In questo articolo trovate la descrizione del libro Il rumore del mondo di Benedetta Cibrario, dei dati sul volume pubblicato da Mondadori e un’anteprima dalle prime pagine.
Il rumore del mondo di Benedetta Cibrario
Edito da Mondadori • Pagine: 756 • Compra su Amazon
L'ufficiale piemontese Prospero Carlo Carando di Vignon, di stanza a Londra, sposa Anne Bacon, figlia di un ricco mercante di seta. Quando, dopo essere stata vittima del vaiolo, arriva a Torino, Anne è molto diversa. La vita coniugale si annuncia come un piccolo inferno domestico, ma il suocero Casimiro la invita a occuparsi della proprietà del Mandrone, il cui futuro soltanto a lui - conservatore di ferro - sembra stare a cuore. Tra i due si stabilisce un'imprevedibile complicità e Anne matura amore e dedizione per la vita appartata e operosa che vi conduce. La storia della famiglia Vignon si intreccia ai fili dello spirito del tempo, e non di meno a quelli della seta. Anne Bacon scopre come conquistarsi un posto nella storia di un paese non ancora nato, di un orizzonte ideale che infiamma il mondo. Progressisti e conservatori, al di là degli schieramenti politici, si trovano davanti alla necessità di rispondere al cambiamento e lo fanno agendo - nell'economia, nel costume, nella morale, nella cultura... → CONTINUA SU AMAZON
Erano stati i brividi a svegliarla. Per riprendere sonno, la cosa migliore era concentrarsi su un pensiero semplice, cucire un’asola oppure lucidarsi le unghie finché non brillavano come bottoni di madreperla; invece si sentiva incapace di fermare l’assalto delle immagini che arrivavano a ondate, terre emerse alla superficie della coscienza e subito inabissate di nuovo, per lasciare il posto ad altre immagini e altri suoni.
La stanchezza era il lato peggiore. Non aveva più forze. Devo dormire, pensò. Provò a immaginare di avere tra due dita il capo di un filo e un ago sottilissimo di cui faticava a vedere la cruna.
Parlavano tutti a bassa voce. Si muovevano per la stanza cercando di non fare rumore. Camminavano a passi leggeri, sbirciavano dalla porta socchiusa. Un uomo le aveva slacciato la camicia e tastato il collo. Un’altra figura – una donna – le aveva sollevato la testa per metterle in bocca una cannuccia, ma aveva spinto troppo e le aveva ferito il palato. Sentiva ancora fastidio. Mosse la lingua e sentì altre lacerazioni. Quando la donna aveva estratto la cannuccia, un rivolo era colato dalla bocca e qualche goccia tiepida era scivolata attraverso il mento, lungo il collo. Le aveva bagnato la camicia e il guanciale.
Socchiuse gli occhi. Non c’era più nessuno. L’avevano lasciata sola. Dov’era Eliza? Dov’erano tutti? Soltanto chiudendo gli occhi riusciva a vederli. Miss Jenkins che legge un libro a voce alta, nel salotto inondato di luce. Eliza che apparecchia il tavolino da tè davanti alla finestra. Suo padre le appoggia le mani sulle spalle: «Ora facciamo un gioco, Anne».
Le benda gli occhi e rovista in un cesto pieno di scampoli.
«Dimmi cos’è» la sfida, mettendole in mano un lembo di stoffa.
Lei non vuole deluderlo. Le stoffe hanno nomi difficili da ricordare. Lampasso, broccato, mussola bengalese. Da quando le associa a una sensazione, è più facile. La mussola è una farfalla: stessa leggerezza, stessa trasparenza. L’organza è fragile e rigida al tempo stesso: un tulipano. Rara, anche, come i tulipani che fioriscono per sole tre settimane. Lei indovina e lo sente contento. La soddisfazione di suo padre la riempie di orgoglio.
Colori. Stoffe. Voci.
«Di certo sarebbe un peccato se due ragazze belle come le vostre non spiccassero il volo» ha detto Miss Jenkins, «non si può mai dire dove potrebbero arrivare», e suo padre ha annuito. Ventimila sterline all’anno di rendita negli ultimi cinque anni, con cui ha acquistato Bounds Green. Ci vanno in primavera, da Harley Street sono due ore e mezzo di carrozza. La strada è pianeggiante, in leggera salita. Attraversa campi e brughiere, costeggia un lago fangoso in cui i ragazzi si tuffano nelle giornate di sole, restando a pochi metri dalla riva. Nell’ultimo miglio la strada s’inerpica tra sponde di erica e rovi, fa un paio di curve morbide e sbuca in una radura punteggiata di querce. Da lassù si vede Londra in lontananza, i campanili delle chiese si riconoscono con facilità. Uno dei suoi passatempi preferiti, nelle giornate di bel tempo, è contarli. Il numero non è mai lo stesso. Lei e Grace aguzzano la vista ma ce n’è sempre qualcuno che sfugge alla conta, nascosto da una nuvola passeggera.
