dalle piccole cose, ingredienti indispensabili di ogni profondità esistenziale.
Pepe mi aiutò nel trasloco; era inevitabile, mi aiutò. In linea di principio non avrei dovuto neanche lasciarlo avvicinare alla mia nuova casa, ma poi pensai che al punto in cui eravamo temere la sua presenza fosse infantile, e così mi diede una mano. Ad ogni modo, la nostra separazione era avvenuta in termini così amichevoli che non accettare la sua offerta sarebbe stato scorretto, quasi offensivo. Si presentò vestito come sempre: jeans logori, maglione, occhiali che gli scivolavano sul naso. Quella sua aria da ragazzino mi diede una stretta al cuore. Come avevo fatto a sposare un uomo così giovane, così indifeso? E, soprattutto, come avevo fatto a sposarmi, dal momento che non era il mio primo matrimonio, che stavo venendo fuori da un’esperienza difficile, finita in un divorzio cruento e doloroso? Gli esperti del dipartimento di psicologia avrebbero avuto molto da dire in proposito. Solo che erano troppo occupati in altre faccende per fornire il loro parere sui problemi personali dei colleghi. E lungi da me l’idea di consultarli. Ero entrata in polizia proprio per lottare contro un eccesso di riflessione che minacciava di sommergermi a ogni minimo problema. Volevo solo pensieri pratici: induzione, deduzione, azione. Sempre al servizio della concretezza. Basta con le assorte meditazioni intime al banco di un bar.
Pepe posò gli scatoloni pieni di libri nel salone. Si mise a guardare dalla finestra, stordito, coperto di sudore e di polvere. Probabilmente si era dimenticato di pranzare.
– Hai mangiato? – domandai.
Alzò le spalle con malinconia e sorrise, come se quello fosse un lusso riservato a un altro genere di esseri umani. Frenai di colpo l’impulso a preparargli un panino. Per troppo tempo gli avevo fatto da madre, e adesso basta.
– Chi hai lasciato al bar?
– Hamed – rispose.
– Continua a funzionare?
– Sì.
Aveva sempre quella sua aria da cane randagio, ma ero io a non fare più parte della protezione animali.
Sistemai i tomi di diritto e criminologia sotto la finestra e me ne andai in cucina a prendere qualcosa da bere. Birra scura per Pepe e chinchón dolce per me. Basta con le opere di bene, basta col volontariato e la passione. D’ora in poi solo lavoro, cucina, serate di musica e lettura, la cura dell’essenziale, la vita ridotta al suo strato più elementare.
Pepe bevve un sorso di birra e si macchiò il naso di schiuma. Camminò su e giù per la stanza ingombra di scatoloni, sbadigliò:
– C’è qualcos’altro da portare?
– Le piante, Pepe, sono fuori sui gradini, ti dispiace metterle dentro?
Quell’inverno nevicò. Motivo di più per ricordarsene: a Barcellona succede di rado. Però, fu tale la valanga di avvenimenti di quell’inverno che me ne sarei ricordata comunque, senza bisogno di vedere coperto di bianco il mio giardinetto appena piantato. Un anno fitto di avvenimenti. Inaugurai la mia nuova casa, intrapresi una vita indipendente, e le circostanze, più che il destino, vollero che mi venisse affidata la mia prima indagine e che, di conseguenza, per disgrazia o per fortuna, facessi la conoscenza con il viceispettore Garzón. Naturalmente l’immagine idilliaca iniziale che mi ero fatta della casa presto svanì. Le tubature ghiacciarono e constatai che vivere senza vicini non presenta solo dei vantaggi. Il piccolo patio che ero riuscita a rimettere in sesto non sfuggì al disastro. I gerani avvizzirono, e la terra, quasi sempre coperta di brina, assunse un aspetto compatto e duro. Sedevo battendo i denti davanti all’insufficiente camino e cercavo di concentrarmi su un volume dedicato alle più recenti tecniche investigative. Era appena stato tradotto in spagnolo da un lontano inglese di Chicago. La maggior parte degli esempi esposti non aveva niente a che vedere con la sofferta realtà della Policía Nacional. Sapevo fin troppo bene che le risorse tecnologiche dell’FBI ci avrebbero messo dei secoli ad arrivare in Spagna. Ma imparare qualcosa di nuovo non fa mai male, malgrado sia difficile dire se abbia mai fatto bene a qualcuno. Infatti, a dispetto della mia brillante formazione di avvocato e dei miei studi all’Accademia, non mi erano mai stati affidati casi spettacolari. Essere considerata un’«intellettuale» ed essere donna bastava a fare di me un’emarginata, non avevo nemmeno bisogno di essere negra o gitana. Fin dall’inizio ero stata destinata al servizio documentazione, dove mi occupavo di questioni generali: archivi, pubblicazioni e biblioteca, cosa che aveva finito per inchiodarmi a un ruolo meramente teorico nella mente dei colleghi. Chiesi con insistenza di avere compiti operativi e mi fu concesso. Intervenni in qualche caso di furto, che non richiese nemmeno delle indagini. Non ero entrata in polizia ispirata dai film d’azione o dai libri gialli: inseguimenti, colluttazioni, fiumi di whisky, vita da duri… tutto questo non faceva per me. Ma l’idea di rimanere per sempre allo stadio speculativo e libresco era un’inevitabile fonte di frustrazione. Mi sentivo come un entomologo chiuso in laboratorio senza osservazioni sul campo, costretto a vedere gli insetti solo attraverso il microscopio, eternamente morti. E questa insoddisfazione non mi abbandonava durante le operazioni cui partecipavo: sportelli bancomat scassinati, scippi, borseggi. Una volta mi toccò interrogare dei ragazzi che mi presero in giro e mi chiamarono «pivella», quando le circostanze avrebbero giustificato precisamente il contrario. Malgrado tutto, non mi disperavo né rivolgevo suppliche ai miei superiori. Pensavo che, qualunque cosa dovesse succedere, prima o poi, come per un destino inevitabile, sarebbe venuto il giorno del mio ingresso nel servizio operativo, e avrei saputo dimostrare le mie capacità. Ero convinta che una donna non possa permettersi di lamentarsi sul posto di lavoro senza attirarsi reazioni fatali. Attendevo in silenzio la mia occasione, e quando un altro ispettore incrociandomi in corridoio mi domandava: «Come va la nostra intellettuale?» dentro di me pensavo: «Un giorno vi farò vedere chi sono». Davo un paio di masticate ironiche al chewing-gum in segno di saluto e mi limitavo a sorridere.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Alicia Giménez-Bartlett.