Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Sfera di Michael Crichton. Il romanzo è pubblicato in Italia da Garzanti con un prezzo di copertina di 10,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 5% di sconto)
Sfera: trama del libro
A trecento metri di profondità, sul fondale dell’Oceano Pacifico, giace una misteriosa nave spaziale di dimensioni inaudite. Da dove è arrivata? Da una civiltà aliena? Da un altro universo? Dal futuro attraverso un buco nero? Per risolvere l’enigma viene chiamata un’equipe di scienziati tra cui il dottor Norman Johnson, uno psicologo che è solitamente chiamato dalle autorità quando avviene un disastro aereo, che scopre, una volta giunto a destinazione, di essere in realtà stato chiamato per via di una sua vecchia relazione sul possibile incontro con forme di vita extraterrestri. Presto il mare si popola di mostruose creature e sugli schermi dei computer appaiono inquietanti messaggi…
Approfondimenti sul libro
L’ebook di Sfera (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di euro 6,99.
Per molto tempo l’orizzonte era stato una piatta e monotona linea azzurra che separava l’Oceano Pacifico dal cielo. L’elicottero della Marina degli Stati Uniti sfrecciava a bassa quota sfiorando le onde. Nonostante il fracasso e le vibrazioni delle pale, Norman Johnson si addormentò. Era stanco: viaggiava su vari velivoli militari da oltre quattordici ore. Non era cosa cui un professore di psicologia di cinquantatré anni fosse abituato.
Non aveva idea di quanto avesse dormito. Al risveglio vide che l’orizzonte era sempre piatto; si vedevano a distanza bianchi semicerchi di atolli corallini. Chiese attraverso l’interfono: «Cosa sono?».
«Le isole di Ninihina e di Tafahi», disse il pilota. «Fanno ufficialmente parte di Tonga, ma sono disabitate. Dormito bene?».
«Non male». Norman vide passare veloci le due isole: una bianca curva di sabbia, qualche palma, poi più niente. Di nuovo la piatta distesa dell’oceano.
«Dove l’hanno prelevata?», domandò il pilota.
«A San Diego», disse Norman. «Sono partito ieri».
«Insomma è arrivato qui via Honolulu-Guam-Pago?».
«Già».
«Un viaggio lungo», disse il pilota. «Che lavoro fa lei, signore?».
«Sono uno psicologo», disse Norman.
«Uno strizzacervelli?». Il pilota ridacchiò. «Perché no? Gli altri li hanno già chiamati tutti».
«Cosa intende dire?».
«Sono due giorni che trasportiamo gente da Guam. Fisici, biologi, matematici… tutti diretti a un luogo che non esiste, in pieno Oceano Pacifico».
«Ma cosa sta succedendo?», disse Norman.
Il pilota lo guardò, con occhi indecifrabili dietro gli occhialoni scuri da aviatore. «A noi non dicono mai niente, signore. E a lei? Cosa le hanno detto?».
«Mi hanno detto», disse Norman, «che c’era stato un disastro aereo».
«Ah», disse il pilota. «E quando c’è un disastro la chiamano spesso?».
«Sì, è capitato».
Da un decennio Norman Johnson era incluso nell’elenco per i Crash Site Teams della Federal Aviation Agency, le squadre di esperti chiamate quasi senza preavviso per svolgere indagini su disastri aerei civili. La prima volta aveva lavorato al disastro delle United Airlines a San Diego nel 1976; e in seguito lo avevano chiamato a Chicago nel ’78 e a Dallas nell’82. La procedura era sempre la stessa: una telefonata sbrigativa, una frenetica preparazione dei bagagli e poi via per una settimana o più. Stavolta Ellen, sua moglie, si era seccata, perché lo avevano chiamato il 1° luglio, il che significava che non sarebbe stato presente al barbecue sulla spiaggia per la festa del 4 luglio. Per di più doveva tornare Tim, al termine del suo secondo anno a Chicago e prima di un lavoro estivo nelle Cascades. E Amy, ora sedicenne, era appena venuta a casa da Andover e non andava molto d’accordo con Ellen quando non c’era Norman a mediare. E la Volvo aveva ricominciato a fare strani rumori. Ed era anche possibile che Norman si perdesse persino il compleanno di sua madre la settimana dopo. «Ma quale disastro?», aveva detto Ellen. «Non ho sentito di nessun disastro». Aveva acceso la radio mentre lui faceva i bagagli. E la radio non aveva parlato di disastri aerei.
