Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di I sotterranei della cattedrale di Marcello Simoni. Il romanzo è pubblicato in Italia da Newton Compton con un prezzo di copertina di 4,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è disponibile in eBook al prezzo di euro 0,99.
I sotterranei della cattedrale: trama del libro
Urbino, anno 1790. Un “magister” dell’Università cittadina viene trovato morto all’interno della Cattedrale. Lo stato del suo corpo lascia supporre che sia precipitato dalle impalcature erette all’interno dell’edificio per la ricostruzione della cupola, distrutta l’anno precedente da un terremoto. Ma Vitale da Montefeltro, uno studente destinato al sacerdozio, intuisce che dietro l’incidente si cela un enigma irrisolto. Dubita che il magister, grande cultore di antiquariato, sia morto per puro caso, e indagando sui suoi ultimi giorni scopre un fatto sconcertante: l’uomo era sulle tracce di un antico tempio dedicato alle Ninfe, nascosto all’insaputa di tutti nel sottosuolo della città. Vitale si appassiona al mistero, ma ben presto si rende conto che il “magister” non è morto per pura disgrazia. È stato assassinato. Tra i sospetti vi sono il priore della Cattedrale, il “rector” dell’Università e un inquietante individuo che vive nei sotterranei di Urbino.
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Palazzo del Vaticano, notte del 30 gennaio 1789
L’uomo attese con pazienza il calare delle tenebre, poi uscì dal suo nascondiglio e attraversò al buio le logge di Raffaello, che sorgevano presso la residenza invernale del pontefice. Non poté soffermarsi ad ammirare gli arabeschi del grande pittore urbinate e proseguì a passo svelto senza l’ausilio di una lanterna, per timore di allertare eventuali guardiani. D’altronde non aveva bisogno di un lume, conosceva il percorso a memoria e, dopo aver raggiunto il primo piano del loggiato, seppe orientarsi fino a imboccare il maestoso corridorio del Belvedere. A quel punto percepì i morsi dell’aria gelida proveniente dai giardini e si pentì di indossare soltanto il saio e i sandali. Non c’era stato tempo di pensare al mantello. Seguì il corridoio quasi per metà, circa seicento passi che lo condussero a un portone di ferro, quindi cercò in una tasca la chiave che aveva rubato il pomeriggio precedente, la infilò nella toppa e fece scattare la serratura.
Mentre varcava l’ingresso, il timore di essere scoperto fu vinto dall’emozione. Era penetrato nella Biblioteca Vaticana, uno degli edifici più importanti della cristianità, innalzata esattamente due secoli prima per volere di papa Sisto V. E come gli era accaduto nelle logge di Raffaello, fu tentato di ammirare gli affreschi che istoriavano le pareti e il soffitto a volta, ma la luce lunare che filtrava dalle finestre era troppo debole per metterne in risalto la magnificenza. Perciò si convinse a proseguire.
Il salone della biblioteca era immenso, lungo quanto la basilica di Venezia e diviso in due navate sorrette da sette pilastri. Vi trovavano posto quarantasei armadi contenenti più di diecimila libri manoscritti e a stampa, suddivisi in raccolte provenienti da ogni Paese d’Europa.
Ma l’uomo era interessato a una in particolare, collocata nell’attigua Stanza Alessandrina. Attraversò la grande aula alla ricerca del suo accesso e, quando l’ebbe trovato, gettò un’occhiata furtiva verso il vestibolo per accertarsi che non comparissero custodi, benché l’ora tarda lo rendesse assai improbabile. Poi entrò.
La stanza era occupata da armadi ed effigi nobiliari. L’uomo vi si aggirò per oltre mezz’ora, controllando iscrizioni e sigilli, finché non individuò uno stemma a campo azzurro con una quercia dorata al centro.
Aveva trovato quel che cercava.
Lo stemma, presente su ben cinque armadi, apparteneva al casato della Rovere che aveva governato per oltre centosessant’anni il ducato di Urbino. Ma la collezione di libri custodita dietro quelle ante vantava origini più antiche. Risaliva al famoso Federico di Montefeltro, che per metterla insieme si diceva avesse speso oltre trecentomila ducati: una vera fortuna. La raccolta comprendeva manoscritti di ogni genere, dalla religione alla matematica, dall’astrologia all’arte militare, insieme a una quantità di disegni e carteggi di inestimabile valore. Ma proprio perché inestimabile, quella collezione aveva subìto un destino tormentato. Collocata in origine nel palazzo ducale di Urbino, era stata saccheggiata da Cesare Borgia per essere trasferita nella rocca di Forlì e infine restituita da papa Giulio II ai legittimi proprietari. Ciò non aveva impedito che venisse depredata e divisa tra Urbino e Castel Durante, per poi essere accresciuta dai duchi della Rovere, succeduti nel frattempo alla casata di Montefeltro. Infine, su ordine di papa Alessandro VII, era stata trasportata a Roma, presso la Biblioteca Vaticana, dove aveva trovato la sua sede definitiva.
Sperando che tutti quegli spostamenti non avessero impoverito il fondo originario, l’uomo spalancò le ante del primo armadio. Cercava un documento risalente al tempo di Federico di Montefeltro. Un disegno unico nel suo genere, che forse superava da solo il valore dell’intera collezione.
