Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Una terra chiamata Alentejo di José Saramago. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 9,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Una terra chiamata Alentejo: trama del libro
Nella regione portoghese dell’Alentejo per tutto il Novecento, dalle prime occupazioni delle terre fino alla Rivoluzione dei garofani, l’economia latifondista ha segnato duramente la vita degli umili braccianti, con una lunga catena di soprusi e prevaricazioni, in un contesto di miseria e ignoranza. A questa grande Storia è intestricabilmente legata la storia minore e marginale, ma emblematica, di una famiglia di contadini: i Mau-Tempo, le cui stesse origini sono connesse a un’antica violenza e sulla quale continuano ad abbattersi prepotenza e sfruttamento. La narrazione ne segue lungo quattro generazioni l’esistenza fatta di sacrifici e fatica, ma anche di passioni, aspirazioni, lotte, sconfitte. È una saga di vinti, l’emozionante epopea di tutta una classe sociale, scandita dal ritmo dell’oralità, dove si mescolano poetica rappresentazione del paesaggio, amara ironia nel descrivere le secolari ingiustizie e commossa partecipazione per le sorti degli eterni sfruttati.
In ebook Una terra chiamata Alentejo (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
Non mancano i colori a questo paesaggio. Ma non solo colori. Ci sono giorni duri come il loro freddo, altri in cui non sembra che vi possa essere aria per tanto caldo: il mondo non è mai contento, e come potrebbe, tant’è sicuro della morte. E al mondo non mancano gli odori, neppure a questa terra, che ne è parte, e ben provvista di paesaggio. Se nel bosco è morta qualche bestiola, esso prenderà certo l’odore di putrido di ciò che è morto. Quando il vento è calmo, magari nessuno si accorge di nulla, anche passandoci vicino. Poi restano le ossa ripulite, indifferenti, lavate dalla pioggia, cotte dal sole, e se la bestiola era piccolina, neanche a tanto si giunge, perché sono arrivati i vermi e gli insetti becchini e l’hanno seppellita.
È una terra tanto grande, a voler fare confronti, piena soprattutto di cocuzzoli, con un po’ d’acqua torrentizia, ché quella del cielo può essere che manchi come avanzi, e verso il basso si stempera in pianura, levigata come la palma di una mano, anche se molte di esse, per destino, tendono col tempo a chiudersi, adattandosi all’impugnatura della zappa e della falce o del rastrello. La terra. Anch’essa come la palma di una mano coperta di linee e vie, le sue strade regali, più tardi nazionali, o addirittura proprietà di sua eccellenza il comune, e qui se ne vedono tre, perché tre è un numero poetico, magico e di chiesa, e tutto il resto di questo destino è spiegato nelle linee che vanno e vengono, sentieri di piedi scalzi e mai calzati, fra zolle o erba, fra stoppie o fiori selvatici, fra mura e lande desolate. Quanto paesaggio. Un uomo vi può girovagare tutta una vita e non trovarsi mai, se è nato smarrito. E gli sarà uguale di morire, giunta l’ora. Non è un coniglio o un ginnetto per imputridire al sole, ma immaginando che la fame, o il freddo, o il caldo, lo abbatta là dove nessuno si accorga di lui, o crolli per una di quelle malattie che neanche ti danno il tempo di capirlo, e tantomeno di chiamare qualcuno, prima o poi lo dovranno trovare.
Le guerre e le varie pestilenze ne hanno ammazzati tanti in questo e in altri luoghi del paesaggio, eppure da queste parti si continuano a vedere solo vivi: c’è chi sostiene che solo per un mistero insondabile, ma le ragioni vere sono quelle di questa terra, di questo latifondo che su per cocuzzoli e giù per pianure si estende fin dove arriva lo sguardo. E se non appartiene a uno, sarà di qualcun altro, la differenza importa solo a loro due, uno a me e uno a te: tutto a tempo debito e conveniente si è registrato all’origine, delimitazioni a nord e a sud, a levante e a ponente, come se fosse deciso così fin dall’inizio del mondo, quando tutto era paesaggio, con qualche grossa bestia e pochi uomini di tanto in tanto, e tutti spaventati. A quel tempo, e in seguito, fu deciso che cosa sarebbe stato il futuro, per quali vie contorte della mano, questo nostro presente di una terra spartita fra i padroni della roncola e in base alla grandezza e al ferro o al filo della roncola. Per esempio: signor re o duca, oppure duca che diventa re, vescovo o capo dell’ordine militare, figlio legittimo o di buona razza bastarda, oppure frutto di concubinato, e così la macchia viene lavata e onorata, compare per figlia nubile, e anche l’altro conestabile, mezzo regno per contea e talvolta amici miei questa è la mia terra, prendetela, popolatela per mio servizio e per vostro vantaggio, salvaguardata da infedeli e ribellioni varie. Libro di santissime ore, magnifiche, e di ancor più sacri conti portati al palazzo e al monastero, come grani di rosario recitati negli edifici bassi o nelle torri di sicurezza, ogni moneta un padrenostro, alle dieci un’avemaria, fino ad arrivare a cento salveregina, dove Maria è più che re. Profonde casse, barili abissali, granai come navi dell’India, tini e botti, casse signora mia, e tutto misurato a cubiti, palmi e moggi, a stai, once e galloni, paese che vai, usanze che trovi.
