Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Sunset Park di Paul Auster. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einiaudi con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Sunset Park: trama del libro
Miles Heller ha ventotto anni e vive in Florida. Ha poco, eppure ha tutto: l’amore di un’adorabile ragazza di origini cubane, la passione trasmessagli dal padre per il baseball con le sue storie fatte di destino e casualità, e i libri, “una malattia da cui non vuole essere curato”. Il lavoro non è un granché, d’accordo, ma lui sembra farlo come se in quell’attività intuisse un misterioso legame con la sua esistenza: affinché le banche possano rimetterle in vendita, deve entrare nelle abitazioni abbandonate e fotografare gli oggetti che gli inquilini vi hanno lasciato. Ma Miles ha una vita precedente da cui negli ultimi sette anni è fuggito. E continuerebbe a farlo se il destino (o il caso) non si mettesse in mezzo: Pilar, la sua ragazza, è orfana e vive con le sorelle maggiori. Ed è minorenne. Così quando decide di trasferirsi da Miles, lui deve avere il loro consenso che ottiene corrompendo la più grande. Ma dopo qualche mese, Angela Sanchez inizia a ricattarlo. A Miles non resta che cambiare aria per un po’: in fondo Pilar sarà presto maggiorenne e nulla potrà separarli. Si rivolge all’unico amico con cui è rimasto in contatto, Bing, che insieme ad altri tre ragazzi vive a Brooklyn, in una casa occupata in una zona chiamata Sunset Park. Tornare a New York, la sua città natale, significa fare i conti con i motivi che l’hanno spinto ad andarsene di casa, significa chiarire definitivamente i motivi che hanno determinato la morte del fratello Bobby.
Approfondimenti sul libro
In ebook Sunset Park (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 7,99 euro.
Il lavoro si chiama trashing out, sgombero, e lui fa parte di una squadra di quattro uomini dipendente dalla Dunbar Realty Corporation, la quale subappalta i suoi servizi di «manutenzione del bene» alle banche locali divenute proprietarie degli immobili. Le piane scriteriatamente urbanizzate del sud della Florida sono piene di queste strutture orfane, ed essendo interesse delle banche rivenderle al più presto, le case rimaste vuote vanno ripulite, riattate e preparate per la visita dei potenziali compratori. In un mondo che crolla, di rovina economica e di difficoltà assidue e crescenti, lo sgombero è una delle poche attività fiorenti della zona. Lui è senz’altro fortunato ad avere trovato questo lavoro. Non sa per quanto ancora riuscirà a sopportarlo, ma la paga può andare, e in un paese in cui i posti di lavoro scarseggiano sempre più, è senz’altro un buon posto.
All’inizio restava sgomento per il caos e la sporcizia, l’abbandono. È raro che entri in una casa lasciata in perfetto stato dagli ex proprietari. Più spesso ci sarà stata un’esplosione di violenza e di collera, una schioppettata di bizzoso vandalismo – dai rubinetti dei lavandini aperti alle vasche da bagno con l’acqua che straripa ai muri presi a martellate, sfondati, o ricoperti di graffiti osceni o crivellati di proiettili, per non parlare dei tubi di rame divelti, dei tappeti macchiati di varechina, dei cumuli di merda depositati sul pavimento del soggiorno. Questi sono forse esempi estremi, atti impulsivi mossi dalla rabbia degli espropriati, segnali ripugnanti ma comprensibili di disperazione: ma anche se entrando in una casa non è sempre afferrato dal disgusto, non apre mai la porta senza un certo timore. Inevitabilmente, la prima realtà con cui deve vedersela è il tanfo, la zaffata di aria fetida che gli assale le narici, gli aromi misti, onnipresenti, di muffa, latte andato a male, lettiera di gatto, water incrostati e cibo che marcisce sul piano della cucina. Nemmeno l’aria fresca che entra dalle finestre aperte può spazzar via gli odori: nemmeno il trasloco più ordinato e circospetto può cancellare il lezzo di sconfitta.
