Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Rondini d’inverno di Maurizio De Giovanni. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 19,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Rondini d’inverno: trama del libro
Il Natale è appena trascorso e la città si prepara al Capodanno quando, sul palcoscenico di un teatro di varietà, il grande attore Michelangelo Gelmi esplode un colpo “di pistola contro la giovane moglie, Fedora Marra. Non ci sarebbe nulla di strano, la cosa si ripete tutte le sere, ogni volta che i due recitano nella canzone sceneggiata: solo che dentro il caricatore, quel 28 dicembre, tra i proiettili a salve ce n’è uno vero. Gelmi giura la propria innocenza, ma in pochi gli credono. La carriera dell’uomo, già in là con gli anni, è in declino e dipende ormai dal sodalizio con Fedora, stella al culmine del suo splendore. Lei, però, così dice chi la conosceva, si era innamorata di un altro e forse stava per lasciarlo. Da come si sono svolti i fatti, il caso sembrerebbe già risolto, eppure Ricciardi è perplesso. Mentre il fedele Maione aiuta il dottor Modo in una questione privata, il commissario, la cui vita sentimentale pare arrivata a una svolta decisiva, riuscirà con pazienza a riannodare i fili della vicenda. Un mistero che la nebbia improvvisa calata sulla città rende ancora più oscuro, e che riserverà un ultimo, drammatico colpo di coda.
Approfondimenti sul libro
In ebook Rondini d’inverno (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 9,99 euro. Qui potete trovare la lista di tutti i libri del Commissario Ricciardi.
Non ne hanno parlato durante le lezioni. Eppure è un fatto, pensa mentre percorre la leggera salita verso la casa del vecchio, che da quando va lí la sua percezione delle cose è cambiata, e non solo nella professione. È stato un mutamento tanto sottile quanto inesorabile. Ora canta in maniera diversa, glielo dicono tutti. Non è chiaro cosa ci sia di nuovo nel modo di suonare e di modulare la voce, però tutti si sono accorti del cambiamento: sia il pubblico degli appassionati, che non perde un suo concerto, sia quelli che lavorano con lui. Ma nessuno sa dove va uno o due pomeriggi a settimana quando esce per quelle strane passeggiate dalle quali ritorna a sera inoltrata.
Il ragazzo sorride. Il regalo piú prezioso, la conquista piú grande è stata la consapevolezza. Prima di incontrare il vecchio pensava di essere bravo, ma freddo. Sentiva una mancanza, una nebbiosa assenza. Ora invece, ogni volta che imbraccia lo strumento, ogni volta che completa un’introduzione, ogni volta che schiude la bocca per cantare, sa che sta raccontando. Ora sa che, oltre a chiavi e corde, deve accordare sé stesso con i sentimenti racchiusi nella canzone.
Ora sa, senza dubbi o incertezze, che deve interpretare una parte, proprio come un grande attore. Lui, che suona e canta, diventa per qualche minuto l’autore del pezzo. Come un medium, deve lasciare che i fantasmi di un poeta e di un musicista si impossessino delle sue mani e della sua voce per narrare l’antica storia. Ogni volta daccapo, ogni volta come fosse la prima. Senza pensare ad altro; né le luci né gli applausi né gli occhi spalancati nella penombra devono esistere. Solo la storia. La storia, e nient’altro.
Cosí le mani hanno quella nuova scioltezza che mai avrebbe immaginato di poter acquisire, nemmeno con anni di lezioni e di esercizio. È diventato bravo, bravissimo, mentre la sua fame di sapere e di approfondire cresceva. Intuisce che c’è ancora tanto da imparare. Quel vecchio conosce moltissime cose che gli deve insegnare; e il ragazzo vuole apprenderle.
Come al solito la donnetta gli apre con gli occhi bassi, un attimo prima che lui suoni il campanello. Si chiede sempre come faccia, da dove lo scorga arrivare; non ci sono spioncini, e alle finestre della palazzina non vede mai affacciarsi nessuno. Poi lo accompagna ciabattandogli davanti fino alla stanza del vecchio e si dilegua.
