Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Codice Beta di Michael Crichton. Il romanzo è pubblicato in Italia da Garzanti con un prezzo di copertina di 17,60 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Il silenzio degli abissi: trama del libro
Sotto la superficie del mare, negli abissi che si spalancano al largo della barriera corallina giamaicana, il silenzio è assoluto. Accompagnato solo dal ritmico gorgogliare del respiratore subacqueo, James McGregor continua la sua discesa. Più giù, quasi completamente avvolto dalle tenebre e infestato dai barracuda, si staglia il profilo scuro e incombente del timone di uno yacht. È il Grave Descend, quaranta metri di eccellenza armatoriale, inabissatosi in circostanze misteriose qualche giorno prima. La missione per cui James, un passato nelle forze armate e un presente da cacciatore di tesori, è stato ingaggiato è in apparenza molto semplice: ispezionare il relitto per conto della compagnia assicurativa e indagare le possibili cause del naufragio. Manca più di una tessera per completare il mosaico: l’affondamento è stato denunciato alle autorità solo ventiquattr’ore dopo l’accaduto e nessuno degli uomini a bordo, sei membri dell’equipaggio e un solo passeggero tutti prontamente messi in salvo, racconta la stessa versione dei fatti. La traccia più concreta per risalire alla verità sembra passare proprio per quell’unico passeggero, l’affascinante e misteriosa Monica Grant. E mentre dalle profondità del mare riaffiora un tesoro dal valore inestimabile, James si trova ben presto a lottare per la sua stessa vita, oltre che per svelare un segreto che affonda le sue radici nel passato, nei torbidi giorni dell’armistizio italiano durante la seconda guerra mondiale.
Approfondimenti sul libro
L’ebook di Il silenzio degli abissi (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di euro 9,99.
Alle prime luci dell’alba si era inerpicato sulle colline lasciandosi alle spalle la piatta distesa di Kingston. Aveva attraversato minuscoli villaggi, con le caratteristiche capanne appollaiate ai lati della strada, poi era sceso giù per vallate dalla lussureggiante vegetazione tropicale, intrise di umidità nella foschia mattutina, e infine era risalito per ritrovare l’aria fredda delle alture che proteggevano la costa settentrionale.
Adesso erano le otto del mattino e stava scendendo di nuovo, a tutta velocità, curvo sulla moto, con il suono del motore nelle orecchie e il vento fra i capelli. Vide in lontananza l’acqua azzurra, le onde che si frangevano contro la barriera corallina interna e gli hotel allineati lungo la spiaggia, solo uno scorcio fuggevole prima di rituffarsi nelle ultime curve del pendio verdeggiante che portava a Ocho Rios.
McGregor odiava Ocho Rios. Quella che una volta era stata una bella ed elegante striscia di costa ora appariva come una lunga distesa di alberghi pacchiani, locali notturni sgangherati, gigolò e discoteche in cui suonavano steel band che richiamavano orde di stupidi turisti alla ricerca di qualcosa di un po’ più caro ma non diverso da Miami Beach.
Il Plantation Inn era stato costruito proprio per accogliere quei clienti. L’enorme complesso si estendeva su otto ettari di terreno, con edifici in finto stile coloniale, ristoranti e snack bar, ed era schermato dalla strada da un’alta recinzione. Al cancello c’era una guardia in uniforme cachi, un autoctono dalla faccia liscia che faceva un cenno di saluto a ogni limousine di turisti in arrivo dall’aeroporto.
Però a McGregor non lo fece. Anzi, alzò una mano e posò l’altra sul calcio della pistola nel fodero. «Cosa vuole?»
McGregor si fermò e mise la moto in folle. «Devo vedere il signor Wayne.»
«Chi?»
«Wayne. W-A-Y-N-E.»
La guardia controllò l’elenco degli ospiti su un blocco, tracciò un segno accanto a un nome e annuì. «Tenga il motore al minimo», disse mentre si scostava per lasciarlo passare. «Gli ospiti stanno dormendo.»
McGregor sorrise, diede gas e s’inoltrò rombando nel complesso. Sfilò fra giardini dall’aspetto impeccabile, con aiuole di fiori variopinti e palme meticolosamente annaffiate. Alla fine giunse davanti all’edificio principale del resort che, pur avendo solo tre anni di vita, era stato realizzato nello stile tipico delle piantagioni giamaicane.
Parcheggiò la moto ed entrò. L’impiegato in giacca rossa e cravatta dietro il banco alzò gli occhi sconcertato sulla sua salopette sporca di grasso e sul sudicio maglione blu. «Posso aiutarla, signore?» domandò, con quello che voleva essere un sorriso ma che sembrava più una smorfia.
«Il signor Wayne.»
«La sta, ehm, aspettando?»
«Sì, mi sta, ehm, aspettando.»
La smorfia si accentuò. «Il suo nome, prego?»
