Il romanzo Stars di Anna Todd, in uscita l’11 settembre 2018, segna il ritorno di una delle scrittrici Young Adult più popolari del mondo. Dopo la fortunatissima serie After, che ha avuto un ottimo riscontro anche in Italia, la scrittrice statunitense torna con dei nuovi personaggi, Karina e Kael, e una nuova storia d’amore.
Contenuti
La scheda di Stars con trama e copertina
Edito da Sperling & Kupfer nel 11 settembre 2018 • Pagine: 312 • Compra su Amazon
Karina ha vent'anni, ma ha già imparato sulla propria pelle quanto la vita possa essere complicata e le relazioni fragili. Per questo, dopo il divorzio dei genitori e anni di traslochi da una città all'altra per via del lavoro del padre, ora è in cerca con tutte le sue forze di certezze e stabilità. Per ricominciare ha scelto un lavoro tranquillo e un piccolo appartamento, bisognoso di qualche riparazione, come il suo cuore, che da tempo si è decisa a non ascoltare. Un giorno, però, incontra Kael, che l'attira a sé con i suoi modi gentili e rassicuranti. Kael è riservato, paziente e un ottimo ascoltatore. Quando è con lui, i dubbi e le insicurezze di Karina si dissipano e il rumore della sua vita caotica sembra magicamente affievolirsi. Ma Kael non è quello che sembra. C'è qualcosa sotto quella facciata calma e rasserenante, uno spirito ribelle, che non sa stare dentro schemi troppo rigidi. Per Karina, però, è ormai troppo tardi e, nonostante la sua ostinata resistenza, si trova coinvolta in un nuovo vortice, in un nuovo mondo ancora più oscuro del suo, e pieno di passione... → CONTINUA SU AMAZON
L’inizio del libro
Karina 2019
IL vento spazza la caffetteria ogni volta che la vecchia porta di legno si apre cigolando. Fa insolitamente freddo per essere settembre e sono piuttosto sicura che sia una specie di punizione dell’universo per aver accettato di incontrarlo, proprio oggi tra l’altro. Cosa mi è saltato in mente?
Non ho quasi avuto il tempo di nascondere le borse sotto gli occhi con un po’ di trucco. E il vestito che mi sono messa: quand’è stata l’ultima volta che ha visto la lavatrice? Per l’ennesima volta, cosa mi è saltato in mente?
In questo momento sto pensando che ho mal di testa e non so se ho qualcosa in borsa. Sto anche ragionando sul fatto che è stato furbo scegliere il tavolo più vicino alla porta così posso andarmene di corsa se necessario. Questo posto nel centro di Edgewood? Neutrale e per nulla romantico. Un’altra buona scelta. Sono venuta soltanto qualche volta, ma è la mia caffetteria preferita di Atlanta. I posti a sedere sono abbastanza limitati – una decina di tavoli – quindi suppongo che vogliano favorire un veloce ricambio della clientela. Ci sono un paio di elementi degni di Instagram, come la parete di piante grasse e le impeccabili piastrelle bianche e nere alle spalle del bancone del bar, ma nel complesso è un ambiente molto austero. Grigio rigoroso dappertutto e calcestruzzo. Frullatori rumorosi che miscelano il cavolo riccio con qualsiasi frutto vada di moda al momento.
C’è una sola porta cigolante: da lì si esce e si entra. Guardo il telefono e mi asciugo le mani sull’abito nero.
Mi abbraccerà? Mi darà la mano?
Non riesco a immaginare un gesto così formale. Non da parte sua. Maledizione. Mi sto agitando di nuovo e lui non è nemmeno qui. Per la quarta volta oggi, sento il panico salirmi dallo stomaco e mi rendo conto che ogni volta che immagino il nostro incontro, lo vedo con gli occhi della prima volta. Non ho idea di quale versione di lui mi si presenterà davanti. Non lo vedo dall’inverno scorso e non so più chi sia. Ma in realtà, l’ho mai saputo?
Forse ho conosciuto solo una delle sue declinazioni, la sagoma vuota e splendente dell’uomo che sto aspettando.
Immagino che avrei potuto evitarlo per il resto della mia vita, ma non rivederlo più mi sembra peggio che stare seduta qui. Questo almeno posso ammetterlo. Sono qui a scaldarmi le mani con una tazza di caffè e ad attendere che entri da quella vecchia porta rumorosa dopo che ho giurato a lui, a me stessa e a chiunque mi abbia ascoltato negli ultimi mesi che non avrei mai…
Non arriverà prima di altri cinque minuti, ma se è ancora l’uomo che ricordo, entrerà impettito, in ritardo, con quella sua aria cupa sul volto.
Quando la porta si spalanca, è una donna a entrare. I suoi capelli biondi sembrano un nido appiccicato sulla minuscola testa. Tiene il cellulare contro la guancia rossa.