Il ragazzo apre la porta e sente l’atmosfera. Ha imparato che c’è una sottile, quasi impercettibile variazione dell’aria che detta il clima dell’incontro; ogni volta è diverso, imprevedibile. Ci sono stati pomeriggi in cui di musica non si è fatto cenno, e gli argomenti sono risultati vari e incoerenti; solo alla fine il ragazzo ha compreso che hanno parlato di una canzone, o di piú d’una, addirittura. Sono state quelle le lezioni piú utili. Altre volte, dopo un brusco cenno di saluto, il vecchio ha suonato il suo magico antico strumento; e lui se n’è stato immobile, a osservare quelle dita deformate dall’artrite volare sul manico, rapito da un suono celeste e trasportato chissà dove da passioni antiche.
Perciò il ragazzo ha smesso di chiedere o sollecitare. Adesso aspetta, grato di essere stato accolto; grato di quello che riceve; grato di poter essere lí, nella stanza del tesoro, tra le cataste di libri, seduto su uno scomodo sgabello a mezzo metro dalla poltrona di pelle consunta. Col tempo ha imparato a conoscere ogni frammento di quel caos regolato da un ordine illogico. Col tempo ha imparato. E sta imparando ancora.
Il vecchio è in piedi, di spalle, vicino alla finestra aperta. L’aria è dolce anche quassú; il pomeriggio imperversa sul mare. Le voci della città arrivano attutite. E c’è uno stridio diverso, come una somma di fischi.
Le rondini, dice il vecchio. Sono tornate.
Il ragazzo arresta il passo a mezz’aria, come se gli avessero urlato che sta per calpestare una mina. La voce. Che c’è, in quella voce? Un tono che non ha mai sentito in una frase cosí banale. Come se gli avessero appena rivelato il giorno e l’ora della fine del mondo.
Il ragazzo osserva la schiena del vecchio. Si è chiesto spesso che giovane sia stato. Quale sia stata la vita di quell’uomo dal talento immenso, su cui si narrano leggende e di cui resta forse, non è sicuro, qualche remota registrazione. Quando ha deciso di imparare da lui, il ragazzo ha dovuto faticare molto per trovarlo. Il vecchio sembrava essersi dissolto nell’aria, fuori dal mondo e dalla musica, fuori dal quadro variopinto di un ambiente dove si conoscono tutti.
Doveva essere stato affascinante, di questo il ragazzo si è convinto presto. Certo, ora è sciatto, non cura il proprio aspetto con quei radi capelli troppo lunghi, il naso aquilino e gli occhi incavati, ma è dritto, alto. E il talento è il miglior cosmetico.
Perché quella frase ha fatto rabbrividire il ragazzo? Che c’è di ineluttabile, di definitivo in quelle parole?
Buonasera, Maestro. Sí, è arrivata la primavera, si sente dal…
No. Non la primavera. Le rondini. Queste sono le rondini. Non le senti?
Il vecchio ha parlato con durezza, infastidito e tagliente. Non ha precisato, ha espresso un concetto diverso. Le rondini sono una cosa, la primavera un’altra. Il ragazzo annuisce, in fretta. Certo, certo, Mae¬stro. Le rondini, sí.
Fanno il nido nella grondaia che passa vicino al davanzale. Non hanno paura di me, sai? Io mi affaccio e loro continuano ad andare e venire, andare e venire. Poi di colpo scompaiono. Penso sempre che una volta o l’altra, con tutte queste macchine, con i gas e i rumori, con il caldo e il freddo che arrivano improvvisi, non ritorneranno piú. Invece tornano.
Il ragazzo annuisce alle spalle del vecchio, scioccamente. L’inizio del discorso è quasi sempre incomprensibile, poi diventa chiaro. Di solito.
La voce è bassa, quasi gracchiante; diversa da quando canta. Le rondini, sai. Le rondini non conoscono niente. Non guardano il mondo. Vanno, tornano. Pensano a sé stesse, le rondini. Io negli anni mi sono fatto un’idea, sulle rondini. Credo che sognino. Ma un sogno solo.
Il ragazzo si chiede se deve rispondere. Il vecchio si comporta come se aspettasse una considerazione, ma le parole che il ragazzo pronuncia per convenienza perlopiú cadono nel vuoto; cosí qualche mese prima ha cominciato a dire quello che pensa nel momento esatto in cui lo pensa, e per magia ha avuto successo, ha ottenuto qualche lampo di comprensione da quegli occhi velati dalle cataratte, perfino qualche sorriso grinzoso.
Un sogno per ogni rondine, Maestro?, chiede. O tutte lo stesso sogno?
Segue un silenzio abbastanza lungo; non si capisce se il vecchio stia riflettendo sulla domanda o non l’abbia ascoltata. Alla fine dice: lo stesso, credo; altrimenti non farebbero tutte la stessa cosa, no?