«James McGregor.»
L’impiegato prese il telefono, compose un numero e parlò in tono sommesso nel ricevitore per qualche istante prima di riappendere. Era chiaramente contrariato, ma riuscì a dire: «Prenda l’ascensore a destra. Stanza quattro-due-tre».
McGregor annuì senza fiatare.
Nonostante fosse mattina presto, Arthur Wayne, sveglio e vestito di tutto punto, sedeva a un tavolino sul quale era stata servita la colazione. Era un uomo snello sui cinquantacinque anni, con il viso severo e occhi grigi e freddi. Malgrado l’atmosfera informale del resort, indossava un abito gessato tre pezzi.
«Si accomodi, McGregor», disse imburrando il pane tostato. «È arrivato in fretta. Vuole fare colazione?»
«Solo una tazza di caffè.» Dopo essersi acceso una sigaretta, prese posto su una sedia vicino alla finestra. «Come sapeva dove trovarmi?»
«Vuole dire… dalla sua amica?» Wayne sorrise versando il caffè nella tazza. «Abbiamo i nostri metodi. Però non pensavo che ci avrebbe messo così poco.»
«Gliel’avevo detto, otto e trenta.»
«Certo, ma abbiamo chiamato alle sei, e ci vogliono quattro ore da Kingston a Ocho…»
«Non per me.»
«Ovvio», convenne Wayne. «Ovvio.» Diede un morso al pane e lanciò un’occhiata a McGregor. Il suo era lo sguardo di un uomo d’affari, fermo, clinico. «È più vecchio di quanto mi aspettavo.»
«Lei pure.»
«Quanti anni ha?» Posò il pane e attaccò le uova strapazzate. «Mi racconti un po’ di lei.»
«Non c’è molto da dire. Faccio il sub. Ho trentanove anni. Vivo a Kingston da quattordici. Prima mi occupavo di recupero marittimo nelle zone di New York e Miami. Non pagavano bene ed era un lavoro che odiavo, perciò sono venuto qui.»
«E prima di New York?»
«Ero stato nel Pacifico, a bonificare le spiagge per i marine.»
«Com’era?» chiese Wayne masticando le uova.
«Un incubo.» McGregor fece un tiro di sigaretta e guardò fuori dalla finestra. Quella parte del lavoro non gli piaceva: fornire le credenziali al cliente. Bisognava fare buona impressione. Si augurò che l’altro non tirasse in ballo la faccenda della gamba.
«Ho sentito che è stato ferito in guerra», disse Wayne.
«Già. Ho quasi perso una gamba. I medici me l’hanno ricucita, ma ci sono voluti tre anni perché tornasse a posto.»
«Notevole», commentò Wayne continuando a masticare. «Davvero notevole. Bene, non menerò il can per l’aia, signor McGregor. Lei ci è stato caldamente raccomandato. Siamo entusiasti di avere la sua collaborazione.»
McGregor abbozzò un sorriso. «Soprattutto perché sono l’unico sull’isola equipaggiato per fare il lavoro.»
«Ciò che più ci sta a cuore», spiegò Wayne, «è trovare l’uomo giusto.»
«Ma l’alternativa è fare arrivare in aereo una squadra dalla Florida o da Nassau, e costa parecchio. Ci vogliono un sacco di soldi per spostare tutta quella pesante attrezzatura.»
«Mi sta dicendo che intende tirare sul suo compenso?» domandò Wayne.
«Stavo solo riflettendo.»
«Non ci girerò intorno. Questo è un incarico importante, molto delicato. Le pagheremo quello che chiede, nei limiti del ragionevole, ovviamente.»
«Dipende dal lavoro.»
«Allora lasci che le spieghi di cosa si tratta», continuò Wayne asciugandosi la bocca con il tovagliolo.
Si scostò dal tavolino e accese una sigaretta, tossicchiando. Si avvicinò a una grossa valigia, l’aprì e ne estrasse documenti, carte marittime e cianografie, che sparse sul pavimento.
Poi prelevò una fotografia patinata e la porse a McGregor. «Il problema è questo», disse. «Lo yacht Grave Descend. Trentasette metri al galleggiamento, arredi e rifiniture di lusso, cinque cabine passeggeri, ognuna con il proprio bagno…»
«Stazza?» lo interruppe McGregor.
«Quarantaquattro e venti, credo.»
«Crede?»
Wayne controllò le sue carte. «Sì, quarantaquattro e venti.»
«Dov’è affondato?»
«Cinque miglia a est da qui e tre quarti di miglio al largo, approssimativamente. Secondo le stime più accurate, all’incirca in questo punto, poco oltre la barriera corallina esterna», rispose passandogli una carta marina. «Qui ci sono due barriere, una interna di circa sei metri e una esterna che si stacca…»
«Ne sono al corrente», lo interruppe il suo interlocutore. «Quando è successo?»
«Ieri.»