Così hanno continuato a scorrere i fiumi, quattro stagioni puntuali all’anno, ché le stagioni sono sicure, anche se variano. La grande pazienza del tempo e quella, non minore, del denaro che, eccettuato l’uomo, è la più costante di tutte le misure, anche se le stagioni variano. Ogni volta, lo sappiamo, l’uomo è stato comprato e venduto. Ogni secolo ha avuto il suo denaro, ogni regno il suo uomo da comprare e vendere per maravedini, marchi d’oro e d’argento, reali, doppi, scudi, reis e dobloni, e fiorini stranieri. Volatile metallo, aereo come lo spirito del fiore o lo spirito del vino: il denaro sale, le ali le ha soltanto per salire, non per scendere. Il posto del denaro è un cielo, un posto alto dove i santi cambiano nome quando ci vuole, ma non il latifondo.
Madre dalle mammelle grosse, per bocche grandi e avide, terra concessa dal maggiore al grande, o con più gusto annessa dal grande al maggiore, diciamo per acquisto, o per alleanza, o per abile furto, o terribile delitto, eredità dei nonni e del mio caro padre, che Dio li abbia in gloria. Ci sono voluti secoli per arrivare a questo, chi può dubitare che rimarrà così fino alla fine dei secoli?
E quest’altra gente chi è, abbandonata e meschina, questa gente venuta con la terra, anche se non registrata nel contratto, anime morte, oppure ancora vive? La saggezza di Dio, amati figli, è infinita: ecco la terra e chi la deve lavorare, crescete e moltiplicatevi. Crescete e moltiplicatemi, dice il latifondo. Ma tutto ciò può essere narrato in altro modo.
Cominciò a piovere nel tardo pomeriggio, il sole mezzo palmo sopra le cime basse, sulla destra, dunque le streghe stavano pettinandosi, ché proprio questo tempo scelgono. L’uomo fece fermare il somaro e con il piede, per alleviargli il carico nel breve pendio scosceso, spinse una pietra contro la ruota del carro. Questa pioggia, cosa mai gli sarà venuto in mente al reggente delle acque celesti, non è di stagione. Ecco perché c’è tanta polvere sulla strada e un po’ di sterco secco o di cacca di cavallo, che nessuno è venuto a prendere fin qui, lontano dall’abitato. Nessun ragazzino col cesto infilato sottobraccio si è avventurato così lontano nella ricerca del letame naturale, raccogliendo accuratamente con la punta delle dita la sfera friabile, a volte crepata come un frutto maturo. Con la pioggia, il terreno pallido e caldo si è picchiettato di stelle scure, improvvise, cadute sordamente sulla polvere soffice, finché è arrivato uno scroscio d’acqua e ha fatto un lago. Ma la donna aveva fatto in tempo a prendere il bambino dal carro, dalla concavità che il materasso a strisce creava tra le due casse. Se l’accostò al petto, gli coprì il viso con una delle punte del fazzoletto e disse, Non si è svegliato. Delle premure questa fu la prima e subito ne seguì un’altra, Si bagnerà tutta la roba. L’uomo stava guardando le nuvole alte, arricciando il naso, e nel suo sapere di maschio tirò le conclusioni, Passerà, è un acquazzone, ma per ogni evenienza srotolò una delle coperte, la distese sopra i mobili, Proprio oggi doveva piovere, accidenti alla miseria.
Una folata di vento fece scorrere le gocce adesso rade. Il somaro scosse con forza le orecchie quando l’uomo gli assestò una manata sul fianco, diede uno strattone alle assi mentre quello forniva il suo aiuto facendo forza sulla ruota. Ripresero a salire su per il viottolo. La moglie li seguiva con il figlio in braccio e, godendosi la calma del piccino, ne spiò il viso mormorando, Piccolo mio. Da una parte e dall’altra della trazzera, la terra era fitta di cespugli con qualche leccio smarrito e soffocato fino a metà tronco, abbandonato o nato lì per caso. Le ruote del carro procedevano sul terreno bagnato, facevano un rumore aspro di triturazione e, di tanto in tanto, battevano un colpo secco, di rimbalzo, se qualche sasso faceva capolino. I mobili stridevano sotto la coperta. L’uomo, accanto al somaro, con la mano destra poggiata sull’asse, camminava in silenzio. E giunsero così in cima al pendio.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore portoghese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a José Saramago.
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