Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il superstite di Wulf Dorn. Il volume è pubblicato in Italia da Corbaccio con un prezzo di copertina di 18,60 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Il superstite: trama del libro
Prima del silenzio. Una notte d’inverno, la strada ghiacciata, neve tutt’intorno, un’auto sbanda, si schianta contro un albero, il guidatore è gravemente ferito. Aveva appuntamento con lo sconosciuto che poche ore prima aveva rapito suo figlio Sven, mentre era fuori casa con il fratello maggiore. Adesso tutto è inutile: l’uomo sa che sta per morire. E sa che anche suo figlio morirà. Dopo il silenzio. Da ventitré anni lo psichiatra Jan Forstner vive con l’angoscia della scomparsa del fratellino. Tutto ciò che gli resta è un registratore che aveva portato con sé la notte in cui erano usciti insieme e dove sono incise le ultime parole di Sven: “Quando torniamo a casa?” E poi il silenzio. E gli incubi che da quella notte non hanno smesso di tormentarlo. La notte in cui il padre è morto in un incidente d’auto. La vita di Jan si riassume tutta in quella notte: ha studiato psichiatria come suo padre, si è specializzato in criminologia e ora è tornato al punto di partenza: alla Waldklinik, la clinica dove lavorava il padre e dove adesso lavorerà anche lui. Vorrebbe ricominciare a vivere, lasciarsi alle spalle l’incubo, ma quando una paziente della clinica si suicida, Jan si trova coinvolto in un’indagine che svelerà un segreto atroce rimasto sepolto per ventitré anni…
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Jan Forstner tentava di mascherare il proprio disagio, quello strisciante malessere che lo assaliva sempre quando intorno a lui regnava un silenzio nel quale si sarebbe potuto sentire cadere uno spillo.
Il silenzio gli rievocava sempre brutti ricordi, per quanto Jan cercasse di scacciarli. Quando c’era silenzio, nella sua mente riaffioravano immagini che lo facevano rabbrividire.
Notte. Neve. Il parco deserto…
Se in quel momento si fosse trovato a casa oppure in giro in macchina, avrebbe acceso la radio. Una stazione qualsiasi. L’importante era avere voci e musica che mettessero fine al silenzio.
Invece lì, nello studio del professor Raimund Fleischer, non poteva fare altro che ricorrere a un trucco che gli era stato utile già diverse volte in situazioni analoghe. Jan pensò a una melodia orecchiabile, la prima che gli venne in mente. Il trucco consisteva nel concentrarsi totalmente sulla musica, sino ad avere l’impressione di sentirla per davvero nella stanza. Stavolta scelse Clocks, un pezzo dei Coldplay che aveva sentito alla radio mentre posteggiava l’auto nel parcheggio riservato ai visitatori davanti all’edificio dell’amministrazione. La manovra diversiva gli riuscì più facilmente del previsto. I ripetuti accordi di pianoforte e il ritmo incalzante gli risuonarono in testa scacciando gli incubi.
Fleischer sembrava ignaro di tutto. Il direttore sanitario era seduto in poltrona con espressione concentrata e studiava il curriculum di Jan come se volesse impararne a memoria ogni singolo dettaglio. La sua postura ricordava a Jan quella del padre quando, a tarda sera, stava seduto nello studio a sfogliare documenti e dettare rapporti.
Da adulti molte cose ci appaiono più piccole rispetto ai ricordi dell’infanzia, ma Fleischer faceva decisamente eccezione. Il professore continuava a essere un gigante per Jan. Il pullover di cachemire grigio tirava leggermente sulle ampie spalle e rivelava un fisico allenato. Contrariamente alla maggior parte dei professori che Jan aveva conosciuto finora, Fleischer sembrava dare grande importanza allo sport e a un’alimentazione equilibrata. Lo psichiatra aveva superato la cinquantina già da tempo, ma sembrava decisamente più giovane. Di sicuro dipendeva anche dai folti capelli brizzolati che cercava di domare con la brillantina. Con i suoi lineamenti marcati, gli zigomi ampi, la ruga assorta tra le folte sopracciglia e i grandi occhiali da lettura, assomigliava al personaggio di Atticus Finch interpretato da Gregory Peck nel Buio oltre la siepe. Nel caso di un remake, Jan avrebbe visto molto bene il professor Fleischer nei panni del protagonista.
Jan lasciò vagare lo sguardo nell’ampio studio. Sulla parete a destra era incassata una libreria piena zeppa di testi medici e di alcune annate di Psychiatrische Praxis. Sull’altro lato della stanza c’era un tavolo da riunioni dal piano lucido con al centro un voluminoso vaso di fiori freschi. La parete di fondo era decorata con un dipinto astratto di grande formato, dominato dai toni del giallo e del rosso. Accanto erano appesi diversi diplomi e foto incorniciate.
