Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il sorriso di Angelica di Andrea Camilleri, romanzo edito in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 9,99 ed è il diciassettesimo tra i volumi dedicati al commissario Montalbano.
Il sorriso di Angelica: trama del libro
Gli anni non impediscono a Montalbano di riaccedere alle venture e agli incanti dell’esperienza adolescenziale: all’inadeguatezza emotiva, alle fantasticaggini, ai risalti del cuore, ai turbamenti, alla tenera e trepida lascivia; alle affezioni precipitose, anche: dagli scoppi d’ira, agli schianti di gelosia. Conosce a memoria la poesia “Adolescente” di Vincenzo Cardarelli. Recita a se stesso i versi sul “pescatore di spugne”, che avrà la sua “perla rara”. E sa, non senza diffidenza e discorde sospetto di decrepitezza, quando più e quando meno, tra il lepido e il drammatico, che “… il saggio non è che un fanciullo / che si duole di essere cresciuto”. Non crede invece, alla sua “saggezza”, la fidanzata Livia. E scambia per un tratto di guasconeria la confessione di un tradimento, fatta con la schiettezza propria dell’età men cauta. Montalbano è stato folgorato dalla bellezza, sensualmente sporca di vita, della giovane Angelica. Un misterioso personaggio, nascosto in un gomito d’ombra, confonde il commissario con una giostra di furti architettati geometricamente, secondo uno schema d’ordine di pedante e accanita astuzia. Quale sia la posta in gioco è da scoprire. La vicenda è ingrovigliata e ha punte d’asprezza. E intanto Montalbano si vede in sogno, costretto in un’armatura di cavaliere, e buttato dentro un torneo. Fuor di sogno, nel vivo delle indagini, irrompe, in questa “gara” similariostesca, la nuova Angelica.
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Po’ gli vinni d’arridiri, pirchì s’arricordò che Livia era arrivata a Marinella la sira avanti, all’improviso, per farigli ’na sorprisa, graditissima almeno al principio, e ora dormiva della bella allato di lui.
Dalla finestra passava un filo di luci ancora violaceo della primissima alba e allura riabbasciò le palpebri, senza manco taliare il ralogio, nella spranza di farisi ancora qualichi orata di sonno.
Ma subito appresso s’arritrovò novamenti con l’occhi sbarracati per un pinsero che gli era vinuto.
Se qualichiduno aviva parlato dintra alla sò càmmara, non potiva essiri stata che Livia. La quali dunqui l’aviva fatto nel sonno.
Prima non le era mai capitato, o forsi lei aviva in pricidenza qualichi volta parlato, ma accussì vascio da non arrisbigliarlo.
E capace che in quel momento continuava ad attrovarisi in una fasi spiciali del sonno nella quale avrebbi ancora ditto qualichi altra parola.
No, quella non era un’occasioni da perdiri.
Uno che si metti a parlari all’improviso nel sonno non può diri che cose vere, le virità che tiene dintra di lui, non s’arricordava d’aviri liggiuto che nel sogno si potivano diri farfantarie, o ’na cosa per l’altra, pirchì uno mentri che dormi è privo di difisi, disarmato e ’nnuccenti come a un picciliddro.
Sarebbi stato ’mportanti assà non pirdirisi le paroli di Livia. ’Mportanti per dù motivi. Uno di carattiri ginirali, in quanto un omo può campare per cent’anni allato a ’na fìmmina, dormirici ’nzemmula, farici figli, spartirici l’aria, cridiri d’avirla accanosciuta come meglio non si pò e alla fini farisi pirsuaso che quella fìmmina non ha mai saputo com’è fatta veramenti.
L’altro motivo era di carattiri particolari, momintanio.
Si susì dal letto quatelosamenti, annò a taliare fora attraverso la persiana. La jornata s’appresentava sirena, priva di nuvole e di vento.
Po’ annò dalla parti di Livia, pigliò ’na seggia e s’assittò al capezzali, squasi fusse ’na veglia notturna di spitale.
