Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Terra! di Stefano Benni. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 9,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Terra!: trama del libro
È l’anno 2156: da una Parigi sotterranea e da un mondo ghiacciato dalle guerre nucleari, parte un’incredibile corsa spaziale, verso una nuova terra più vivibile. Contro la Proteo Tien, la scassatissima astronave sineuropea, e il suo ancor più scassato equipaggio, scendono in campo due colossali imperi: l’Impero militare samurai, con una miniastronave su cui un generale giapponese guida sessanta topi ammaestrati, e la Calalbakrab, la reggia volante del tiranno amerorusso, il Grande Scorpione. Intanto a terra, per risolvere un mistero legato alla civiltà inca, si affrontano Fang, un vecchio saggio cinese, e Frank Einstein, un bambino di nove anni genio del computer. La chiave del mistero inca del “cuore della terra” è anche la chiave del viaggio nello spazio. La discesa nelle viscere della montagna peruviana di Fang ed Einstein apparirà ben presto legata in modo magico e oscuro al viaggio della Proteo negli orrori e nelle allucinazioni dei Pianeti Dimenticati. La scienza, la fantasia, la filosofia si arrestano davanti al mistero di una civiltà antichissima, e sfidano i potenti di un mondo guerriero. Riusciranno i nostri eroi ad aprire le quindici porte? Riusciranno a raggiungere il pianeta della mappa Boojum? Riusciranno a trovare, per la seconda volta, la Terra?
In ebook Terra! (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 4,99 euro.
“Avanti, Baiard,” gridò lo sherpa, “quasi ci siamo!”
L’orso, infatti, dopo pochi metri, scoprì con il muso una colonnetta rossa, semisepolta nella neve. La spinse giù con tutto il peso della zampa. Nella coltre bianca ci fu un piccolo terremoto; un portellone si spalancò cigolando rumorosamente e fece apparire un tunnel sotterraneo.
Sull’entrata del tunnel spiccava la scritta: Paris Metrò.
I quattro orsi, frenando con gli unghioni giù per la discesa, scomparvero dentro il tunnel. Il portello si richiuse, e tutto tornò bianco e immobile.
PARIGI: UNA INCREDIBILE AVVENTURA CHE COMINCIA AL FREDDO
Il giorno 29 luglio dell’anno 2157 la temperatura esterna a Parigi era di meno undici gradi. Nevicava esattamente da un mese e sei giorni, e quasi tutti gli edifici della città vecchia erano sepolti. La vita proseguiva però regolarmente sottoterra nelle metropolitane, nelle vie-condotto, nei giardini botanici e nei forum a temperatura costante di otto gradi. Dall’ultimo piano dell’immensa piramide incastonata nel ghiaccio un uomo infreddolito guardava la distesa gelata e spoglia stendersi per chilometri e chilometri, interrotta solo dalla luce di qualche slitta. Nella cinta cittadina poche costruzioni sfidavano i trenta metri di neve. Il grande cilindro dello spazioporto Mitterrand, con i suoi corridoi di volo a luce laser disegnava un intricato videogame colorato nel cielo grigio. Dalle alture di Fort Montmartre, sede della polizia, la torre di controllo esterno muoveva come una piovra nell’aria i fili delle telecamere volanti. Più in là, la Tour Eiffel incapsulata in una calotta trasparente, come un vecchio souvenir. E sopra di lei, il prisma del Centro Spettacoli, con le pareti a schermo che mandavano in continuazione pubblicità, vecchi documentari della Costa Azzurra e omicidi in diretta dal metrò.
L’uomo s’era tolto la pelliccia, un vecchio giaccone di topo, e stava cercando di rattoppare una manica. Tentò di infilare il filo nell’ago, ma un brivido di freddo glielo impedì. In quel momento, sui nastri d’ingresso della piramide, centocinquanta piani più in basso, vide avanzare quattro puntini rossi. Non c’era dubbio; era il colore delle tute di volo astronautico.
Posò ago e filo e premette il tasto del videocitofono. Apparve il volto di una segretaria occhialuta, con un ciuffo solitario di capelli rossi sul cranio.
“Oh, signorina Minnie,” disse l’uomo, “complimenti per la sua nuova pettinatura. Bella sfoltita! Chi è il suo parrucchiere?”
“Il mio nuovo parrucchiere sono le radiazioni,” sibilò la ragazza, “desidera qualcosa?”
“Sì. Anzitutto un ago più grosso. E poi vorrei sapere se i bipedi all’ingresso sono quelli che sto aspettando.”
“Sì, signor Primo Ministro,” rispose la ragazza, “è la sua missione segreta.”
I quattro bipedi camminavano a testa in su guardando l’enorme costruzione che li sovrastava, irta di pinnacoli di ghiaccio. Cinquecentododici metri, a forma di tripla piramide, la sede della Federazione sineuropea era il più alto edificio del mondo dopo i quasi ottocento metri della torre Atari, dell’impero militare giapponese, e i milletrenta della Montagna dell’Ordine, sede dei sette sceicchi aramerussi.
Questi altissimi edifici erano stati costruiti subito dopo la sesta guerra mondiale, quando era apparso drammaticamente chiaro che la Grande Nube che aveva tolto il sole alla terra non se ne sarebbe andata per un bel po’ di anni. Migliaia di gigaton di polvere, gas e scorie radioattive sollevati dalle esplosioni belliche avevano avviato la terra a una glaciazione irreversibile, e provocato una crisi energetica mondiale. Per maggior felicità di tutti, i mari erano ghiacciati e tossici, la radioattività esterna era altissima, e ogni giorno sulla terra cadevano gli “hobos”, frammenti di qualcuno dei tremila satelliti e missili lanciati nello spazio durante le guerre, ormai privi di controllo. Alcuni, come i razzi a sensore, erano ancora programmati per colpire città ormai distrutte, e vagavano intorno al mondo cercando ancora un nemico che non esisteva più.