«Non mi frega un accidente, Howie. Fallo», dice brusca, scostando il telefono dall’orecchio con una sfilza di imprecazioni.
Odio Atlanta. Le persone qui sono tutte come lei: suscettibili e perennemente di corsa. Non è sempre stato così. O forse sì, ma io no. Le cose cambiano. Una volta amavo questa città, soprattutto il centro. La scelta di posti in cui mangiare è strepitosa e per un buongustaio proveniente da una piccola città… be’, basta questa come ragione per venire a viverci. Ad Atlanta c’è sempre qualcosa da fare e tutto resta aperto più a lungo che a Fort Benning. Però a quel tempo la sua attrattiva maggiore era il fatto di non avere nulla a che fare con la vita militare. Niente mimetiche ovunque guardassi. Niente uomini e donne in uniforme da combattimento in coda davanti ai cinema, alle stazioni di servizio, da Dunkin Donuts. La gente parlava usando parole vere, non solo acronimi. E c’erano un sacco di tagli di capelli non militari da ammirare.
Amavo Atlanta, ma lui ha cambiato tutto.
Noi abbiamo cambiato tutto.
Noi.
Non mi spingerò oltre nell’ammettere le mie colpe riguardo a ciò che è successo.
2.
«STAI fissando.»
Sono solo due parole ma mi travolgono, mi entrano dentro sconvolgendomi tutti i sensi. Eppure sento anche quella calma che provo ogni volta che mi è vicino. Alzo lo sguardo per assicurarmi che sia lui anche se lo so benissimo. Difatti è là, in piedi, gli occhi color nocciola puntati sul mio viso, mi sta scrutando… si sta abbandonando ai ricordi? Vorrei che non mi guardasse così. La piccola sala è abbastanza piena, anche se non sembra. Avevo pensato a ogni dettaglio di quell’incontro, ma lui ha mandato all’aria tutto e ora sono tesa.
«Come fai?» gli chiedo. «Non ti ho visto entrare.»
Ho paura che il mio tono sembri accusatorio o tradisca il mio nervosismo, ed è l’ultima cosa che voglio. Però mi domando proprio come faccia. È sempre stato bravo a non far rumore, a muoversi non visto. Un’altra capacità perfezionata nell’esercito, suppongo.
Gli faccio cenno di sedersi. Lui si sistema sulla sedia ed è allora che mi rendo conto che ha la barba lunga. Gli zigomi sono delineati da tratti netti, precisi e la mascella è ricoperta di peli scuri. Una novità. Ovvio: prima doveva rispettare il regolamento. I capelli devono essere corti e pettinati con cura. I baffi sono consentiti ma solo se ben curati e se non nascondono il labbro superiore. Una volta mi aveva detto che pensava di farseli crescere ma io lo avevo dissuaso. Anche con un viso come il suo sarebbero stati inquietanti.
Prende il menu dei caffè dal tavolo. Cappuccino. Macchiato. Caffellatte. Flat white. Nero lungo. Da quando è tutto così complicato?
«Adesso ti piace il caffè?» Non cerco di nascondere la sorpresa.
Scuote la testa. «No.»
Un mezzo sorriso gli attraversa il viso imperturbabile ricordandomi dell’esatta ragione per cui mi sono innamorata di lui. Un attimo fa era facile distogliere lo sguardo. Adesso è impossibile.
«Il caffè no», mi rassicura. «Il tè.»
Naturalmente non porta la giacca e ha le maniche della camicia di jeans arrotolate sopra i gomiti. Da sotto spunta il tatuaggio sull’avambraccio, e so che se gli toccassi la pelle sarebbe bollente. Non ho intenzione di farlo, neanche morta, perciò alzo lo sguardo e fisso al di sopra della sua spalla. Per prendere le distanze dal tatuaggio. Per prendere le distanze dall’idea. È più sicuro così. Per tutti e due. Cerco di concentrarmi sui rumori della caffetteria per abituarmi al suo silenzio. Mi ero scordata quanto potesse essere snervante la sua presenza.
È una bugia. Non me ne sono scordata. Avrei voluto farlo, ma non ci sono riuscita.
Sento avvicinarsi la cameriera, le sue sneakers scricchiolano sul pavimento di calcestruzzo. Ha una vocina flebile e quando gli dice che deve «assolutamente» provare il nuovo caffè alla menta, io rido sapendo che odia tutte le cose che sanno di menta, persino il dentifricio. Penso ai grumi rossi di dentifricio alla cannella che lasciava nel lavandino di casa mia, e a tutte le volte che abbiamo litigato per questo. Se solo avessi evitato di brontolare inutilmente. Se solo avessi prestato più attenzione a quello che stava succedendo veramente, sarebbe potuto andare in modo diverso.
