Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Shining di Stephen King, romanzo edito in Italia da Bompiani con un prezzo di copertina di 9,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
Shining: trama del libro
L’Overlook, uno strano e imponente albergo che domina le alte montagne del Colorado, è stato teatro di numerosi delitti e suicidi e sembra aver assorbito forze maligne che vanno al di là di ogni comprensione umana e si manifestano soprattutto d’inverno, quando l’albergo chiude e resta isolato per la neve. Uno scrittore fallito, Jack Torrance, con la moglie Wendy e il figlio Danny di cinque anni, accetta di fare il guardiano invernale all’Overlook, ed è allora che le forze del male si scatenano con rinnovato impeto: la famiglia si trova avvolta ben presto in un’atmosfera sinistra. Dinanzi a Danny – che è dotato di un potere extrasensoriale, lo “shine” –, si materializzano gli orribili fatti accaduti nelle stanze dell’albergo, ma se il bambino si oppone con forza a insidie e presenze, il padre ne rimane vittima.
Jack Torrance pensò: Piccolo stronzo intrigante.
Ullman era alto poco più di un metro e sessanta, e quando si muoveva aveva la rapidità scattante che sembra essere peculiare a tutti gli ometti grassocci. Aveva i capelli spartiti da una scriminatura impeccabile, e il completo scuro era sobrio, ma non severo. Sono un uomo al quale potete tranquillamente esporre i vostri problemi, diceva quel completo alla clientela solvente. Al personale stipendiato parlava invece in modo più sbrigativo: sarà meglio che filiate diritto, voialtri. All’occhiello spiccava un garofano rosso, forse per evitare che per la strada qualcuno scambiasse Stuart Ullman per il titolare dell’impresa di pompe funebri.
Mentre ascoltava Ullman, Jack ammise tra sé che, date le circostanze, con tutta probabilità non gli sarebbe piaciuto proprio nessuno, da quella parte della scrivania.
Ullman gli aveva posto una domanda che Jack non aveva afferrato. Molto male: Ullman era il tipo capace di archiviare uno sbaglio del genere in un suo schedario mentale per tornarci sopra in un secondo momento.
“Scusi?”
“Le ho chiesto se sua moglie ha capito esattamente quali saranno le sue responsabilità, qui. E poi c’è suo figlio, naturalmente.” Chinò lo sguardo sulla domanda di assunzione che gli stava di fronte. “Daniel. Sua moglie non è un tantino spaventata all’idea?”
“Wendy è una donna straordinaria.”
“E suo figlio? È straordinario anche lui?”
Jack sorrise di un largo sorriso da pubbliche relazioni. “Ci compiacciamo di crederlo, direi. È abbastanza indipendente, per essere un bambino di cinque anni.”
Ullman non ricambiò il sorriso. Tornò a infilare in una cartellina la domanda di assunzione di Jack e la ripose in un cassetto. Ora il ripiano della scrivania era sgombro, fatta eccezione per un tampone, un telefono, una lampada orientabile e un cestello per la corrispondenza in arrivo e in partenza. Anche i due scomparti del cestello erano vuoti.
Ullman si alzò e si avvicinò allo schedario posto in un angolo della stanza. “Per favore, giri attorno alla scrivania, signor Torrance. Daremo un’occhiata alla planimetria dei vari piani dell’albergo.”
Tornò allo schedario e ne tolse cinque grandi fogli che posò sul lucido ripiano di noce della scrivania. Jack gli si pose accanto e avvertì intensamente il profumo dell’acqua di colonia di Ullman. Tutti i miei uomini usano “Cuoio Inglese” oppure niente, gli venne fatto di pensare senza nessun motivo particolare, e dovette mordersi la lingua per non scoppiare in una sonora risata. Oltre la parete giungevano i rumori attutiti della cucina dell’Overlook Hotel che smobilitava dopo il pranzo.
“Ultimo piano,” disse brusco Ullman. “È la soffitta. Non c’è assolutamente niente lassù, a parte qualche cianfrusaglia. L’Overlook ha cambiato parecchie volte proprietario dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, e a quanto pare i vari direttori che si sono succeduti hanno sbattuto in soffitta tutto quello che non era di loro gusto. Voglio che vi siano piazzate trappole per topi ed esche avvelenate. Le cameriere del terzo piano sostengono di aver udito dei fruscii, là sopra. Io non ci credo affatto, ma non dev’esserci nemmeno una probabilità su cento che resti un solo topo, all’Overlook Hotel.”
