Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La strada di Cormac McCarthy. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
La strada: trama del libro
Un uomo e un bambino, padre e figlio, senza nome. Spingono un carrello, pieno del poco che è rimasto, lungo una strada americana. La fine del viaggio è invisibile. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un’apocalisse nucleare che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni. Non c’è storia e non c’è futuro. Mentre i due cercano invano più calore spostandosi verso sud, il padre racconta la propria vita al figlio. Ricorda la moglie (che decise di suicidarsi piuttosto che cadere vittima degli orrori successivi all’olocausto nucleare) e la nascita del bambino, avvenuta proprio durante la guerra. Tutti i loro averi sono nel carrello, il cibo è poco e devono periodicamente avventurarsi tra le macerie a cercare qualcosa da mangiare. Visitano la casa d’infanzia del padre ed esplorano un supermarket abbandonato in cui il figlio beve per la prima volta un lattina di cola. Quando incrociano una carovana di predoni l’uomo è costretto a ucciderne uno che aveva attentato alla vita del bambino. Dopo molte tribolazioni arrivano al mare; ma è ormai una distesa d’acqua grigia, senza neppure l’odore salmastro, e la temperatura non è affatto più mite. Raccolgono qualche oggetto da una nave abbandonata e continuano il viaggio verso sud, verso una salvezza possibile…
Approfondimenti sul libro
In ebook La strada (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 7,99 euro.
Con la prima luce grigiastra l’uomo si alzò, lasciò il bambino addormentato e uscí sulla strada, si accovacciò e studiò il territorio a sud. Arido, muto, senza dio. Gli pareva che fosse ottobre ma non ne era sicuro. Erano anni che non possedeva un calendario. Si stavano spostando verso sud. Lí non sarebbero sopravvissuti a un altro inverno.
Quando ci fu luce a sufficienza per usare il binocolo ispezionò la valle sottostante. Tutto sfumava nell’oscurità. La cenere si sollevava leggera in lenti mulinelli sopra l’asfalto. Studiò quel poco che riusciva a vedere. I tratti di strada laggiú fra gli alberi morti. In cerca di qualche traccia di colore. Un movimento. Un filo di fumo. Abbassò il binocolo e si tirò giú la mascherina di cotone dal viso, si asciugò il naso con il polso e riprese a scrutare la zona circostante. Poi rimase seduto lí con il binocolo in mano a guardare la luce cinerea del giorno che si rapprendeva sopra la terra. Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia. Disse: Se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato.
Quando tornò dal bambino lo trovò che dormiva ancora. Gli tolse di dosso il telo azzurro, lo ripiegò e lo portò fino al carrello del supermercato, ce lo infilò e tornò con i piatti, qualche focaccina di mais dentro una busta e una bottiglietta di plastica piena di sciroppo. Stese a terra il piccolo telo impermeabile che usavano come tavolo e apparecchiò, si sfilò la pistola dalla cintura, la posò sul telo e restò a guardare il bambino che dormiva. Nel sonno si era tolto la mascherina, che era sepolta da qualche parte in mezzo alle coperte. Posò lo sguardo sul bambino e poi lo lasciò vagare fra gli alberi verso la strada. Quello non era un posto sicuro. Adesso che era giorno dalla strada li si poteva vedere. Il bambino si rigirò nelle coperte. Poi aprí gli occhi. Ciao papà, disse.
Sono qui.
Lo so.
Un’ora dopo erano sulla strada. Lui spingeva il carrello e avevano entrambi uno zaino in spalla. Negli zaini c’erano le cose essenziali. Casomai avessero dovuto abbandonare il carrello e fuggire. Alla maniglia del carrello era attaccato un retrovisore da motocicletta cromato che l’uomo usava per tenere d’occhio la strada dietro di loro. Si risistemò lo zaino sulle spalle e scrutò la terra devastata in lontananza. La strada era deserta. Sotto di loro, nella piccola valle, la serpentina grigia e quieta di un fiume. Precisa e immobile. Lungo la riva un ammasso di canne morte. Tutto bene?, chiese l’uomo. Il bambino annuí. Poi si incamminarono sull’asfalto in una luce di piombo, strusciando i piedi nella cenere, l’uno il mondo intero dell’altro.
