Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il telefono senza fili di Marco Malvaldi. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 13,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Il telefono senza fili: trama del libro
“‘Ora, Ampelio, secondo lei io mi metto a parlare del caso qui, al bar, di fronte a tutto il paese?’. ‘Come, tutto il paese? Ci siamo solo noi quattro’. ‘Appunto’ confermò la commissaria”. Ma in realtà tra la giovane commissaria Alice Martelli e i quattro vecchietti del BarLume s’è creato un feeling operativo. Il pettegolezzo come sistema investigativo trova una riconosciuta efficacia. È successo che Vanessa Benedetti è scomparsa. Venuta da fuori, dalla “lontana” Umbria, gestisce col marito Gianfranco, da cui ha divorziato per motivi fiscali, uno zoppicante agriturismo. Un giorno ordina chili e chili di carne, ma i tedeschi suoi ospiti pranzano regolarmente al Bocacito, il ristorante di uno dei pensionati. Poi svanisce nel nulla. Questo basta ai vecchietti per saltare al thriller: Vanessa uccisa dal marito che si è liberato del corpo. Tutte farneticazioni di anziani perdigiorno? A moltiplicare le ipotesi infinite che rimbombano nel BarLume, spunta una svolta imprevista. Atlante il Luminoso, un cartomante di successo, che aveva pronunciato da una televisione privata la sua preveggente verità sul caso Vanessa, viene ritrovato cadavere. Assassinio o suicidio? Nonostante la canicola a Pineta, i vecchietti del BarLume, con l’interprete investigativo delle loro maldicenze Massimo il barrista, sono in forma smagliante per dissolvere ogni dubbio, con l’arma della battuta letale e della rissa verbale, nel loro nuovo mistero.
Approfondimenti sul libro
In ebook Il telefono senza fili (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 8,99 euro.
Il sole era sorto da est, dietro le colline, come al solito, e tutto faceva pensare che sarebbe tramontato a ovest, cambiando progressivamente colore dal giallo al rosso, per poi immergersi nel mare, come tutte le sere.
Il mare, a sua volta, risultava bagnato al tatto, salato al gusto e ripugnante all’olfatto, a causa delle esalazioni di petrolio e idrocarburi varî che il porto di Livorno recapitava sulle spiagge con diligenza nei giorni di scirocco, cioè tutti da un mese a questa parte.
Le foglie erano verdi, le strisce pedonali erano bianche e le schiene dei villeggianti erano sul rosso, come del resto il bilancio del Comune, nonostante le righe dei parcheggi ormai esclusivamente azzurre.
I bambini giocavano, le mamme allattavano, i vigili multavano e i giornalisti esageravano; il tutto mentre gli impiegati pubblici, consci dell’importanza di avere un comportamento stabile e prevedibile al fine di far stare tranquilli i cittadini, non facevano una sega, come al solito.
Insomma, sembrava un giorno di mezza estate esattamente come tutti gli altri, a Pineta.
E lo era.
– «Situazione equilibratissima, dunque, fino al trentaseiesimo della ripresa, quando il numero diciotto juventino, entrato in area per raccogliere l’invito filtrante di Tévez, crollava a terra. Simulazione palese per tutti, sia in campo sia dagli spalti, ma non per il direttore di gara, che decretava il penalty».
Abbassando la «Gazzetta», il Rimediotti scosse la testa.
– Ò, anche in Coppa Italia trovate modo di ruba’ – commentò, guardando Pilade con disapprovazione.
Pilade, unico juventino in una compagine che prevedeva un Rimediotti interista, un Aldo e un Massimo tifosi del Torino e un Ampelio secondo cui i calciatori erano corpi rubati alla tortura, si puntò l’indice addosso, gesto che nel suo caso era difficile da sbagliare.
– Cosa c’entro io? ’Un c’ero mìa io a arbitra’.
– Povero Pilade, ha ragione – lo difese Aldo, spazzando via ogni dubbio con la mano. – Non c’era mica lui ad arbitrare.
– De’, menomale – ridacchiò Ampelio. – Te l’immagini i gioàtori? «Guarda ganzo, arbitrano dalla mongorfiera».
– Arbitraggio dall’alto? – Aldo mostrò interesse. – Potrebbe essere anche una novità interessante. Si telefona a Blatter? Magari, per i prossimi mondiali…
– Una novità interessante sarebbe ma se smetteste di di’ cazzate – replicò Pilade piccato. – Io ierisera la partita ’un l’ho nemmeno vista.
– Non ti garba più il calcio? Stai invecchiando.
– Perché, prima era giovane?
– Ma andate in culo tutti quanti siete – interruppe Pilade. – È che ’un se ne pòle più. Ir campionato da sabato a lunedì, martedì e mercoledì c’è la Cèmpions, giovedì la Coppa Uefa…
– Ora si chiama Europa Lìg.
– Mi fa piacere. Io continuo a chiamalla Coppa Uefa. Poi ’r venerdì ’un sono ancora riusciti a mettecci nulla, ma tanto da sabato si riprincipia daccapo… Dio bòno, segui’ ’r carcio è diventato peggio d’un lavoro!
– E te cosa ne sai?
Pilade stava per replicare, dal largo della propria saggezza, quando la porta a vetri si aprì, facendo entrare un uomo alto, ben vestito, con una ventiquattrore sotto braccio e l’aria efficiente e proattiva tipica di chi opera nel terziario avanzato.