Jack, secondo il quale qualsiasi albergo ospitava almeno un paio di topi, si guardò bene dal ribattere.
“È appena il caso di dire che non permetterà a suo figlio di salire nella soffitta, per nessun motivo.”
“No, no,” disse Jack, e tornò ad abbozzare il suo largo sorriso da pubbliche relazioni. Che situazione umiliante! Quello stronzo intrigante credeva sul serio che avrebbe permesso a suo figlio di bighellonare in una soffitta abitata dai topi e zeppa di vecchie carabattole e Dio sa che altro?
Ullman scartò la planimetria della soffitta e la infilò sotto la pila degli altri fogli.
“L’Overlook si compone di centodieci alloggi,” disse con tono pedante. “Di questi, trenta, tutti appartamentini, si trovano al terzo piano. Dieci nell’ala ovest, incluso l’Appartamento presidenziale, dieci nel corpo centrale e dieci nell’ala est. E da tutti si gode una vista spettacolare.”
Non potresti risparmiarmi questi discorsi da imbonitore?
Ma non aprì bocca: aveva bisogno di quel posto.
Ullman infilò sotto la pila la planimetria del terzo piano, dopo di che si accinsero a esaminare quella del secondo.
“Quaranta stanze,” disse Ullman, “trenta doppie e dieci singole. E al primo piano, venti di ciascun tipo. Più tre ripostigli per la biancheria a ogni piano, e due magazzini, situati rispettivamente all’estremità orientale dell’albergo, al secondo piano, e all’estremità ovest, al primo. Ha domande da fare?”
Jack scosse il capo in un cenno di diniego. Ullman ripose anche le planimetrie del secondo e del primo piano.
“E ora, il pianterreno. Qui al centro c’è la portineria. Dietro ci sono gli uffici. Il vestibolo si estende per venticinque metri ai due lati del banco del portiere. Qui nell’ala ovest sono situate la sala da pranzo Overlook e la Colorado Lounge, mentre nell’ala est ci sono il salone per i banchetti e il salone da ballo. Qualche domanda?”
“Solo a proposito dello scantinato,” rispose Jack. “Per il guardiano invernale, questo è il piano più importante di tutti. Dove si accentra tutto il movimento, per così dire.”
“Watson le mostrerà tutto. La planimetria dello scantinato è appesa alla parete nel vano della caldaia.” Ullman aggrottò la fronte, forse per lasciar intendere che, nelle sue vesti di direttore, non si occupava di aspetti plateali della conduzione dell’Overlook come il funzionamento della caldaia e gli impianti idraulici. “Potrebbe valer la pena di piazzare qualche trappola anche là sotto. Un momento…”
Scribacchiò un appunto su un taccuino che tolse dalla tasca interna della giacca, ogni pagina del quale recava l’intestazione Dalla scrivania di Stuart Ullman, a vistosi caratteri neri; strappò il foglio e lo lasciò cadere nello scomparto della corrispondenza in partenza. Il foglietto vi si adagiò solitario e il taccuino sparì di nuovo nella tasca della giacca di Ullman, come a conclusione di un giochetto di prestigio. Eccolo qui: lo vedi, Jacky, ragazzo mio? Guarda: adesso non c’è più. Questo tipo è davvero un pezzo grosso.
Avevano ripreso le posizioni iniziali, Ullman dietro la scrivania e Jack davanti, intervistatore e intervistato, supplice candidato e benefattore riluttante. Ullman congiunse le piccole mani curate sul tampone della scrivania e fissò con espressione assorta Jack, un ometto dai capelli radi, con un completo da banchiere e una sobria cravatta grigia. Al fiore che portava all’occhiello faceva riscontro, sull’altro bavero, una piccola spilla: recava la scritta PERSONALE a minuti caratteri d’oro.
