A febbraio 2020 giunge in libreria per Giappichelli un importante volume di diritto firmato dal magistrato, professore universitario ed ex presidente dell’ANAC Raffale Cantone, intitolato Il sistema della prevenzione della corruzione. Un testo pensato tanto per chi intende studiare la materia e quanto per chi si trova giorno dopo giorno a doverla applicare, e nel quale vengono delineate strategie e possibilità di lotta alla corruzione sempre tenendo a mente il principio che “prevenire è meglio che reprimere”. Di seguito potete trovare la scheda del libro e un’anteprima dal primo capitolo del volume.
Edito da G. Giappichelli Editore nel 2020 • Pagine: 384 • Compra su Amazon
A partire dal 2012 l’Italia ha avviato, sulla spinta delle organizzazioni internazionali, una nuova strategia di contrasto alla corruzione fondata non più solo sulla repressione penale ma su un diverso approccio di natura preventiva. Il sistema di regole che ne è derivato ha dato origine ad un vero e proprio “modello italiano” della prevenzione amministrativa, caratterizzato da tratti di originalità e, perciò, apprezzato e studiato anche a livello internazionale. La monografia approfondisce le tre direttrici attraverso cui il nuovo sistema si dipana (e cioè i piani anticorruzione, l’imparzialità dei funzionari e la trasparenza dell’azione amministrativa) nonché la recente legislazione in materia di tutela del cd whistleblowing e lo fa fornendo una lettura completa ed organica della normativa. In questa prospettiva, il testo appare particolarmente utile a chi voglia studiare la nuova materia ma anche a chi (nelle pubbliche amministrazioni, nelle società pubbliche o anche nell’attività professionale) è chiamato quotidianamente ad applicarla, perché fornisce anche un quadro aggiornato dell’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale in materia e degli atti di soft regulation dell’Autorità di vigilanza del settore, e cioè l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
Capitolo I
IL CONTRASTO ALLA CORRUZIONE IN ITALIA; DALLA REPRESSIONE ALLA PREVENZIONE
1. Premessa
Seppure non è stato scritto molto sulla storia della corruzione, si può pacificamente ritenere che essa, intesa come mercimonio delle funzioni pubbliche e sfruttamento delle stesse in una prospettiva utilitaristica, sia un comportamento punito (quasi) da sempre, quantomeno negli ordinamenti giuridici di tradizione romanistica. Pur non essendoci traccia sicura di quando per la prima volta questa condotta sia stata considerata un crimen, è certo che nella Roma repubblicana la sua punizione era già prevista. Uno dei processi più importanti che si celebrarono in quel periodo storico nel foro capitolino (70 a.C.) riguardò proprio un episodio di tal genere e coinvolse Gaio Licinio Verre, nobile romano insignito di varie cariche, fra cui quella di propretore di Sicilia, il cui mandato si caratterizzò per un sistematico arricchimento illecito e per l’imposizione di vere e proprie tangenti agli abitanti dell’isola. Le indagini e poi l’accusa nei suoi confronti venne sostenuta da un giovane e valente avvocato di provincia, Marco Tullio Cicerone da Arpino, che vi ricavò una grande notorietà che poi gli consentì di avviare un brillante cursus honorum, di diventare senatore, nonché di scrivere un’opera (le orazioni in Verrem, divenute note come le Verrine) che ha reso celebre la vicenda anche per i posteri. Di corruzione parla anche Dante nella Divina Commedia, definendola “baratteria”; i “barattieri” sono coloro, in particolare, che usano le loro cariche per arricchirsi attraverso la compravendita di provvedimenti, permessi e privilegi e questo comportamento viene reputato tanto grave che vengono non solo posti all’Inferno, ma viene perfino riservato loro un girone che comporta un supplizio dolorosissimo. La nozione di corruzione intesa come grave infedeltà dei doveri assunti dal pubblico funzionario e, quindi, come sfruttamento illecito della carica, è quella che troviamo anche nella maggior parte degli ordinamenti giuridici moderni. In essi, soprattutto quando ai regimi assolutistici si sostituiscono quelli di impronta costituzionale-liberale, si associa anche l’idea della corruzione come tradimento rispetto ai doveri assunti nei confronti dell’ordinamento democratico e di conseguenza degli stessi cittadini, quali titolari della sovranità. Per lungo tempo, però, questa ipotesi criminosa è rimasta confinata al rango di una (sia pur) grave infedeltà da parte di chi esercita funzioni pubbliche e di essa si sono sottovalutate le conseguenze e gli effetti. Solo dagli ultimi anni del Novecento si è cominciato a tenere in considerazione aspetti ulteriori, evidenziando come essa, da fatto singolo ascrivibile al funzionario pubblico (di carriera o di nomina politica), sia diventata uno strumento utilizzato da gruppi organizzati e centri di potere legali (ad esempio i partiti politici) o illegali (ad esempio le consorterie criminali) per appropriarsi di risorse pubbliche. L’attenzione degli studiosi non solo più del diritto, ma dell’economia e della sociologia, ha reso evidente che queste forme di corruzione hanno effetti diretti sul sistema economico (danneggiando la libera concorrenza, favorendo la concentrazione di ricchezze e deprimendo gli investimenti), sulla razionale distribuzione delle risorse (mettendo in discussione il principio di uguaglianza) e sul sistema politico (consentendo vantaggi competitivi illeciti a chi ne fa uso e minando la fiducia dei cittadini nelle istituzioni). Della trasformazione criminologica della corruzione si sono poi fatte particolarmente carico le organizzazioni internazionali, dedicandovi studi ed analisi e soprattutto mettendo il campo lo strumento più importante nelle loro mani: le Convenzioni internazionali.