Quando la macchina si fermò davanti a casa, Norman era rimasto sorpreso vedendo che si trattava di una berlina della Marina, con un marinaio in divisa come autista.
«Le altre volte non avevano mai mandato un’auto della Marina», aveva detto Ellen, seguendolo sino al cancello. «Che si tratti di un aereo militare?».
«Non lo so», disse lui.
«Quando tornerai?».
La baciò. «Ti telefono», disse. «Promesso».
Ma non aveva telefonato. Erano stati tutti gentili e simpatici, ma lo avevano tenuto lontano dai telefoni. Prima all’aeroporto Hickam di Honolulu, poi alla base aeronavale di Guam, dove era arrivato alle due di notte e aveva passato mezz’ora in una stanza che puzzava di cherosene a sfogliare intontito un numero dell’«American journal of Psychology» che si era portato dietro. Arrivò a Pago-Pago proprio allo spuntar dell’alba. E qui lo avevano frettolosamente trasferito sul grande elicottero «Sea Knight», che si era subito sollevato dalla fredda pista e si era diretto a ovest, sorvolando palme e tetti arrugginiti di lamiera ondulata puntando sul Pacifico.
Era su questo elicottero da due ore, trascorse in parte dormendo. Ellen, Tim, Amy e il compleanno di sua madre gli sembravano ora lontanissimi.
«Dove siamo esattamente?».
«Tra le Samoa e le Figi, nel Pacifico meridionale», disse il pilota.
«Può mostrarmelo sulla carta?».
«Non sono autorizzato a farlo. E comunque non vedrebbe un granché. In questo momento lei è a duecento miglia da qualsiasi luogo, signore».
Norman prese a fissare il piatto orizzonte, sempre azzurro e monotono. Sbadigliò: «Non s’annoia a guardarlo?».
«Se devo dirle la verità no, signore», disse il pilota. «Anzi sono felice di vederlo così piatto. Almeno fa bel tempo. Ma non durerà. Si sta formando un ciclone nelle isole dell’Ammiragliato, che dovrebbe piombare da queste parti a giorni».
«Cosa succederà allora?».
«Se la squaglieranno tutti a gambe levate. Il tempo può essere tremendo da queste parti, signore. Io vengo dalla Florida e di uragani ne ho visti parecchi da ragazzo, ma non c’è niente che sia paragonabile a un ciclone del Pacifico, signore».
Norman annuì. «Tra quanto tempo arriveremo?».
«Pochi minuti ormai, signore».
Dopo due ore di monotonia, il gruppo delle navi appariva insolitamente interessante. C’era più di una dozzina di imbarcazioni di vario genere, disposte grosso modo in cerchi concentrici. Nel perimetro esterno contò otto cacciatorpediniere grigi della Marina. Più al centro c’erano invece grosse navi con doppi scafi fortemente distanziati che parevano bacini di carenaggio galleggianti; seguite da anonime imbarcazioni squadrate con piatti ponti di volo per gli elicotteri; e al centro infine, tra tutto quel grigio, c’erano due navi bianche ciascuna con una pista di lancio e un grande occhio di bue.
Il pilota le elencò: «Abbiamo all’esterno due cacciatorpediniere a scopo di protezione; poi gli RVS, cioè i Remote Vehicle Support, per i robot; poi le MSS, Mission Support and Supply; e al centro gli OSRV».
«OSRV?».
«Oceanographic Survey and Research Vessels». Il pilota indicò poi le navi bianche. «La John Hawes a sinistra e la William Arthur a dritta. Noi scenderemo sulla Hawes». Il pilota girò intorno alla piccola flotta. Norman poté vedere le lance che correvano avanti e indietro tra una nave e l’altra, lasciando piccole scie bianche nell’azzurro intenso dell’acqua.
«Tutto questo per un disastro aereo?», disse Norman.
«Ehi», sogghignò il pilota. «Io non ho mai parlato di disastri aerei. Si allacci la cintura di sicurezza, per piacere. Stiamo per atterrare».
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore e regista statunitense rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Michael Crichton.
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