“Sarò franco con lei, signor Torrance. Albert Shockley è un uomo potente. Ha investito un bel po’ di quattrini nell’Overlook, un albergo che per la prima volta nella sua storia ha chiuso la stagione in attivo. Il signor Shockley fa parte del consiglio d’amministrazione, ma non è un albergatore e sarebbe il primo ad ammetterlo. Però per quanto riguarda questa faccenda del guardiano invernale, ha esternato i suoi precisi desideri in maniera addirittura ovvia. Vuole che lei venga assunto, e io l’assumerò; ma se mi fosse stata data carta bianca in proposito, io non lo avrei fatto.”
Jack serrava le mani tenendole posate in grembo. Le premeva l’una contro l’altra, sudaticce. Stronzo intrigante, stronzo intrigante…
“Non credo di riuscirle molto simpatico, signor Torrance, ma non me ne frega niente. Quel che è certo è che i suoi sentimenti nei miei riguardi non incidono sulla mia convinzione che lei non sia l’uomo adatto per questo incarico. Durante la stagione, che va dal quindici maggio al trenta settembre, l’Overlook impiega centodieci dipendenti a tempo pieno. Uno per ogni stanza dell’albergo, si può dire. Non credo di piacergli, anzi sospetto che qualcuno mi giudichi una carogna. E il loro giudizio sarebbe corretto, per quanto riguarda il mio carattere. Devo essere una carogna, per mandare avanti questo albergo come si deve.”
Fissò Jack in attesa di un commento, e questi tornò a rivolgergli il largo, luminoso sorriso da pubbliche relazioni, che metteva in mostra i denti in modo addirittura offensivo.
“L’Overlook è stato costruito tra il 1907 e il 1909,” proseguì Ullman. “La località più vicina è Sidewinder, sessantacinque chilometri in direzione est, e le strade per raggiungerla sono chiuse suppergiù dalla fine di ottobre, i primi di novembre, fino al mese di aprile. A costruire l’albergo è stato un certo Robert Townley Watson, il nonno del tizio attualmente addetto alla manutenzione. Qui hanno soggiornato i Vanderbilt, i Rockefeller, gli Astor, i DuPont. L’Appartamento presidenziale ha ospitato quattro presidenti degli Stati Uniti: Wilson, Harding, Roosevelt e Nixon.”
“Io non andrei troppo fiero di Harding e Nixon,” mormorò Jack.
Ullman si accigliò, ma proseguì senza far commenti: “L’albergo si è rivelato un’impresa troppo impegnativa per il signor Watson, che nel 1915 l’ha venduto. Dopo di che è stato venduto altre volte: nel 1922, nel 1929, nel 1936. È rimasto inattivo sino alla fine della seconda guerra mondiale, quando è stato acquistato e rinnovato da Horace Derwent, il miliardario inventore, pilota, produttore cinematografico e imprenditore.”
“Il nome non mi è nuovo,” disse Jack.
“Già. Tutto ciò che toccava si tramutava in oro… a eccezione dell’Overlook. Ancor prima che il primo ospite del dopoguerra ne varcasse la soglia ci aveva travasato più di un milione di dollari, trasformando un relitto fatiscente in una specie di monumento del turismo. È stato Derwent ad aggiungere il campo di roque di cui l’ho vista in ammirazione quando è arrivato.”
“Roque?”
“È un antenato britannico del nostro croquet. Il croquet non è altro che un roque imbastardito. Secondo la leggenda, Derwent aveva imparato a giocarlo dalla sua segretaria privata, e se n’era innamorato alla follia. Pare che il nostro campo di roque sia il più bello d’America.”
“Non lo metto in dubbio,” disse Jack in tono solenne. Un campo di roque; davanti un giardino ornamentale popolato di siepi in forma di animali… e che altro? Un tiro al bersaglio con i pupazzi a grandezza naturale dietro il capanno degli attrezzi? Cominciava davvero a essere stufo del signor Stuart Ullman, ma si rendeva conto che quest’ultimo era ben lungi dall’aver finito. Ullman aveva tutta l’intenzione di portare a termine il suo discorsetto, senza rinunciare a una sillaba.
“Dopo una perdita secca di tre milioni di dollari, Derwent ha venduto l’albergo a un gruppo di speculatori della California, la cui esperienza con l’Overlook si è rivelata altrettanto negativa. Il fatto è che non era gente del mestiere.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
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