La sira avanti Livia, e questo era il motivo particolari, gli aviva attaccato un catunio giganti per gilusia, guastannogli il piaceri che aviva provato per la sò vinuta.
Le cose erano annate accussì.
Aviva squillato il tilefono e lei era ghiuta ad arrispunniri.
Ma appena che aveva ditto pronto, ’na voci fimminina all’altro capo aviva fatto:
«Mi scusi, mi sono sbagliata».
E la comunicazioni era stata chiusa ’mmidiato.
E allura Livia si era subito amminchiata che quella era ’na fìmmina che se l’intinniva con lui, che quella sira tiniva un appuntamento e che aviva abbasciato la cornetta sintenno che lei era ’n casa.
«Vi ho rotto le uova nel paniere, eh?».
«Quando non c’è il gatto i topi ballano!».
«Lontano dagli occhi, lontano dal cuore!».
Non c’era stato verso di persuadirla diversamenti, la sirata era finuta a schifìo pirchì Montalbano aviva reagito in malo modo, disgustato cchiù che dai sospetti di Livia, dall’inesauribili caterva di frasi fatte che quella tirava fora.
E ora Montalbano spirava che Livia diciva ’na minchiata qualisisiasi che gli avrebbi dato la possibilità di pigliarisi ’na rivincita sullenne.
Gli vinni ’na gran gana di fumarisi ’na sicaretta, ma si tenne. In primisi, pirchì se Livia rapriva l’occhi e lo scopriva a fumari in càmmara di dormiri, sarebbi successo un quarantotto. In secunnisi pirchì si scantava che l’aduri del fumo potiva arrisbigliarla.
Passate un dù orate, tutto ’nzemmula gli vinni un crampo violento al polpaccio mancino.
Per farisillo spariri, accomenzò a dunduliari la gamma avanti e narrè e fu accussì che, col pedi nudo, detti inavvertitamenti un gran càvucio al bordo esterno di ligno del letto.
Provò un forti dolori, ma arriniscì a tinirisi dintra la valanga di santioni che stava per scappargli fora.
La botta al letto fici però effetto, pirchì Livia sospirò, si cataminò tanticchia e parlò.
Disse distintamenti, senza aviri la voci ’mpastata e facenno prima ’na speci di risateddra:
«No, Carlo, di dietro, no».
Per picca, Montalbano non cadì dalla seggia. Troppa grazia, santantò!
A lui sarebbiro abbastate una o dù paroli confuse, il minimo ’ndispensabili per fargli flabbicare un castello d’accuse basate supra al nenti, alla gisuitica.
Ma Livia ’nveci aviva ditto un’intera frasi chiara chiara, minchia!
Come se era perfettamenti vigliante.
E ’na frasi che potiva fari pinsari a tutto, macari al pejo.
’Ntanto, non gli aviva mai fatto parola di un tali acchiamato Carlo. Pirchì?
Se non gliene aviva mai parlato, ’na ragioni seria doveva essirici.
E po’ che potiva essiri ’sta cosa che lei non voliva che Carlo le faciva di darrè?
E di conseguenza: di davanti sì e di darrè no?
Principiò a sudari friddo.
Fu tintato d’arrisbigliare a Livia scutennula forti e malamenti, taliarla con l’occhi sgriddrati e spiarle con voci ’mpiriosa da sbirro:
«Chi è Carlo? Il tuo amante?».
Ma quella sempri fìmmina era.
E dunque capace di nigari ogni cosa, macari ’ntordonuta dal sonno. No, sarebbe stata ’na mossa sbagliata.
La meglio era attrovare la forza d’aspittari e tirare fora il discurso al momento cchiù adatto.
Ma qual era il momento cchiù adatto?
E po’ abbisognava aviri un certo tempo a disposizioni, pirchì sarebbi stato uno sbaglio affrontari la questioni in modo diretto, Livia si sarebbi ’nquartata a difisa, no, nicissitava pigliari l’argomento alla larga, senza farle nasciri sospetti.
Addecidì d’annarisi a fari la doccia.
