Sotto pelle: la trama del libro
Una macchina percorre più volte al giorno una statale deserta nelle Highlands scozzesi. Alla guida c’è una donna, Isserley. Sembra che stia cercando qualcosa. All’improvviso nota sul ciglio della strada un giovane robusto seduto sul suo zaino, gli fa cenno di salire a bordo. Il ragazzo la ringrazia del passaggio, non ha motivo di diffidare di una bella ragazza dall’apparenza inoffensiva. La fattoria in cui Isserley lo conduce è una base sotterranea, un labirinto di cucine, camere frigorifere e gabbie in cui altre prede attendono di essere macellate. Isserley appartiene a un’altra specie, che si definisce umana per distinguersi da quella dei “vodsel”, la razza inferiore che riempie le strade e le città e che il suo popolo usa come cibo. I Vodsel siamo noi.
A un primo sguardo, tuttavia, era incredibile quanto poteva risultare difficile notare la differenza. Si potrebbe pensare che un autostoppista solitario, fermo al bordo di una strada di campagna, sia visibile per almeno un chilometro, come un monumento lontano, o un silos per le granaglie: si potrebbe pensare di riuscire a esaminarlo con calma mentre si guida, di spogliarlo e rigirarselo nella mente con anticipo, ma Isserley aveva scoperto che non era cosí.
Guidare attraverso le Highland scozzesi era di per sé impegnativo; accadeva sempre qualcosa in piú rispetto a quel che ci si immagina guardando i paesaggi delle cartoline. Perfino nel silenzio madreperlaceo di un’alba invernale, con le nebbie ancora addormentate nei campi ai lati della strada, non si poteva sperare che la A9 restasse vuota a lungo. Le carcasse di pelliccia appartenenti a creature della foresta non identificabili ingombravano l’asfalto, sempre fresche ogni mattina, e ciascuna di esse non era che un istante congelato nel tempo, quando un essere vivente aveva scambiato la strada per il suo habitat naturale.
Anche Isserley, spesso, si avventurava per strada a ore pietrificate in un’immobilità preistorica, al punto che il suo veicolo poteva essere il primo della storia. Era come se fosse stata calata in un mondo appena creato, cosí nuovo che le montagne avrebbero potuto ancora assestarsi e le valli coperte di boschi trasformarsi in mari.
Ciò nonostante, una volta lanciata l’auto lungo la strada deserta, velata da una nebbia leggera, sapeva che era questione di pochi minuti, e dietro di lei avrebbe cominciato a scorrere il traffico diretto verso Sud. E quel traffico non le avrebbe neppure lasciato fare da battistrada, come una fila di pecore lungo un sentiero stretto; avrebbe dovuto correre piú in fretta, o l’avrebbero cacciata dalla corsia a forza di clacson.
Inoltre si trattava di un’arteria principale, e doveva stare attenta a tutte le strade secondarie che vi confluivano. Solo una parte di quegli snodi erano segnalati chiaramente, quasi fosse stato il risultato di una selezione naturale; gli altri erano nascosti dagli alberi. Non tenere conto degli incroci era una pessima idea, anche se Isserley aveva la precedenza: da una qualunque di quelle strade poteva spuntare un trattore borbottante e impaziente, che in caso di collisione non avrebbe subito molte conseguenze, mentre lei si sarebbe spiaccicata sull’asfalto.
Quel che la distraeva di piú, tuttavia, non era la minaccia di un pericolo imminente ma l’incanto di ciò che la circondava. Un luminoso fossato colmo d’acqua piovana, uno stormo di gabbiani gettati all’inseguimento di una seminatrice in un campo fertile, l’apparizione fugace della pioggia due o tre monti piú avanti, o anche il volo di un ostricaio solitario: una sola di queste immagini poteva far quasi dimenticare a Isserley il motivo per cui era lí, per strada. Il levarsi del sole tingeva d’oro le fattorie distanti e lei era ancora al volante, quando un oggetto assai piú vicino, poco piú di un’ombra nerastra, abbandonava all’improvviso le sembianze di un ramo d’albero o di un cumulo di macerie per assumere quelle di un bipede con il braccio teso.
Allora si ricordava, ma a volte succedeva quando ormai lo aveva superato mancando di un soffio la mano tesa, quasi che le dita, come rametti, avrebbero potuto spezzarsi, se solo fossero cresciute di qualche centimetro in piú.
Premere sul freno era fuori questione. Al contrario, lasciava tranquillamente il piede sull’acceleratore, restava in fila dietro le altre auto, limitandosi a scattargli di passaggio una rapida fotografia mentale.
A volte, mentre riesaminava quell’immagine Isserley si rendeva conto che l’autostoppista era in realtà una femmina. A lei le femmine non interessavano, almeno non in quel senso. Che le caricasse qualcun altro.
Se l’autostoppista era maschio di solito tornava indietro per un secondo sopralluogo, a meno che non si trattasse chiaramente di un tipo mingherlino. Nel caso in cui il soggetto in questione fosse per lo meno interessante, appena possibile faceva un’inversione a U – ben lontana da lui –, non voleva che si accorgesse di nulla. Poi, guidando nella direzione opposta piú lentamente che poteva, cercava di squadrarlo ancora una volta.
Editore: Einaudi
Pagine: 281
Collana: Sile libero Big
eBook: 6,99 €
Michel Faber è uno scrittore di origini olandesi, divenuto famoso con il romanzo Sottopelle e consacrato dal successivo libro, Il petalo cremisi e il bianco. Ha di recente annunciato che probabilmente non scriverà più romanzi.
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