L’entrata della Federazione era sorvegliata da due corazzieri immobili più per congelamento che per disciplina. Ai loro piedi sonnecchiavano due ictaluri, pesci gatto di un quintale, dai baffi truci. Usciti dai fiumi ghiacciati, cinquanta anni prima, si erano adattati a vivere sulla terra. Erano molto goffi, nella loro camminata a colpi di coda, ma il loro morso era tremendo.
I bipedi passarono davanti ai pescioni guardiani con un certo rispetto, e percorsero l’ampio corridoio di entrata. In fondo brillava una lastra di marmo interamente coperta di cartoline colorate: il monumento alle città scomparse. I bipedi sfilarono davanti al lungo elenco di nomi che iniziava con la scritta: “Amsterdam benché ferita a una diga e accerchiata da soverchianti forze nemiche eroicamente resisteva fino a essere rasa al suolo il 24 luglio 2130…”
In fondo al corridoio dietro un cristallo azzurro, li attendeva una coppia di Guardie Frizzanti. Erano due massicci distributori di bibite a gettone, con piedini a rotelle. (Nella penultima guerra, quasi tutte le macchine erano state militarizzate e robotizzate.) La prima guardia, un distributore di bevande calde munito di occhio fotoelettrico e cannoncino sparatappi, sbarrò cigolando il passaggio e intimò: “Fermi o sparo!”
“Grazie,” disse uno dei bipedi, “per me una fucilata di caffè con molto zucchero.”
La macchina avanzò di un passo.
“Niente spirito, signori. Passate uno alla volta e dite qualcosa per il controllo delle generalità e delle impronte vocali.”
Si fece avanti il bipede che aveva parlato, un negro massiccio, con la faccia decorata da cicatrici. Portava sulla tuta il tigrotto alato, distintivo dei piloti spaziali.
“Mi chiamo Boza Cu Chulain,” disse, “sono nato nella stazione spaziale di New Africa, mia madre era africana. Per mio padre le posso dare un elenco di trecento candidati…”
“Può bastare,” tagliò corto la guardia, “avanti un altro.”
Davanti all’occhio fotoelettrico si fermò un uomo magro e barbuto.
“Il mio nome è Leonardus Cristoforus Kook, ho quarant’anni, sono uno scienziato e lavoro su una capsula intorno al sole, qua fa un freddo cane e vorrei sapere perché tenete in piedi questo mausoleo se non avete l’energia per riscaldarlo.”
“Ragioni di decoro politico, dottor Kook,” rispose pronta la guardia. “Avanti il prossimo, prego.”
Si presentò uno strano bipede che portava ancora il casco di volo. Era rotondo, e non più alto di un metro.
“Mi chiamo Leporello Tenzo E-Atari, e non posso dirle dove sono nato, perché…”
“Lo vedo benissimo,” lo interruppe la guardia, “avanti l’ultimo.”
L’ultimo bipede, un vecchio cinese, si inchinò e disse:
“Il mio nome è Fang, sono nato in un paese di montagna dove il sole fa brillare i tetti delle case, come…” Uno strepito di ferraglia lo interruppe. Una guardia aveva starnutito perdendo due o tre lattine di bibite.
“Scusatela,” disse l’altra macchina, “ogni tanto i suoi circuiti si bloccano per il freddo e ha… dei ritorni alle vecchie mansioni.”
“Salute, allora,” disse il cinese. “Oggi nevica, ma io sono sicuro che il signor Kook troverà il modo di catturare di nuovo il sole, da quel posto così lontano, e di portarci il suo calore sulla terra.”
“Magari fosse, signor Fang,” disse la guardia, “passate pure. Gli ascensori sono in fondo al corridoio quattro. Vi consiglio di rimboccarvi i calzoni. Il tappeto verde che incontrerete non è moquette, bensì muffa.”
“Alla faccia del decoro,” brontolò Chulain incamminandosi, mentre alcuni topi bene in carne gli saettavano tra le gambe.
“La Federazione fa del suo meglio,” sospirò Kook, “non si può pretendere di più, di questi tempi.” Giunsero davanti agli ascensori, e un robot di un modello un po’ antiquato, tutto decorato con formule trigonometriche, si fece loro incontro inchinandosi con grazia.
“Vedete,” disse Kook, “tutto è un po’ usato, ma perfettamente funzionante, come questo cortese robotlift.”
“Anche troppo cortese,” fece presente Chulain, “è ancora lì piegato in due.”
“Vogliate scusarmi,” disse il robot con voce flebile, “ma temo che mi si sia inceppata l’articolazione della schiena. Vorreste essere così gentili da riportarmi nella posizione eretta?”
I quattro aiutarono a raddrizzarsi il robot, la cui giuntura dorsale emise un crepitio metallico preoccupante. Kook e il negro si lanciarono un’occhiata perplessa.
“Se ora volete seguirmi, signori,” disse il robot, “ecco l’ascensore: è azionato da un vecchio motore fuoribordo a due cavalli, e la salita richiederà circa quattro minuti. Intanto io potrò fornirvi una serie di utili informazioni sulla città. Per cominciare, là ad esempio, dove vi indico…”
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore bolognese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stefano Benni.