La maggior parte di tali foto ritraeva Fleischer in occasione di ricorrenze ufficiali e congressi. In basso c’era una foto che risaliva chiaramente a tempo addietro, in cui un gruppo di giovani guardava raggiante l’obiettivo. Ciascuno di loro aveva la tipica espressione da foto di diploma: sollievo e orgoglio per avercela fatta, entusiasmo e aspettativa per il futuro. Jan riconobbe all’istante Fleischer che sovrastava di almeno una testa il resto del gruppo. Già allora teneva i folti capelli severamente pettinati, solo la sua corporatura era un po’ più asciutta.
Sul margine esterno della piccola galleria fotografica si trovavano due ritratti di famiglia uniti in una cornice doppia. Nella foto più vecchia c’erano due bambine che giocavano sulla sabbia mentre i genitori si abbronzavano sulle sdraio e sorridevano all’invisibile fotografo. Sull’altra foto due belle ragazze fiancheggiavano il padre tenendogli la testa appoggiata al petto.
«Sono il mio orgoglio» dichiarò Fleischer, e solo in quel momento Jan si rese conto che il professore lo stava osservando. «La maggiore è Livia. Sua sorella invece porta il nome della nonna. Annabelle. Tra poco renderà nonni anche noi.»
Jan ricambiò il sorriso. «I bambini crescono.»
In quel momento non gli venne in mente nessun commento più adeguato. Era troppo nervoso per parlare del più e del meno, perché, qualunque fosse stato l’esito di quel colloquio, sarebbe stato decisivo per il suo futuro lavorativo.
Quando, due settimane prima, aveva inaspettatamente trovato nella cassetta delle lettere l’invito di Fleischer, era ormai rassegnato all’idea di non praticare più la professione. E per la prima volta dopo tanto tempo aveva provato di nuovo un guizzo di speranza. Ovviamente si rendeva conto che l’invito non rappresentava ancora una risposta affermativa, ma dopo tutti i rifiuti che aveva ricevuto negli ultimi mesi quel colloquio rappresentava quanto meno un’occasione, e non era affatto sicuro che ne avrebbe avute altre. Non dopo quello che era accaduto.
«Ha proprio ragione. I bambini crescono e i genitori invecchiano. Già.»
Fleischer sospirò e un’ombra di malinconia gli attraversò il volto. Poi prese il curriculum di Jan e annuì in segno di apprezzamento.
«Come posso leggere qui, anche lei, Jan, è cresciuto e si è fatto strada. Diplomato con il massimo dei voti, ha studiato medicina a Heidelberg, ha collaborato con diversi illustri colleghi e ha concluso degnamente il corso di studi. Per di più in una delle discipline forensi che richiedono davvero nervi molto saldi. I miei complimenti: Bernhard sarebbe fiero di lei.»
«Quell’ambito di ricerca mi ha sempre interessato, fin da quando ero studente» osservò Jan in tono quasi di scusa. I complimenti lo mettevano a disagio.
«I maniaci sessuali?» Fleischer inarcò le sopracciglia e si tolse gli occhiali. «Non è certo un ambito semplice, no davvero. Sono rimasto ancora più colpito dalla sua discussione di laurea. Summa cum laude. È stato più bravo di me. Se le informazioni di cui dispongo sono esatte, lo strumento da lei sviluppato per la catalogazione dei criminali pedofili è stato adottato nel frattempo presso diverse istituzioni.»
«Veramente due. Devo specificare tuttavia che in un caso il questionario è ancora in fase di prova e non si sa se verrà applicato in via definitiva.»
Fleischer sorrise. «Mi sembra quasi di stare seduto di fronte a suo padre. Era proprio come lei, Jan, pieno di entusiasmo, ma non sapeva gestire gli elogi.»
«Ecco, io non volevo…»
«No, non si preoccupi» lo interruppe Fleischer con un gesto. «È una cosa che mi piace. Era lo stesso motivo per cui mi piaceva Bernhard. Era così fin dall’università. Non era uno di quei presuntuosi che si ritengono semidei in camice bianco. Per questo sono molto contento di ritrovare in lei proprio questo dato caratteriale. Detesto le persone che si adagiano sugli allori. Come recita giustamente il vecchio motto: chi crede di essere qualcosa, smette di diventare qualcosa. In questo senso lei ha ottime prospettive per il futuro.»
Attualmente le mie prospettive professionali sono piuttosto a terra, e lo sappiamo entrambi, pensò Jan.
«Come avrà sicuramente immaginato» riprese Fleischer, «ho raccolto informazioni su di lei prima di invitarla a questo colloquio. Devo tuttavia ammettere che non l’ho mai perduta completamente di vista dalla… ecco, diciamo dalla tragedia. Soprattutto da quando ho saputo che voleva seguire le orme di Bernhard, sebbene in un altro ambito di specializzazione.» Batté un dito sulla cartellina e rivolse a Jan un’occhiata penetrante. «Il motivo per cui ha scelto proprio questa specializzazione è abbastanza evidente, la sua biografia non lascia dubbi in proposito. Ora mi chiedo: la sua ricerca della verità ha portato a qualche risultato?»