Poi, sempre, ci sono gli oggetti, gli averi dimenticati, le cose abbandonate. Le foto oramai sono migliaia, e nel suo fiorente archivio si trovano immagini di libri, scarpe e dipinti a olio, pianoforti e tostapane, bambole, servizi da tè e calzini sporchi, televisori e giochi da tavolo, abiti da sera e racchette da tennis, divani, biancheria di seta, pistole per silicone, puntine da disegno, bambolotti di plastica, rossetti, fucili, materassi scoloriti, coltelli e forchette, fiches per il poker, una collezione di francobolli e un canarino morto sul fondo della gabbia. Non ha idea del perché senta il dovere di scattare queste foto. Comprende che è un’impresa senza scopo, senza possibile utilità per nessuno, e tuttavia ogni volta che mette piede in una casa ha l’impressione che le cose lo stiano chiamando, che gli parlino con le voci delle persone che non sono più lì, gli chiedano di essere guardate un’ultima volta prima che le portino via. Gli altri della squadra lo prendono in giro per questo fotografare ossessivo, ma lui non ci fa caso. Li considera di poco conto e li disprezza, tutti. Quel decerebrato di Victor, il caposquadra, Paco il chiacchierone balbuziente e Freddy, grasso e col fiato corto: i tre moschettieri della disgrazia. La legge dice che tutti gli oggetti recuperabili sopra un certo valore vanno consegnati alla banca, che ha l’obbligo di renderli ai proprietari, ma i suoi colleghi arraffano sempre quello che gli va senza pensarci due volte. Lo reputano un fesso perché si disinteressa di quelle spoglie – le bottiglie di whisky, le radio, i lettori cd, l’attrezzatura per il tiro con l’arco, i giornali porno – ma lui vuole soltanto le sue foto; non le cose, ma le foto delle cose. È già da un po’ che si è ripromesso di parlare il minimo indispensabile, quando è sul lavoro. Paco e Freddy hanno cominciato a chiamarlo El Mudo.
Ha ventotto anni, e per quanto ne sappia è privo di ambizioni. Comunque di ambizioni fervide, di un’idea chiara di come potrebbe essere un futuro plausibile per lui. Sa che non resterà ancora a lungo in Florida, che si avvicina il momento in cui sentirà il bisogno di rimettersi in marcia, ma finché quel bisogno non matura in esigenza di agire, si accontenterà di restare nel presente e non guardare avanti. Se ha ottenuto qualcosa nei sette anni e mezzo da che ha lasciato l’università e si è messo a far da sé, è questa capacità di vivere nel presente, di confinarsi al qui e ora, e anche se non sarà il più lodevole dei risultati, per ottenerlo gli è servito un mucchio di autocontrollo e disciplina. Per non aver progetti, cioè non nutrire desideri o speranze, accontentarti del tuo destino, di quello che il mondo ti dà da un’alba all’altra – per vivere così devi volere molto poco, il meno che sia umanamente possibile.
A poco a poco ha smussato i suoi desideri fino a una quota prossima al minimo assoluto. Ha smesso di fumare e di bere, non mangia più fuori, non possiede né un televisore né una radio né un computer. Gli piacerebbe scambiare la sua auto con una bicicletta, ma non riesce a liberarsi dell’auto, perché il lavoro gli richiede spostamenti troppo lunghi. Lo stesso vale per il telefono cellulare che porta in tasca, e vorrebbe tanto buttare nei rifiuti, ma anche quello gli serve per il lavoro e quindi non ne può fare a meno. Ecco, forse la macchina fotografica digitale è stata una concessione, ma date l’infinita tetraggine e la fatica degli sgomberi, la vede come la sua salvezza. Paga poco di affitto perché vive in un appartamentino di un quartiere povero, e oltre a spendere per le prime necessità, l’unico lusso che si permette è comprare libri, tascabili, soprattutto romanzi, romanzi americani, romanzi britannici, romanzi stranieri tradotti, ma alla fine i libri non sono tanto un lusso quanto una necessità, e leggere è una malattia da cui non vuole essere curato.
Non fosse per la ragazza, probabilmente mollerebbe prima di fine mese. Ha messo da parte denaro sufficiente per andare dove vuole, e di sicuro ne ha abbastanza del sole della Florida – che adesso, dopo lungo studio, ritiene più dannoso che utile per l’anima. Secondo lui è un sole machiavellico, un sole ipocrita, e la luce che irradia non illumina le cose, ma le oscura – accecandoti con il suo fulgore continuo, troppo intenso, che ti batte addosso con vampate di vaporosa umidità, destabilizzandoti con i suoi riflessi simili a miraggi e con le onde barbaglianti di nulla. È tutto brillii e luccichii, ma non reca sostanza, né tranquillità, né tregua. Però è sotto questo sole che ha visto per la prima volta la ragazza, e dato che non sa convincersi a rinunciare a lei continua a far buon viso e a cercare di riconciliarsi con il sole.