Forse. O forse no. Sono una persona che si prenderebbe la colpa di tutto… ma non in questo caso. Non lo so.
Non voglio saperlo.
Un’altra bugia.
Kael dice alla ragazza che vuole un tè nero semplice e, questa volta, mi sforzo di non ridere. È così prevedibile.
«Che c’è di tanto divertente?» chiede quando la cameriera se ne va.
«Niente.» Cambio discorso. «Allora, come stai?»
Non so esattamente quali cavolate ci diremo durante il nostro appuntamento in caffetteria. So invece che ci vedremo domani, ma dato che oggi dovevo comunque essere in città, mi era sembrata una buona idea fare l’imbarazzante primo incontro senza pubblico. Un funerale non è certo l’occasione migliore.
«Bene. Date le circostanze.» Si schiarisce la voce.
«Sì.» Sospiro cercando di non pensare troppo a domani. Sono sempre stata brava a far finta che il mondo intorno a me non fosse in fiamme. Okay, negli ultimi tempi ho avuto qualche cedimento, ma per anni mi è venuto naturale, è una cosa che ho iniziato a fare più o meno tra il divorzio dei miei e il diploma delle superiori. A volte ho l’impressione che la mia famiglia stia scomparendo. Diventiamo sempre più piccoli.
«Tu stai bene?» chiede, la voce ancora più bassa di prima.
La sento come la sentivo quelle sere in cui ci addormentavamo con la finestra aperta e il mattino dopo tutta la stanza era piena di umidità, i nostri corpi bagnati e appiccicosi. Mi piaceva la sensazione della sua pelle calda quando la punta delle dita seguivo il suo profilo armonioso. Persino le sue labbra erano calde, talvolta sembrava febbricitante. L’aria della Georgia del Sud era così densa che potevi quasi morderla e la temperatura di Kael era sempre altissima.
Si schiarisce la voce e io torno di colpo alla realtà.
So cosa sta pensando, glielo leggo in faccia chiaro come il neon MA PRIMA, UN CAFFÈ appeso sul muro dietro di lui. Odio che il mio cervello associ proprio quei ricordi a lui. Non rende la cosa affatto più facile.
«Kare.» La sua voce è dolce mentre si allunga sul tavolo per toccarmi la mano. La scosto così in fretta che chiunque penserebbe che me la sia bruciata. È strano ricordare come eravamo, non si capiva dove finiva lui e iniziavo io. Eravamo così in sintonia. Così… così diversi rispetto a ora. C’era un tempo in cui diceva il mio nome e io gli davo tutto ciò che voleva. Ci rifletto per un attimo. Davo a quell’uomo tutto ciò che voleva.
Credevo d’essere più avanti nella fase di recupero, nell’operazione di buttarmelo alle spalle. Almeno al punto di non pensare più al suono della sua voce quando lo svegliavo presto per l’allenamento o a come era solito urlare di notte. La testa comincia a girarmi e se non blocco subito la mente, i ricordi mi spaccheranno in due proprio qui, su questa sedia, in questo piccolo locale, davanti a lui.
Mi sforzo di annuire e prendo il mio caffellatte per guadagnare un po’ di tempo, solo un istante per recuperare la voce. «Sì. Voglio dire, i funerali sono proprio la mia passione.»
Non oso guardarlo in faccia. «Comunque, non c’è niente che avresti potuto fare. Non dirmi che pensi che avresti potuto…» Tace e io fisso più attentamente la piccola sbeccatura della tazza. Passo il dito sulla ceramica spaccata.
«Karina. Guardami.»
Scuoto la testa, non ho alcuna intenzione di imboccare quella strada insidiosa con lui. Non me la sento. «Sto bene. Sul serio.» Taccio e osservo l’espressione sul suo viso. «Non guardarmi così. Sto bene.»
«Tu stai sempre bene.» Si passa la mano sulla barba e sospira appoggiando le spalle allo schienale della sedia di plastica.
Non è tanto una domanda o un’affermazione, è la pura e semplice verità. Ha ragione. Starò sempre bene.
«Recita finché non ne sei fuori» è la mia tecnica.
Che altra scelta ho?
Anna Todd
Anna Renee Todd (Dayton, 20 marzo 1989) è una scrittrice americana. È nota per la serie After, nata come una fanfiction dedicata agli One Direction pubblicata sul sito web per la condivisione di storie Wattpad, e poi pubblicata con grandissimo successo in tutto il mondo.
La storia narra di Tessa il cui destino ha deciso di farle incontrare Hardin, il tipico cattivo ragazzo. Nei cinque libri (più Before) si parla di un amore che affronta moltissime difficoltà ma che rimane sempre incondizionato. La saga ha dato vita anche a due spin-off noti come Nothing More e Nothing Less, ciascuno costituito da due volumi.
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