Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Rosso Floyd di Michele Mari. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Rosso Floyd: trama del libro
“Mio padre si chiamava Eric Fletcher Waters. Morì ad Anzio il 18 febbraio 1944. Io sono nato 165 giorni prima della sua morte. La gente mi conosce come Roger Waters, voce, bassista e autore della maggior parte dei testi dei Pink Floyd”. Inizia così una delle confessioni dell’immaginaria “istruttoria” che fa da spina dorsale a questo libro. Un romanzo che ricostruisce la parabola artistica dei Pink Floyd facendo coincidere i dati biografici con quelli fantastici, dando forma a un impasto unico modellato intorno a una delle band più celebrate del ventesimo secolo. A sovraintendere a questa febbrile requisitoria sono “i siamesi”: due cervelli per un solo corpo, un legame conflittuale come quello che unì Roger Waters e David Gilmour. Ma qual è stato l’originario “evento scarlatto” che ha fatto dei Pink Floyd la leggenda che sono diventati? Sappiamo che Syd “Diamante Pazzo” Barrett – dopo appena due dischi e un’esperienza psichedelica dalla quale non si riprenderà mai più viene allontanato dai suoi stessi compagni. È allora che decide di rinchiudersi nello scantinato della casa di famiglia a Cambridge, in compagnia delle sue amate chitarre e di tutta la musica che ha in testa. La stessa musica che, grazie ai concerti tenuti dal gruppo, continua a fare il giro del mondo: come se il talento visionario di Barrett avesse continuato a influenzare sotterraneamente ogni canzone composta dagli altri Pink Floyd dopo il suo esilio.
Approfondimenti sul libro
In ebook Rosso Floyd (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 7,99 euro.
I siamesi
«Potevano continuare a chiamarsi Geoff Mott and the Mottoes…»
«Nome orribile invero fra quanti mai».
«O Ramblers…»
«La grande sciocchezza!»
«Ammetto, ma se si fermavano lí noi ci saremmo salvati».
«E tormentiamoci, su. Per un po’ furono anche i Newcomers…»
«Poi i Those Without, sic!»
«Eh, sicsic! Intanto adesso non saremmo ridotti cosí».
«Anche Hollerin’ Blues, giunsero a chiamarsi».
«E Jokers Wild no? Jokers Wild!»
«Un momento, bisogna vedere chi c’era…»
«Basta ce ne fosse uno, sai com’erano fatti, no? Scomporsi e ricomporsi, includerne altri, farsi adottare, ritrovarsi, non era solo questione di nomi, erano instabili dentro, come cercassero la giusta combinazione… Disgregarsi e riaggregarsi, ogni volta avvicinandosi di un passo alla meta…»
«E di Sigma Six, che mi dici?»
«L’impegno che ci mettevano per trovar nomi brutti…»
«Come Abdabs…»
«Subito peggiorato in Screaming Abdabs».
«O Megadeaths…»
«E ancora potevamo salvarci. Anche quando diventarono gli Spectrum Five, potevamo salvarci».
«Fino ai Leonard’s Lodgers, pensa, ancora in tempo, anzi no, fino a Tea Set, il nome piú ridicolo che si sia mai sentito».
«Poi…»
«E torméntati, su. Non ti viene in mente che il tuo tormento è anche il mio?»
«Poi…»
«Ogni volta che arrivi a questo punto ti blocchi, eppure lo sai com’è andata, lo sai come lo so io: gli è caduto l’occhio su un mio disco…»
«Un disco che avrà visto centinaia di volte, come il mio…»
«E centinaia di volte insieme, li avrà visti, ma quella volta…»
«Fosse stato uno degli altri non sarebbe successo niente, ma era lui…»
«Sappiamo, sappiamo! Lui ha lo spettro del diamante nell’occhio, lui è quello che fa diventare vere le cose, lui, lui, non ne posso piú!»
«Ma ci siamo dentro, per sempre. Da quel momento, da quello sguardo sui nostri due dischi».
«Fu come se per la prima volta ci vedesse, dislocati ma uniti…»
«Il potere di un demone, ognuna delle nostre metà se ne stava nascosta in un nome…»
«In un disco…»
«In un nome in un disco… Lui come un chirurgo separò quella mia metà, la saldò alla tua, e ci fece rinascere cosí».
«Di solito i chirurghi li separano, i siamesi: a noi è toccato l’unico che li crea…»
«Mi piaceva il mio nome, Pink Anderson».
«E a me il mio, Floyd Council».
«Mi chiedo se sarebbe successo anche con le altre metà…»
«Chi può dirlo? Gli Anderson Council, non suona poi tanto male… certo è assai bolso…»
«Bisogna ammettere però che Pink Floyd è bellissimo».
«Sí, sulla nostra pelle!»
«E pensare che ancora potevamo salvarci, ancora potevamo!»
«Perché gli altri si impuntarono su Pink Floyd Blues Band? Ti sembra che sarebbe cambiato qualcosa?»
«Vorrei vedere! Non hai ancora capito che è la bellezza quella che ci ha fregato? Quando è essenziale, la bellezza passa nell’essenza. Blues Band, e ancora noi camminavamo separati nel mondo».