Si mise al lavoro, ma ben presto si accorse che la semioscurità gli impediva di leggere e, a costo di farsi scoprire, fu costretto ad accendere il lume che aveva portato con sé. Iniziò a controllare i documenti, sfilandoli uno alla volta dagli scaffali per poi ricollocarli al loro posto in modo che nessuno, il giorno dopo, si accorgesse dell’intrusione. Quando ebbe passato al vaglio l’intero contenuto del primo armadio, lo richiuse e passò al secondo.
Continuò così per tutta la notte, fermandosi soltanto nei momenti in cui la vista iniziava ad appannarsi. Allora chiudeva le palpebre, le massaggiava con delicatezza e riprendeva a leggere, ignorando la stanchezza e il bruciore agli occhi.
E, poco prima dell’alba, posò lo sguardo sul documento che cercava.
Cittadella di Urbino, due settimane dopo
Vitale Federici uscì di buon’ora dal collegio delle scuole pie. La notte prima era nevicato abbondantemente e, a dispetto del freddo intenso, lo spiazzo davanti all’edificio era occupato da un gruppo di studenti dell’università intento a lanciarsi palle di neve. Alcuni di quelli lo riconobbero e lo chiamarono per nome, invitandolo a prendere parte al loro gioco. Vitale fu tentato di accettare, poi si rammentò dei propri impegni e fu costretto a declinare con un rapido saluto. Doveva recarsi alla biblioteca del convento di San Francesco per terminare le sue ricerche per il dottorato. Stava studiando l’influsso dei corpi celesti sull’uomo secondo i grandi pensatori, da Michele Scoto a Franz Anton Mesmer. Il suo maestro, padre Fernando Lamberti, era rimasto talmente affascinato dalla sua esposizione preliminare da aver insistito perché la completasse il prima possibile.
Il Pian di Mercato era completamente ricoperto di neve e già affollato di prima mattina. La biblioteca di San Francesco si trovava a pochi passi dal collegio, presso il convento dei frati scolopi. Ma prima che potesse accedervi, Vitale si imbatté in una coppia di vecchi compagni: Gaspare, uno spilungone biondiccio con un paio di occhiali dalle lenti ovali, e Bonaventura, una pasta d’uomo dalla folta barba bruna. Aveva trascorso gli ultimi quattro anni insieme a loro, per buona parte tra taverne e bravate, ma da un paio di mesi non aveva più tempo da dedicare agli svaghi. I suoi impegni erano aumentati a dismisura e non gli consentivano distrazioni.
«Ho fretta», disse, nella speranza di congedarli alla svelta. Ma vedendo che i due non si facevano da parte, li fissò dritto in faccia e notò la loro aria corrucciata.
«Devi venire con noi», annunciò Bonaventura a occhi bassi.
«È successa una disgrazia», spiegò Gaspare, visibilmente a disagio. «Il professor Lamberti è…».
Vitale capì al volo e sentì il mondo cadergli addosso. «Dove?», chiese, afferrandolo per un braccio.
«Alla cattedrale».
La scalinata d’ingresso era occupata da una calca impressionante di curiosi. Vitale non aveva mai visto tanta gente davanti alla facciata della cattedrale, neppure la notte della Vigilia. Lasciò indietro i suoi compagni e si fece strada tra la folla, senza curarsi di spingere e di far cadere qualcuno. Fin da bambino, aveva sempre detestato gli ambienti affollati e tutt’ora si innervosiva al pensiero di immergersi nella confusione, tra mille odori esalati da estranei. Ma ancor più detestava il sentirsi intrappolato in un amalgama di corpi, privo della libertà di muoversi a piacimento.
Ciò nondimeno, riuscì ad avanzare e quando giunse davanti al portale si accorse che era controllato da un assembramento di cinque guardie svizzere.
«Chiedo il permesso di entrare», domandò, facendosi avanti. «Sono un discepolo di padre Lamberti e vorrei sapere cosa gli è accaduto».
«State al vostro posto!», gli rispose uno dei soldati, spingendolo indietro.
Già sconvolto per l’accaduto, Vitale faticò a trattenersi dal protestare per essere stato trattato come un uomo del popolino, ma si fermò al sentir pronunciare il proprio nome dall’interno della cattedrale. Subito dopo, uno degli svizzeri si fece da parte per lasciargli libero il passaggio.
Il giovane varcò il portale senza capacitarsi di quell’improvviso mutare di atteggiamento. Non appena fu all’interno, si imbatté in un gentiluomo segaligno dalla vaporosa parrucca grigia, sotto la quale spuntava il volto aristocratico di monsignor Francesco Maria Albani, rettore dell’università. La guardia doveva averlo lasciato passare su suo comando.
Vitale disegnò un inchino ossequioso, ma il rettore lo fece alzare con modi sbrigativi. «Non perdiamo tempo», gli disse. Nella sua voce c’era rammarico, ma anche una punta di benevolenza.
«So che conoscevate bene padre Lamberti. Il professore parlava spesso di voi, e lo faceva con orgoglio», quindi fece cenno di seguirlo.
L’interno della cattedrale era occupato da un intricato sistema di impalcature che sorreggeva il soffitto dopo il crollo della cupola avvenuto circa un mese prima. Un danno irreparabile. Oltre a una porzione del tetto, erano andati perduti gli affreschi di Carlo Maratta commissionati all’inizio del secolo da papa Clemente XI, l’organo e la maggior parte degli arredi sacri. Il cedimento aveva danneggiato le cripte dell’edificio, generando un tale frastuono da risvegliare negli urbinati la paura per il terremoto di otto anni
prima.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore di Comacchio rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Marcello Simoni.
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