Jan deglutì a fatica. Si era preparato accuratamente a questo colloquio, aveva previsto tutte le possibili domande, e sapeva di dover superare due grandi ostacoli. Ovviamente la domanda di Fleischer riguardava Sven e spettava a Jan affrontare questo primo intoppo senza inciampare.
Come sempre, tutte le volte che qualcuno nominava suo fratello, Jan aveva l’impressione che fosse accaduto il giorno prima. Aveva riflettuto a lungo su come affrontare questo argomento spinoso. Sapeva che Fleischer voleva sapere da lui la verità, e che questa verità era molto personale. Non era in grado e non poteva permettersi di fingere con qualcuno che lo conosceva fin dall’infanzia. Tuttavia si era ripromesso di rispondere nella maniera più distaccata possibile.
«Sinceramente non so se sono arrivato a un risultato. Volevo comprendere il gesto, cercando di capire le motivazioni del colpevole. Ogni anno si registrano quasi dodicimila casi di abuso infantile in tutto il paese, una cifra pazzesca, se si pensa che i casi che non vengono alla luce sono molti di più. Ancora più inconcepibile tuttavia è il fatto che solo l’ottanta per cento circa dei casi denunciati vengono risolti.»
Jan si accorse che le mani avevano cominciato a tremargli. Si sentiva peggio del solito. Avrebbe tanto voluto alzarsi e fuggire, ma questo avrebbe significato rinunciare definitivamente alla propria carriera. Questa era la sua unica possibilità di ricominciare da capo, e gli bastava mostrarsi sincero con Fleischer.
Il direttore della clinica sembrava avergli letto nel pensiero. Lo guardò con aria comprensiva e gli rivolse un cenno d’incoraggiamento. Jan fece un profondo respiro poi proseguì. «Da qualche parte in questa statistica si trova il caso del mio fratellino, di cui furono ritrovati solo…» Jan deglutì, «gli slip in una piazzola dell’autostrada. Il colpevole non è mai stato rintracciato, e neppure…» Jan fu costretto a deglutire nuovamente, «il corpo di Sven. E lei sa già che cosa è successo al resto della mia famiglia.»
Fleischer rivolse un’occhiata impacciata al cielo grigio fuori dalla finestra.
«Sì, lo so. E mi dolgo sinceramente per lei.»
«Ho cercato delle risposte» riprese Jan. «Ho parlato con maniaci sessuali. Uomini provenienti da ogni estrazione sociale. Insegnanti, artigiani, disoccupati, alcolizzati, sacerdoti, una volta addirittura uno psichiatra. Nel corso delle mie osservazioni sono giunto alla conclusione che tutti avevano due cose in comune. Da un lato si erano sentiti attratti verso le rispettive vittime. Parlavano tutti d’amore e di trasporto interiore, e tuttavia non avevano avuto il minimo scrupolo a uccidere le vittime per paura di essere scoperti.» Jan scrollò le spalle. «Da un punto di vista psichiatrico, nella maggior parte dei casi era riconoscibile una marcata istintività e un modello comportamentale ricorrente circa l’assenza di scrupoli morali. Le due cose insieme potevano anche essere considerate una risposta alle loro azioni. Ma per me personalmente non sono mai state una risposta soddisfacente. Non per il caso di Sven. Che continua a risultare scomparso.»
Ora che l’aveva detto, Jan sentì allentarsi lentamente la tensione che lo attanagliava. Finalmente era riuscito a parlare del capitolo più oscuro della sua vita, anche se lo aveva fatto come un relatore che espone la propria tesi.
«Mio padre mi disse che a volte la vita ci pone domande senza risposta» aggiunse. «Io ho rifiutato a lungo di accettare una tale affermazione, ma nel frattempo sono giunto alla conclusione che avesse ragione. Se vuole, è questo il risultato della mia ricerca.»
Per un istante regnò di nuovo quel silenzio insopportabile. Poi Fleischer distolse lo sguardo dalla finestra e lo posò su di lui.
«Si è spinto molto avanti in questa ricerca, Jan. È stato molto coraggioso da parte sua, anche se alla fine pare che abbia mancato il bersaglio.»
Ecco che erano arrivati al secondo, grande tema spinoso: il crollo emotivo di Jan. Il motivo per cui aveva rischiato di perdere l’abilitazione. Ora tutto dipendeva da questo. Rivelare a Fleischer i retroscena del proprio percorso era una cosa. Riuscire a convincerlo di aver imparato dagli errori era un’altra.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore tedesco rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Wulf Dorn.
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