Il teatro di Sabbath: la trama
Lui era il dimenticato burattinaio Mickey Sabbath, un uomo piccolo e tarchiato con la barba bianca e irritanti occhi verdi e dita tormentate dall’artrite deformante”: questa la presentazione che Philip Roth fa di un eroe che di eroico ha ben poco. Un uomo brutto e anziano che ha perso le sue buone occasioni per sfondare nella vita: potrebbe essere un fallito, insomma. Ma Sabbath non lo è affatto: a sessantaquattro anni, coltiva da più di un decennio un legame “di stupefacente impudicizia e altrettanto stupefacente riservatezza” con una donna slava che tradisce regolarmente; ha fondato il Teatro degli Innocenti, attirandosi critiche e antipatie e ha speso ogni sua energia nel tentativo di costruirsi una vita libera. O almeno così crede.
Questo l’ultimatum, il delirante, improbabile, assolutamente imprevedibile ultimatum che la signora cinquantaduenne impose tra le lacrime al suo amante sessantaquattrenne, il giorno in cui il loro legame, di stupefacente impudicizia e altrettanto stupefacente riservatezza, compiva tredici anni. E adesso che l’afflusso di ormoni andava esaurendosi, e la prostata ingrossava, e forse non gli restavano che pochi anni di potenza relativamente affidabile, e forse ancor meno anni di vita; adesso, quando si avvicinava la fine di ogni cosa, gli veniva imposto, per non perdere lei, di stravolgere se stesso.
Lei era Drenka Balich, la popolare partner, nella vita e sul lavoro, dell’albergatore, stimata per le attenzioni di cui inondava tutti i suoi ospiti, per l’affettuosa, materna tenerezza che riservava non solo ai bambini e alle persone anziane, ma perfino alle ragazzotte che pulivano le stanze e servivano in tavola, e lui era il dimenticato burattinaio Mickey Sabbath, un uomo piccolo e tarchiato con la barba bianca e conturbanti occhi verdi e dita tormentate dall’artrite deformante che, se avesse detto sí a Jim Henson una trentina d’anni fa, prima che iniziasse Sesame Street, una volta che Henson l’aveva invitato a pranzo sull’Upper East Side e gli aveva proposto di unirsi al suo gruppetto di quattro o cinque persone, adesso sarebbe una star. Sabbath, e non Carroll Spinney, sarebbe stato l’uomo dentro il Big Bird per tutti questi anni, Sabbath avrebbe l’impronta nella Walk of Fame di Hollywood, e sarebbe andato in Cina con Bob Hope, o almeno cosí amava sostenere sua moglie Roseanna quando stava ancora ammazzandosi di alcol per due motivi inoppugnabili: tutto quello che non era successo, e tutto quello che invece era successo. Ma dato che Sabbath non sarebbe stato piú felice a incarnare il personaggio di Big Bird in Sesame Street di quanto lo fosse quando s’incarnava in Roseanna, queste punzecchiature non lo turbavano piú di tanto. Nel 1989, quando Sabbath era stato esposto al pubblico ludibrio per aver spudoratamente molestato una ragazza che aveva quarant’anni meno di lui, Roseanna aveva dovuto essere ricoverata per un mese in una clinica psichiatrica, a causa dell’overdose di alcol a cui l’aveva indotta l’umiliazione subita.
– Non ti basta un partner monogamo? – chiese Sabbath a Drenka. – La monogamia con lui ti piace cosí tanto che la vuoi anche con me? Non riesci a vedere il nesso tra l’invidiabile fedeltà di tuo marito e la repulsione fisica che ti ispira? – E continuò, pomposo: – Noi due, che non smettiamo mai di desiderarci, non ci siamo mai imposti promesse, giuramenti, restrizioni, mentre con lui scopare ti fa schifo anche quei due minuti al mese in cui ti piega sul tavolo della cucina e ti prende da dietro. E perché? Matija è grande, forte, virile, con quella testa di capelli da porcospino. Quei capelli neri sono aculei. Tutte le vecchiette della zona sono innamorate di lui, e non solo per il suo fascino slavo. Piace fisicamente. Tutte le vostre cameriere svengono per la sua fossetta nel mento. L’ho osservato, in cucina, certe giornate di agosto con quaranta gradi all’ombra, e la gente che fa chilometri di coda per assicurarsi un tavolo. L’ho visto mentre rosola i kebab con una maglietta fradicia. Eccita perfino me, tutto luccicante di unto. Solo a sua moglie fa schifo. E perché? Per tutta quell’ostentata fedeltà, ecco perché.