Lei si chiama Pilar Sanchez e l’ha conosciuta sei mesi fa in un parco pubblico, un incontro del tutto casuale in un tardo sabato pomeriggio di mezzo maggio, il più improbabile degli incontri improbabili. Era seduta sull’erba e leggeva un libro, e a nemmeno tre metri di distanza anche lui era seduto sull’erba e leggeva un libro, che per combinazione era lo stesso, lo stesso libro in un’identica edizione tascabile, Il grande Gatsby, che lui stava rileggendo per la terza volta da quando suo padre glielo aveva regalato, per il suo sedicesimo compleanno. Era seduto lì da venti minuti, mezz’ora, immerso nel libro e quindi isolato da quello che lo circondava, quando sentì qualcuno ridere. Si voltò e a quella prima vista fatale di lei, lì seduta mentre gli sorrideva indicandogli il titolo del suo, di libro, pensò che dovesse avere meno di sedici anni, che era solo una ragazzina, una bambina anzi, una piccola adolescente in short attillati e sforbiciati, sandali e un top succinto, la tenuta di tutte le ragazze appena carine in tutte le regioni meridionali della caldissima Florida baciata dal sole. Non più di una bambina, si disse, eppure eccola lì con le sue membra lisce scoperte e la faccia sveglia, sorridente, e lui che non sorride quasi mai a niente e nessuno, la guardò negli occhi scuri, vivaci, e ricambiò il sorriso.
Sei mesi dopo lei è ancora minorenne. La patente di guida dice che ha diciassette anni, che non ne farà diciotto fino a maggio, e perciò lui in pubblico deve usare prudenza quando è in sua compagnia, evitare a ogni costo di fare qualcosa che possa suscitare i sospetti dei morbosi, perché basterebbe una sola telefonata alla polizia da parte di un impiccione contrariato per spedirlo in prigione. Ogni mattina che non sia di fine settimana o vacanza, la accompagna in macchina fino alla John F. Kennedy High School, dove lei frequenta l’ultimo anno e riesce bene, ha aspirazioni universitarie e un futuro da infermiera professionale: ma non la fa scendere davanti alla scuola. Sarebbe troppo pericoloso. Qualche insegnante o dirigente potrebbe notarli in auto insieme e dare l’allarme, perciò lui si ferma piano piano tre o quattro isolati prima di arrivare alla Kennedy e la lascia lì. Non la bacia per salutarla. Non la tocca. Il suo riserbo la rattrista – perché lei mentalmente è già una donna – ma accetta questa freddezza di facciata perché lui le ha detto che è necessaria.
I genitori di Pilar sono morti due anni fa in un incidente stradale e, prima di andare a vivere a casa di lui il giugno scorso, a fine anno scolastico, abitava nella casa di famiglia con le tre sorelle maggiori. Maria, di vent’anni, Teresa, di ventitré, e Angela, di venticinque. Maria sta frequentando un corso parauniversitario da estetista. Teresa è cassiera in una banca della zona. Angela, la bella del gruppo, fa la hostess in un cocktail bar. Pilar dice che qualche volta va a letto con i clienti per soldi. Si affretta ad aggiungere che vuole molto bene ad Angela, che ne vuole a tutte le sue sorelle, ma ora è contenta di aver lasciato casa, una casa piena di troppi ricordi di sua madre e suo padre, e a parte questo le dispiace tanto, ma è arrabbiata con Angela per quello che fa, considera peccato che una donna venda il proprio corpo, ed è un sollievo non dover più litigare con lei sulla questione. Sì, gli dice, il suo appartamento è un buco, casa loro è molto più grande e comoda, ma l’appartamento non ospita un Carlos Junior di diciotto mesi, e anche questo è un indicibile sollievo. No, certo, il figlio di Teresa non è male per essere un bambino, e che cosa può fare Teresa con il marito soldato in Iraq e il lavoro a tempo pieno in banca… Ma questo non le dà il diritto di sbolognare un giorno sì e uno no il babysitteraggio alla sorellina. Pilar ha voluto essere generosa, ma non può evitare un po’ di fastidio. Le occorre tempo per star sola e studiare, vuole farsi una strada nella vita, e come può riuscirci se è presa a cambiare pannolini sporchi? I bambini vanno benissimo per gli altri, ma lei non vuol saperne. Tante grazie, risponde, ma no grazie.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Paul Auster.
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