«Sí, ma alla fine il genio si impose, e noi siamo diventati cosí».
«Con la durezza del diamante, si impose».
Pronunciate queste parole, il mostro rosa si torse verso il mostro fluido azzannandogli il collo. Il mostro fluido, com’era solito fare in queste occasioni, affondò tutte le unghie nella schiena del congiunto, lacerandogli le carni in profondità. E un sangue chiaro scorreva copioso lungo il loro unico corpo fremente, un sangue rosa che sceso a terra fluiva, e fluiva.
Lamentazione seconda
Arnold Layne
Oh dico, ognuno è libero di divertirsi come gli pare, no? Se non fa male a nessuno, sciòrbia, si fa i suoi affaretti e pace, venga adesso il tale a dire che non ha dei segreti, sono il bello della vita, i segreti, con piú son piccoli con piú sono belli, vado a ficcare il naso nelle gàbole altrui, io? Ma neanche… Oé, l’Arnold è uno che se anche vede fare qualcosina di strano si gira dall’altra parte e mosca, visto niente, questo è l’Arnold, domandate un po’ intorno… E allora voglio sapere perché proprio io dovevo fare sta fine qua, che uno sente il mio nome e pensa subito a quella cosa là… Fate mica gli gnorri, le mutande, le mutande! Come se adesso le donne han solo le mutande da appendere ai fili, magari! E le calze? I reggipetti? Le sottovesti? Mica hai il tempo di scegliere, quei momenti lí, arraffi e via, il bottino lo consideri a casa… Le volte che ti accorgi di aver sbagliato! La rabbia che ti viene quando scopri che sono mutande da uomo! Tutta quella fatica per niente, scavalcare, sbregarsi sui muri, guardare se passa un poliziotto, se si accende una finestra, se c’è il cane, ziobono, con la luna vedi quello che stai prendendo ma ti vedono anche te, ti vedono… Poi metti che è gente che la conosci, un conto son le calze della figlia un conto quelle della madre, le mutande è facile riconoscerle, coi pizzi e il trasparente son della figlia, tipo braga son della madre, ma le calze è piú difficile, da flosci sti colàn si assomigliano tutti, mica però è lo stesso metterli pensando alla madre, la signora Collington per esempio, certi prosciutti varicosi che se mi guardo allo specchio vomito… La figlia invece… Oh insomma, ci ho sto gusto qua, va bene? Mi piace vestirmi da donna, mi han denunciato, una volta, ma ho cambiato quartiere e nessuno mi ha piú dato fastidio… La collezione di mutande che ho nell’armadio ce l’ha nessuno al mondo, garantito… E in un cassetto, ih ih… in un cassetto speciale ci tengo quelle usate, rubar quelle pulite lo può fare chiunque, ma quelle sporche è roba da professionisti, bisogna aspettar che la casa sia vuota e forzare una finestra, saper dove andare a frugare… Le volte si trova niente, ma se sei fortunato, certi colpi… roba di una ricchezza… Ecco, la mia vita era questa, quando arriva quel… so neanche come chiamarlo, so solo che era un mio vicino di casa, un ragazzo simpatico, di poche parole, uno strano… Ci ho mica mai parlato, neanche il mio nome gli ho detto, figurarsi se gli raccontavo il mio segreto… Bòn, una mattina vado in centro e tutti cantano quella canzone, la storia di uno che ruba la biancheria delle donne e se la mette davanti allo specchio, uno che si chiama preciso come me, Arnold Layne! Che è poi anche il titolo della canzone, cosí da quel giorno io sono quello delle mutande… l’uomo che si traveste… Non ho piú avuto pace… Qualche spiritosa mi lascia le sue mutande davanti alla porta, anche usate me le lascia, ma non è piú lo stesso… Perché io non ho studiato ma una cosa la capisco, che quei regali non sono per me, ma per quello della canzone… Qualche anno fa son venuti anche a intervistarmi con la telecamera e tutto, mi han detto che se non c’ero io non c’era nemmeno quel disco, e che senza disco quelli la cominciavano nemmeno, la loro carriera, cosí secondo loro dovevo chiedergli un bel po’ di soldi, sí, come se non lo sapevo la fine che aveva fatto quel ragazzo, provate voi a chiederci dei soldi a uno cosí, tutto scemo… Lui scemo e io travestito, per sempre, anche se ho su la tuta da lavoro la gente mi pensa cosí, coi colàn davanti allo specchio… Però deve averla sentita anche lui quell’intervista lí, perché dopo qualche giorno mi arriva a casa un pacchetto con dentro delle belle mutandine celesti tutte traforate, mutandine usate voglio dire, e… ehm ehm… usate in certi giorni particolari che hanno le donne… non proprio in quelli, ma subito dopo, che ci sono ancora delle perdite… mica piú scure, sul rosa… e lo strano è che quei segni rosa si seccavano mica, rimanevano umidi e freschi, cioè… come li producesse la mutanda stessa… fluidi, un po’ appiccicosi… dopo tanti anni fluiscono ancora… Beh mi son detto, un regalo cosí me lo può mandare solo quel pazzo, però grande eh? sissignori un grand’uomo.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Michele Mari.
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