McGregor rifletté. «Ieri?»
Wayne fece un tiro di sigaretta e sorrise. «Si chiede come mai io sia arrivato qui tanto in fretta. In genere le compagnie di assicurazione marine non sono così solerti nell’inviare un funzionario. Non è a questo che sta pensando?»
«Grosso modo.»
«Credo che capirà quando sarà al corrente dei fatti. La barca è assicurata per due milioni di dollari, pertanto la nostra preoccupazione è comprensibile, ma è solo una parte del problema.»
McGregor aggrottò la fronte. Non gli era mai capitato prima di sentire un funzionario di un’assicurazione marina chiamare barca una nave. Inoltre Wayne era incredibilmente disorganizzato. Consultò di nuovo la carta. «Com’è coricato lo yacht?»
«Non lo sappiamo con certezza. Pensiamo che la prua sia rivolta a nord, verso il mare aperto, e che la poppa si trovi qui. Stando così le cose, la poppa sarebbe a circa venti metri di profondità e la prua a ventiquattro. Il dislivello del fondo è accentuato in questo punto…»
«Ha riportato danni?»
«Per quanto ne sappiamo, no. È intatto, speriamo.»
«Ma non ne siete certi.»
«In effetti, no.»
McGregor si accigliò. «Di chi è?»
«Appartiene a un industriale americano che ha fatto fortuna con l’acciaio. L’aveva comprato da un australiano nove mesi or sono e l’ha tenuto nel Mediterraneo fino a poche settimane fa. Dopodiché l’ha portato in un cantiere a Miami, anzi a West Palm, per effettuare alcune riparazioni e alla fine l’ha fatto arrivare qui.»
«Lui non era a bordo?»
«No. Vive fuori Pittsburgh e aveva in mente di venire a Ocho in aereo per fare una crociera fino ad Aruba.»
McGregor annuì. «E lei vuole che le dica se può essere riportato in superficie?»
«Anche», rispose Wayne. «Ma c’è dell’altro che ci sta a cuore, qualcosa che per la nostra compagnia è molto importante.»
«E sarebbe?»
«Innanzitutto vogliamo sapere perché è affondato», affermò Wayne schiacciando il mozzicone nel portacenere.
Ci fu una breve pausa di silenzio. McGregor era in attesa di una spiegazione, che tuttavia non arrivò.
«Non sono sicuro di seguirla», disse allora.
«Io stesso non ho le idee molto chiare in proposito», ammise Wayne. «Vede, a bordo è accaduto qualcosa. C’è stata un’esplosione: nella sala macchine, secondo le testimonianze. La barca era dotata di due motori diesel Caterpillar da seicento cavalli.»
«Diesel?»
«Sì, perché?»
«Vada avanti.»
«Da seicento cavalli. Navigava tranquilla a quattordici nodi. I motori erano stati meticolosamente controllati a West Palm ed erano in perfetto stato. Eppure c’è stata un’esplosione. La barca è affondata molto rapidamente. Si è inabissata in pochi minuti.»
«Si è fatto male qualcuno?»
Se ci fossero stati dei morti o dei feriti gravi, McGregor sarebbe stato fuori gioco. Il governo giamaicano avrebbe condotto un’inchiesta, perché l’imbarcazione era colata a picco nelle sue acque territoriali.
«No», rispose Wayne. «È questa la cosa strana. C’erano sei membri d’equipaggio, compreso lo skipper, il comandante Loomis. E c’era un passeggero. Sono riusciti tutti a lasciare lo yacht indenni e sono stati raccolti da un peschereccio.»
«Capisco. Dove si trova ora il comandante Loomis?»
«Qui in città, all’hotel Reserve.»
McGregor annuì. Conosceva il Reserve, un albergo economico sulle colline dove i proprietari di yacht erano soliti alloggiare il personale. «Vorrei parlargli.»
«Certo. Organizzerò un incontro più tardi…»
«Non si disturbi. Faccio da me.»
Wayne si strinse nelle spalle. «Come desidera.»
«E il passeggero chi era?»
«La passeggera, per essere precisi. Monica Grant. Il comandante è stato bravissimo al riguardo.»
«In che senso?»
«Mi riferisco alla pubblicità.» Wayne prese una copia del «Gleaner» di quella mattina. «Non c’è neanche una parola sul naufragio dello yacht. Fortunatamente il comandante Loomis è riuscito a non far trapelare niente.»
McGregor rimase in silenzio.
«Vede, il proprietario del Grave Descend è un carissimo amico della signorina Grant. E la moglie…»
«Okay», lo interruppe McGregor. «Ho capito.»
«Ecco quindi come stanno le cose», riprese Wayne. «La nave è affondata e non sappiamo perché. Il proprietario ci tiene molto che la notizia non venga divulgata e che non sia fatto il nome della signorina Grant.»
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore e regista statunitense rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Michael Crichton.
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