Attraversarono il fiume su un vecchio ponte di cemento e dopo qualche chilometro arrivarono a una stazione di servizio. Si fermarono a osservarla dalla strada. Penso che dovremmo andare a vedere, disse l’uomo. Giusto un’occhiata. Si aprirono un varco fra le erbacce che si sbriciolavano al loro passaggio. Attraversarono il piazzale di asfalto crepato e trovarono il serbatoio dei distributori. Il coperchio non c’era piú e l’uomo si buttò a terra puntellandosi sui gomiti per annusare il condotto, ma l’odore di benzina era solo un accenno, vago e stantio. Si rialzò e studiò il fabbricato. Le pompe erano ancora in piedi, con i tubi di gomma stranamente al loro posto. Le vetrate intatte. La porta che dava sull’officina era aperta e lui entrò. Appoggiato a una parete c’era un armadietto di metallo per gli attrezzi. Rovistò nei cassetti ma non ci trovò niente di utile. Alcune bussole da mezzo pollice in buone condizioni. Un cricchetto. Rimase nel garage a guardarsi intorno. Un fusto di metallo pieno di spazzatura. Passò nell’ufficio. Polvere e cenere ovunque. Il bambino era in piedi sulla soglia. Una scrivania metallica, un registratore di cassa. Vecchi manuali automobilistici, zuppi e gonfi d’acqua. Il linoleum era macchiato e ondulato per via delle infiltrazioni dal tetto. L’uomo andò alla scrivania ed esitò. Poi alzò la cornetta del telefono e fece il numero di casa di suo padre di tanto tempo prima. Il bambino lo osservava. Cosa stai facendo?, disse.
Cinquecento metri piú avanti l’uomo si fermò in mezzo alla strada e si voltò a guardare. Che stupidi, disse. Dobbiamo tornare indietro. Spinse il carrello oltre il bordo della strada e lo coricò su un fianco in un punto dove non si vedeva, posarono gli zaini e tornarono alla stazione di servizio. Nell’officina prese il fusto di metallo, lo inclinò e tirò fuori tutti i flaconi d’olio da un litro. Poi si sedettero sul pavimento a svuotarli dei sedimenti uno per uno, e li lasciarono sgocciolare a testa in giú dentro una bacinella finché si ritrovarono con poco meno di mezzo litro d’olio per motori. L’uomo avvitò il tappo di plastica, asciugò la bottiglia con uno straccio e la soppesò con una mano. Olio da usare per quella maledetta lampada, che rischiarasse i lunghi crepuscoli lividi, le lunghe albe grigie. Cosí puoi leggermi una storia, disse il bambino. Non è vero, papà? Certo, disse lui. Certo che te la leggo.
Sul versante opposto della valle la strada attraversava un terreno incendiato nero e spoglio. Tronchi carbonizzati e senza rami che si susseguivano a perdita d’occhio. Cenere che aleggiava sopra la strada e grappoli di cavi ciechi che penzolavano dai pali della luce anneriti gemendo piano nel vento. Una casa bruciata in una radura e piú in là una distesa di praterie livide e desolate e una montagnola fangosa di terra rossa grezza con dei lavori stradali lasciati a metà. Piú avanti, cartelloni pubblicitari di motel. Tutto come una volta, solo sbiadito e sciupato dalle intemperie. In cima alla collina si fermarono nel freddo e nel vento a riprendere fiato. L’uomo guardò il bambino. Sto bene, disse lui. L’uomo gli mise una mano sulla spalla e fece un cenno verso la campagna che si stendeva ai loro piedi. Pescò il binocolo nel carrello e dalla strada osservò la pianura là sotto, dove i contorni di una città emergevano nel grigiore come i tratti di un disegno a carboncino su un paesaggio desolato. Niente da vedere. Niente fumo. Posso guardare?, disse il bambino. Sí. Certo che puoi. Il bambino si appoggiò al carrello e regolò il binocolo. Che cosa vedi?, disse l’uomo. Niente. Il bambino abbassò il binocolo. Sta piovendo. Sí, disse l’uomo. Lo so.