– Buongiorno.
– Per lei, forse – rispose una voce da sotto al bancone.
– Come?
– Per lei, forse – ripeté Massimo, emergendo dall’oltrebanco con una bottiglietta di chinotto in mano, con la quale indicò i quattro vecchietti seduti in fondo al locale. – Per me è sempre la solita rottura di coglioni. Cosa le servo?
– Un caffè, grazie. E poi, quando è comodo, cinque minuti del suo tempo.
– Per il caffè, non c’è problema – rispose Massimo, mentre versava il chinotto in un bicchiere. – Per il resto temo di non poterla accontentare.
Il tipo si guardò intorno, mentre il bar gli sbadigliava in faccia, completamente vuoto a parte i quattro parlamentari del Movimento Terza Età.
– Se mi dice un’ora…
– Non è questione di ore, è questione di contenuti –. Massimo indicò la valigetta del tizio, su cui risaltava il logo di una nota casa di giochi d’azzardo. – Dati i signori per cui lei lavora, presumo che il suo scopo sia di vendermi un marchingegno per il videopoker o affini. Mi sembra quindi corretto avvisarla che non ho intenzione di mettermi dentro il bar un oggetto del genere, e che accettando di parlare con lei non farei altro che far perdere tempo a tutti e due.
E, in modo cortese ma assertivo, Massimo posò la tazzina di fronte al proprio interlocutore.
– Certo, la capisco – disse il tipo, il quale evidentemente era preparato a una reazione del genere. – E posso chiederle, in via del tutto informativa, s’intende, per quale motivo…
– Certo che può. E io le risponderei che in primo luogo, vista la clientela che bazzica da queste parti, più che di videopoker si dovrebbe parlare di videobriscola. Oltre a questo le potrei dare altri quarantadue validissimi motivi, se fossi realmente interessato a fare sì che lei mi capisca. Dato che non lo sono, la prego di credermi quando le dico che non sono disposto né ad acquistare né tantomeno ad ascoltare, e la invito pertanto a degustare con tutta calma il suo caffè, che come potrà notare è eccellente, e quindi a levarsi dai coglioni prima di subito, altrimenti sguinzaglio i varani.
– Mamma mia quanto sei stato scortese.
– Questione di necessità – replicò Massimo ad Aldo poggiando sul bancone il bicchiere del chinotto, in seguito a una sorsata soddisfatta, appena dieci secondi dopo che il rappresentante aveva imboccato la porta a vetri, non senza prima aver posato accanto alla cassa un euro con l’aria sdegnosa e orgogliosa che tipicamente viene esibita dallo sconfitto.
– Ma nemmeno per idea – si ostinò Aldo. – Anche a me a volte mi arrivano fra le scatole dei rappresentanti particolarmente molesti, o che non hanno prodotti che mi interessano, ma non li tratto mica a merda in questo modo.
– Capisco. E, dimmi la verità, questi rappresentanti riescono a venderti qualcosa, oppure riesci a mantenerti fermo sulle tue posizioni?
– Guarda, a dire la verità…
– A dire la verità riescono sempre a rifilarti qualcosa –. Massimo sottolineò il concetto tirando un filo immaginario stretto tra indice e pollice. – E lo sai perché? Perché già accettare di parlare con loro significa stabilire una interazione, instaurare uno scambio di informazioni. Iniziando a spiegarti, l’informazione che dai su di te è la seguente: «Ecco una persona educata e ragionevole, che è disposta a spiegare e quindi anche ad ascoltarti. Se mi ci impegno, lo intorto». E così ti ritrovi la cantina piena di aceto balsamico al lampone. Io, invece, li tratto male in modo insensato. L’informazione che fornisco nei miei riguardi è: «Questo è uno psicolabile e probabilmente anche uno stronzo, e comunque sicuramente non una persona ragionevole, quindi uno che non ascolta. Non vale nemmeno la pena di tentare di ragionarci».
– Ho capito – disse Aldo, dopo aver tentennato la testa per qualche secondo. – Quindi, presumo che al momento di fare gli ordini mi toccherà sempre e continuamente consultarti, anche nel caso in cui tu fossi al cesso.
– Sarebbe senza dubbio preferibile – approvò Massimo, in tono tranciante.
Aldo, a quella risposta, si voltò verso i rimanenti tre quarti di ignobiltà.
– Carattere chiuso…
– L’hai voluta la bicirètta? Ora ti tocca pedala’ – rispose Pilade, facendo intendere che pietà l’era morta.
– Davvero – rincarò Ampelio, ridacchiando. – E t’è toccata anche senza sellino. O stai ritto sui pedali, o sennò l’hai in culo.
Per capire meglio cosa sta succedendo, forse è opportuno tornare un attimo indietro. A tre mesi prima, più o meno.
Erano infatti passati circa tre mesi da quando Aldo, in modo insolitamente circospetto, era entrato al BarLume in un orario assolutamente inedito, ovvero le due e tre quarti di pomeriggio, in un intervallo consacrato sia dai restanti vecchietti sia dal BarLume stesso al riposino pomeridiano.
– Salve a tutti, specialmente ai brutti – aveva salutato, entrando.
– Veramente ci sono solo io – aveva risposto Massimo.
– Appunto – confermò Aldo. – Bene, bene, bene, Massimo caro. Come va?
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Marco Malvaldi.
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