Di tornari a corcarisi oramà non sinni parlava.
Si stava vivenno il primo cafè della matinata quanno il telefono sonò.
Si erano fatte le otto. Non s’attrovava nell’umori adatto per sintiri parlari d’ammazzatine. Avrebbi semmai lui ammazzato a qualichiduno, se gliene s’appresentava l’occasioni.
Preferibilmenti qualichiduno che di nomi faciva Carlo.
Ci aviva ’nzirtato, era Catarella.
«Ah dottori dottori! Chi fa, dormiva?».
«No, Catarè, vigliante ero. Che fu?».
«Ci fu che ci fu un frutto che ci fu».
«Un furto? E pirchì veni a scassare i cabasisi a mia, eh?».
«Dottori, addimanno compressioni e pirdonanza, ma…».
«Ma, ’na minchia! Né compressioni né pirdonanza! Telefona subito ad Augello!».
A momenti Catarella si mittiva a chiangiri.
«Quisto appunto ci volevasi diri, spianno scusanza tantissima, dottori. Che il suddetto dottori Augello da stamatino attrovasi allicinziato».
Montalbano stunò. Ma manco ’na cammarera si pò cchiù licinziari su due piedi!
«Licenziato? E da chi?».
«Dottori, ma fu vossia stisso di persona pirsonalmenti ad allicinziarlo aieri doppopranzo!».
Montalbano s’arricordò.
«Catarè, è andato in licenza, non è stato licenziato!».
«E io che dissi? Non dissi accussì?».
«Senti, puro Fazio è stato allicinziato?».
«Macari quisto ci volevasi diri. Siccome che al mircato c’è stata ’na sciarriatina, il suddetto attrovasi in loco».
Non c’erano santi, attoccava annare a lui.
«Vabbeni, il denunziante è lì?».
Catarella fici ’na brevi pausa prima di parlari.
«Lì indovi che sarebbi, dottori?».
«Ma in commissariato, dove vuoi che sia?».
«Dottori, ma io come fazzo a sapiri chi è chisto lì?».
«C’è o non c’è?».
«Cu?».
«Il denunziante».
Catarella sinni ristò muto.
«Pronto?».
Catarella non arrispunnì.
Montalbano pinsò che la linea era caduta.
E lo pigliò il grannissimo, cosmico, irragionevoli scanto che l’assugliava quanno una tilefonata s’interrompiva: quello d’essiri ristato l’unica persona viventi in tutto l’universo criato.
Si misi a fari voci come un pazzo.
«Pronto? Pronto?».
«Ccà sugno, dottori».
«Pirchì non parli?».
«Dottori, vossia non s’offenni se ci dico che io non saccio che è ’sto denunzianti?».
Calma e pacienza, Montalbà.
«Sarebbe quello che ha subito il furto, Catarè».
«Ah, quello! Ma non s’acchiama denunzianti, s’acchiama Piritone».
Cioè a diri grosso peto. Possibbili?
«Sicuro che si chiama Piritone?».
«La mano supra al foco, dottori. Piritone Carlo».
Gli vinni di mittirisi a fari vociate, dù Carli nella stissa matinata erano difficili da supportari.
Sintiva che tutti i Carli del munno in quel momento gli stavano ’ntipatici.
«Il signor Piritone è in commissariato?».
«Nonsi, dottori, tilefonò. Lui abita in via Cavurro tridici».
«Telefonagli che sto arrivando».
Livia non era stata arrisbigliata né dallo squillo del telefono né dalle sò vociate.
Nel sonno, aviva un leggero sorriso supra le labbra.
Forsi stava continuanno a ’nsognarisi a Carlo, la cretina.
L’assugliò ’na raggia ’ncontrollabili.
Pigliò ’na seggia, la isò in aria, la sbattì ’n terra.
Livia s’arrisbigliò di colpo, scantata.
«Che è stato?».
«Niente, scusa. Devo uscire. Torno per pranzo. Ciao».
Sinni niscì di cursa per non attaccari turilla.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore siciliano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Andrea Camilleri.
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