Lasciarono il carrello in un fosso, coperto dal telo di plastica, e risalirono il pendio fra i tronchi scuri degli alberi fino a un punto dove lui aveva scorto un lungo cornicione di roccia. Si sedettero al riparo della sporgenza e guardarono gli scrosci di pioggia grigia abbattersi sulla valle. Faceva molto freddo. Sedevano stretti l’uno all’altro, entrambi avvolti in una coperta sopra il giaccone, e dopo un po’ la pioggia cessò e rimase soltanto lo sgocciolio nei boschi.
Quando l’acquazzone fu passato scesero al carrello, tolsero il telo di plastica e recuperarono le coperte e l’occorrente per la notte. Salirono di nuovo sulla collina e si accamparono sulla terra asciutta sotto le rocce; l’uomo si sedette e abbracciò il bambino nel tentativo di scaldarlo. Avvolti nelle coperte aspettarono che quell’oscurità senza nome li coprisse col suo manto. Al calar della notte la sagoma grigia della città svaní come un fantasma e lui accese la piccola lampada e la sistemò al riparo dal vento. Poi si rimisero in marcia e tenendosi per mano raggiunsero la sommità della collina, il punto piú alto della strada da dove potevano spaziare sul territorio a sud che imbruniva, in piedi nel vento, avvolti nelle coperte, in cerca di qualche traccia di falò o di luci. Non c’era niente. La loro lampada fra le rocce sul fianco della collina era poco piú di una pagliuzza di luce, e dopo un po’ tornarono indietro. Era tutto troppo umido per accendere un fuoco. Consumarono il loro misero pasto senza scaldarlo e si stesero ciascuno nel proprio giaciglio con la lampada nel mezzo. L’uomo si era portato dietro il libro del bambino, ma il bambino era troppo stanco per ascoltarlo leggere. Possiamo lasciare la lampada accesa finché non mi addormento?, disse. Sí. Certo che possiamo.
Prima di prendere sonno rimase sveglio a lungo. Dopo un po’ si girò a guardare l’uomo. Il suo volto rigato di nero dalla pioggia alla debole luce della lampada, come certi teatranti del vecchio mondo. Ti posso chiedere una cosa?, disse.
Sí. Certo.
Noi moriremo?
Prima o poi sí. Ma non adesso.
E stiamo sempre andando a sud.
Sí.
Per stare piú caldi.
Sí.
Ok.
Ok cosa?
Niente. Cosí.
Adesso dormi.
Ok.
Ora spengo la lampada. Va bene?
Sí. Va bene.
E dopo un altro po’, nel buio: Ti posso chiedere una cosa?
Sí, certo che puoi.
Tu cosa faresti se io morissi?
Se tu morissi vorrei morire anch’io.
Per poter stare con me?
Sí. Per poter stare con te.
Ok.
Rimase ad ascoltare lo sgocciolio dell’acqua nei boschi. Era roccia fresca, quella. Freddo e silenzio. Le ceneri del mondo defunto trasportate qua e là nel nulla da lugubri venti terreni. Trascinate, sparpagliate e trascinate di nuovo. Ogni cosa sganciata dal proprio ancoraggio. Sospesa nell’aria cinerea. Sostenuta da un respiro, breve e tremante. Se solo il mio cuore fosse pietra.
Si svegliò prima dell’alba e guardò sorgere il giorno livido. Lento e quasi opaco. Si alzò che il bambino dormiva ancora, si infilò le scarpe e si strinse nella coperta e si incamminò in mezzo agli alberi. Scese in una fenditura tra le rocce e lí si accucciò a terra tossendo e tossí per un bel pezzo. Poi si inginocchiò nella cenere. Alzò il viso verso il pallore del giorno. Ci sei?, sussurrò. Riuscirò a vederti prima o poi? Ce l’hai un collo per poterti strangolare? Ce l’hai un cuore? Sii stramaledetto per l’eternità, ce l’hai un’anima? Oh Dio, sussurrò. Oh Dio.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Cormac McCarthy.
Lascia un commento