Si volta e lo guarda fisso. Senza espressione. Fermo, i capelli mossi appena dalla primavera che entra dalla finestra. Il ragazzo abbassa gli occhi, sposta i piedi incerto. Poi il vecchio parla.
Io una volta l’ho conosciuta, una rondine. Non ne ho parlato mai, in tanti, tantissimi anni. Ma oggi sono tornate, e tu sei qua, e io questa storia, prima di morire, devo lasciarla a qualcuno. Ci ho pensato tutta la notte.
Maestro, ma che dite? Non ci dovete proprio pensare, alla morte. Voi state bene. E tenete tante cose da dire, mi dovete insegnare ancora…
No. Io non ti devo insegnare proprio niente. E niente ti ho insegnato, se non da quale baule tirare fuori quello che ti serve per cantare ogni canzone che canti. Stavolta però, ti racconto la storia della rondine che ho conosciuto, quando il mondo mi pareva pieno di colori, di tutti i colori: e poi ne perse uno. Un colore solo, gli altri sono rimasti; ma sapere che proprio quello non lo vedrai mai piú ti fa morire poco a poco, granello dopo granello come in una clessidra. E nella clessidra mia, polvere non ce n’è quasi piú.
Che mi state dicendo, Maestro? Io non sono pronto, non posso…
Non si è mai pronti, guaglio’. Mai. Se uno è pronto, è perfetto: e allora non può cantare piú. È questo il motivo, capisci o no? Si canta se si è imperfetti. Se ci sta una crepa, una fenditura dalla quale può passare la luce. Si canta l’imperfezione, il dolore, la passione. Altrimenti è inutile.
Sospira, il ragazzo. Quella conversazione gli stringe il cuore, lo terrorizza. Quando ha cominciato a volere tanto bene a quel vecchio pazzo? Quando è successo?
Ditemi, Maestro. Raccontatemi della rondine.
Il vecchio raggiunge la custodia, si piega con fatica, la apre col solito scatto. Prende lo strumento, lo accarezza. La mano gli trema.
Quindi va a sedersi sulla poltrona. Il ragazzo trattiene il fiato, come ogni volta.
Riconosce l’accordo, l’inizio dell’introduzione. Non è una delle canzoni piú famose, una di quelle che si sentono ovunque. Il ragazzo assorbe ogni movimento delle dita adunche, ogni percorso della mano sul manico. Ma a un certo punto si accorge di qualcos’altro: gli occhi del vecchio sono fissi sulla finestra, sull’aria azzurra della città azzurra che diventa cupa nella sera di primavera, tra le rondini che vanno e vengono dalla grondaia per ricostruire quello che hanno abbandonato l’ultimo autunno.
Gli occhi del vecchio sono fermi, inespressivi. Eppure le lacrime scendono lente e oleose sulle guance ispide.
Maestro, mormora il ragazzo. Maestro, vi prego. Se è troppo… se è troppo… non la fate, fatene un’altra. Vi prego.
Il vecchio non sposta lo sguardo, ma sorride. No, dice. Devi sentire. Io mi fermerò a ogni strofa, e ti racconterò. Perché qualcuno deve sapere di quella rondine.
Riprende l’introduzione, e attacca:
Tutte ll’amice mieje sanno ca tuorne,
ca si’ partuta e no ca mm’hê lassato.
So’ già tre ghiuorne.
Nisciuno ’nfin’ a mo’ s’è ’mmagginato
ca tu, crisciuta ’ncopp’ ’o core mio,
mm’hê ditto addio.
E torna rundinella,
torna a ’stu nido mo’ ch’è primmavera.
I’ lasso ’a porta aperta quanno è ’a sera
speranno ’e te truva’
vicino a me.
(Tutti gli amici miei sanno che torni,
che sei partita e non che mi hai lasciato.
Sono già tre giorni.
Nessuno fino a ora si è immaginato
che tu, cresciuta sul mio cuore,
mi hai detto addio.
E ritorna rondinella,
torna a questo nido ora che è primavera.
Io lascio la porta aperta quando è sera
sperando di trovarti
vicino a me)1.
Qui interrompe il canto. E, continuando a suonare lentamente con le sue dita magiche, comincia il racconto.
Il racconto dell’unica rondine che non tornò.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Maurizio De Giovanni.
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