La casa non è grande, una costruzione a due piani con l’ingresso sormontato da un timpano. Avrebbe bisogno di qualche miglioria, ma il bosco è magnifico, pieno di selvaggina. La proprietà comprende anche terreni da pascolo, due mulini ad acqua dati in affitto e la palude che adesso fluttua verso di lei. Bagliori di verde e blu intenso, l’odore della marcita, un intrico di canne e ciuffi di crochi sparsi lungo gli argini fradici. Nei giorni di sole e di vento le nuvole corrono da una sponda all’altra, s’infilano tra le erbe acquatiche e spariscono inghiottite dalle rive. L’inquieto cielo anglosassone è un frutto maturo nascosto tra i cespugli. Deve dirlo a Margaret. Deve dirlo a suo padre. Una stoffa che avesse un colore simile al cielo riflesso nell’acqua andrebbe a ruba. Piccole squame d’oro e d’argento su un fondo blu. Pennellate più chiare, qualche tocco di verde e di azzurro. Un motivo capace di catturare il movimento e fissarlo nella trama di un tessuto.
Mentre Anne oscillava tra il sonno e la veglia, fuori dalla finestra al primo piano della locanda del Vieux Pommier la campagna sembrava percorsa da uno spirito d’impazienza. Tanto l’aria finalmente tersa quanto il cielo sgombro di nuvole lasciavano immaginare che sarebbe stata la prima giornata veramente calda della stagione. Le siepi di biancospino lungo la strada erano prese d’assalto dalle farfalle e la rosa banksiae contro il muro di cinta si era spogliata dei fiori, lasciando per terra manciate di petali gialli.
Ogni cosa – pascoli, frutteti, mulini ad acqua, boschi e torrenti, i tetti di ardesia che asciugavano al sole – era lustra e splendente, pronta per il ritorno di una divinità pagana mai veramente spodestata; tuttavia, di questa esplosione di vitalità di cui la campagna dava prova Anne non aveva la minima consapevolezza, confinata a letto dopo essere svenuta sull’impiantito del Vieux Pommier, appena scesa di carrozza. Eliza Backway, la cameriera, e la sua compagna di viaggio, Theresa Manners, avevano convinto il proprietario della locanda a sistemarla in una camera e a mandare subito a chiamare il medico del paese. Il dottor Réglat aveva dato la sua diagnosi: vaiolo. «Possiamo soltanto aspettare» aveva detto.
Eliza si era sistemata sulla panca e aveva tirato fuori dalla tasca un fazzoletto di batista con un ago appuntato. Sentendo il sole scaldarle le braccia e il viso, si era spostata più all’ombra. Una corta striscia di giardino la separava dalla strada deserta, percorsa soltanto da un cane svogliato, incerto se accucciarsi o andarsene; come tutti qui attorno, pensò lei di malumore. Piccole inquietudini le attraversavano la mente. Dopo l’annuncio del dottor Réglat c’era stato un impaurito fuggi fuggi e la locanda si era svuotata. I tre locali al pianterreno erano bui e inospitali, con tavoli addossati alle pareti e lunghe panche di quercia grezza. Grosse macchie di umidità chiazzavano l’intonaco. In poche settimane di sole, l’estate normanna avrebbe asciugato muri e pavimenti.
Eliza sfilò l’ago dal tessuto e cominciò a orlare il fazzoletto, arrotolando la stoffa tra le dita. Cucì assorta per un po’, poi si fermò per controllare il lavoro. Punti appena visibili, regolari. Se si fosse messa d’impegno, lo avrebbe finito per l’ora di pranzo. Diede ancora un paio di punti e poi si interruppe per guardarsi attorno. La fioritura dei tigli e il verde lucente dei pascoli suggerivano che ovunque, nell’universo, si stava celebrando un risveglio. Al piano di sopra, la padrona lottava contro la morte. Il pensiero continuava a impigliarsi nell’immagine di Anne scivolata a terra, il viso bagnato di sudore e le guance rosse. C’era una mostruosa bizzarria nel destino, rifletté, un capriccio: la natura non è semplicemente indifferente alle sventure degli uomini, se ne fa beffe.
Con l’espressione contratta riavvolse il fazzoletto intorno all’ago e se lo rimise in tasca. Dall’interno della locanda non arrivava più alcun rumore.
L’attesa era silenzio. Il silenzio, attesa.
Benedetta Cibrario
Benedetta Cibrario (Firenze, 1962) è una scrittrice italiana. Nel 2007 esordisce con il romanzo Rossovermiglio (Feltrinelli, 2007), Premio Campiello 2008. Rossovermiglio, romanzo di formazione che ha come sfondo l’Italia tra le due guerre e il referendum del 1946, viene tradotto e pubblicato in diversi paesi, tra cui la Germania, l’Olanda, il Portogallo, la Grecia. Nel 2009, sempre per Feltrinelli, esce Sotto cieli noncuranti, Premio Rapallo Carige 2010. Il romanzo è un racconto d’inverno di ambientazione contemporanea, in cui l’episodio della morte di un bambino è il fulcro attorno a cui ruotano diverse voci femminili, ciascuna più o meno coinvolta e impegnata a confrontarsi con l’intollerabilità del dolore.