Drenka si trascinò dolente accanto a lui, su per il fianco ombroso della collina, fino alla cima da cui sgorgava il loro ruscello privato, acqua chiara che scendeva gorgogliando lungo una scalinata di blocchi di granito, e con sinuose spirali schivava le betulle piegate dal vento che si protendevano dalla riva. Nei primi mesi del loro rapporto, durante una spedizione solitaria alla ricerca di un nido d’amore, Drenka aveva scoperto, entro una cerchia di vecchi abeti non lontani dal ruscello, tre massi, ciascuno della grandezza e del colore di un piccolo elefante, a racchiudere la radura triangolare che sarebbe stata la loro versione di una casa. Il fango, la neve e i cacciatori ubriachi rendevano inaccessibile la collina per alcuni mesi all’anno, ma da maggio ai primi di ottobre, se non pioveva, andavano lí a rinnovare la loro vita. Una volta, anni prima, era apparso dal nulla un elicottero che si era librato per un attimo sopra di loro, nudi sul telone impermeabile; ma a parte quello, e sebbene la Grotta – come chiamavano il loro nascondiglio – fosse a quindici minuti di passeggiata dalla strada asfaltata che da Madamaska Falls scendeva a valle, nessuna presenza umana aveva mai minacciato il loro accampamento segreto.
Drenka era una croata bruna, un tipo italiano, proveniente dalla costa dalmata, piuttosto piccoletta, come Sabbath, una donna piena e soda attestata sul piú provocante limitare del sovrappeso, con una figura che nei momenti di massima floridezza rammentava quelle statuette di creta modellate nel 2000 avanti Cristo, bambolette grasse con grosse poppe e grandi cosce trovate negli scavi dall’Europa all’Asia Minore e adorate sotto una dozzina di nomi diversi come grande madre degli dei. Era carina in un modo molto efficiente, pratico, tranne il naso: un sorprendente naso schiacciato da pugile che formava una specie di macchia confusa al centro del suo viso, un naso leggermente fuori linea rispetto alla bocca piena e ai grandi occhi scuri, un segno rivelatore – come imparò a considerarlo Sabbath – della segreta malleabilità e indeterminatezza della sua personalità apparentemente cosí forte. Dava l’impressione di essere stata malmenata, di essersi presa una brutta botta da qualcuno quando era piccola, mentre in realtà era figlia di genitori affettuosi, entrambi insegnanti alle superiori, religiosamente devoti alle banalità tiranniche del Partito comunista di Tito. Figlia unica, Drenka era stata abbondantemente amata da queste due care e aride persone.
La brutta botta era stata lei, a darla. A ventidue anni, impiegata alle ferrovie come assistente contabile, aveva sposato Matija Balich, un giovane cameriere, bello e ambizioso, che aveva incontrato durante un periodo di vacanza trascorso in un albergo per lavoratori del sindacato ferrovieri sito nell’isola di Brač, appena al largo di Spalato. Andarono a Trieste in luna di miele e non tornarono piú indietro. Erano fuggiti non solo per far soldi in Occidente, ma anche perché il nonno di Matija era in carcere dal 1948, quando Tito aveva rotto con l’Unione Sovietica e il nonno, un burocrate, comunista dal 1923 e idealisticamente attaccato alla grande Madre Russia, aveva osato discutere apertamente la cosa.
Editore: Einaudi
Pagine: 467
Collana: Super ET
eBook: 6,99 euro
Philip Roth è uno dei maggiori scrittori contemporanei e uno dei più importanti romanzieri ebrei di lingua inglese in assoluto. Il suo romanzo più famoso è Pastorale Americana, per il quale Roth ha ricevuto il Premio Pulitzer nel 1998.
Altri libri
Il complotto contro l’America
La macchia umana
Lamento di Portnoy
Pastorale Americana
Everyman
Quando lei era buona
Nemesi
Ho sposato un comunista
L’animale morente
La controvita
Inganno
L’umiliazione
La mia vita di uomo
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