Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Testimone inconsapevole di Gianrico Carofiglio. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Testimone inconsapevole: trama del libro
È stato ucciso un bambino di nove anni. Il piccolo corpo viene ritrovato nel fondo di un pozzo. Un delitto atroce di cui è accusato un ambulante senegalese, Abdou Thiam, che lavora nella spiaggia vicino la casa dei nonni dove il bambino è solito giocare. Inchiodano il senegalese indizi e testimonianze, ma soprattutto una foto e le dichiarazioni di un barista. Un destino processuale segnato: privo di mezzi, lo attendono una frettolosa difesa d’ufficio e vent’anni con rito abbreviato. Ma è un destino che si scontra con quello di un avvocato in crisi che trova, nella lotta per salvare Abdou in una spasimante difesa, un nuovo sapore alla vita.
Edito da Sellerio nel 2002 • Pagine: 316 • Compra su Amazon
È stato ucciso un bambino di nove anni. Il piccolo corpo viene ritrovato nel fondo di un pozzo. Un delitto atroce di cui è accusato un ambulante senegalese, Abdou Thiam, che lavora nella spiaggia vicino la casa dei nonni dove il bambino è solito giocare. Inchiodano il senegalese indizi e testimonianze, ma soprattutto una foto e le dichiarazioni di un barista. Un destino... → CONTINUA SU AMAZON
In ebook Testimone inconsapevole (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 8,49 euro.
Ero arrivato in studio da un quarto d’ora e non avevo nessuna voglia di lavorare. Avevo già controllato la posta elettronica, la posta cartacea, riordinato qualche carta fuori posto, fatto un paio di telefonate inutili. Insomma avevo esaurito tutti i pretesti e quindi mi ero acceso una sigaretta.
Adesso mi godo tranquillamente la sigaretta e poi comincio.
Finita la sigaretta avrei trovato qualcos’altro. Magari sarei sceso ricordandomi di un certo libro che dovevo andare a prendere da Feltrinelli e, insomma, avevo rinviato troppe volte.
Mentre fumavo squillò il telefono. Era la linea interna, la mia segretaria dall’anticamera.
C’era un signore che non aveva appuntamento, ma diceva che era urgente.
Quasi nessuno ha mai appuntamento. La gente va dall’avvocato penalista quando ha problemi seri e urgenti, o è convinta di averli. Il che ovviamente è lo stesso.
In ogni caso nel mio studio funzionava così: la mia segretaria mi chiamava, in presenza del signore o della signora che aveva urgente bisogno di parlare con l’avvocato. Se ero impegnato – per esempio con un altro cliente – facevo aspettare fin quando non finivo.
Se non ero impegnato, come quel pomeriggio, facevo aspettare lo stesso.
Sia chiaro che in questo studio si lavora, e la ricevo solo perché è una cosa urgente.
Dissi a Maria Teresa di comunicare al signore che avrei potuto riceverlo fra dieci minuti, ma non avrei avuto molto tempo da dedicargli perché dopo avevo una riunione importante.
Gli avvocati – pensa la gente – hanno spesso riunioni importanti.
Dieci minuti dopo il signore entrò. Aveva i capelli lunghi neri, la barba lunga nera e gli occhi sbarrati. Si sedette e si appoggiò sulla scrivania, protendendosi verso di me.
Per un attimo fui certo che dicesse: «Ho appena ucciso mia moglie e mia suocera. Sono giù in macchina, nel bagagliaio. Fortunatamente ho una station wagon. Che dobbiamo fare adesso, avvocato?».
Non disse così. Aveva un camper su cui arrostiva würstel ed hamburger. Gli ispettori della asl lo avevano sequestrato perché le condizioni igieniche erano più o meno quelle delle fogne di Benares.
Il barbuto rivoleva indietro il suo camper. Sapeva che ero un bravo avvocato perché glielo aveva detto un suo amico che era mio cliente. Con una specie di schifoso sorriso di intesa disse il nome di uno spacciatore, per il quale ero riuscito a patteggiare una pena vergognosamente bassa.
Gli chiesi un anticipo spropositato e lui tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un rotolo di banconote da cento e da cinquanta.
Non mi dia quelli con le macchie di maionese per piacere, pensai rassegnato.
Lui contò fra indice e pollice la somma che gli avevo chiesto. Mi lasciò il verbale di sequestro e tutte le altre carte. No, non voleva la ricevuta, e che me ne faccio avvocato. Altro sorriso di intesa. Certo, fra noi evasori fiscali ci intendiamo.
Anni prima il mio lavoro mi piaceva abbastanza. Adesso invece mi dava un vago senso di nausea. Quando poi incontravo soggetti come il venditore di hamburger la nausea aumentava.
Pensai che meritavo una cena con i würstel del signor Rasputin e poi di finire al pronto soccorso. Lì avrei trovato ad attendermi il dottor Carrassi.
Il dottor Carrassi, aiuto primario del pronto soccorso, aveva fatto morire una ragazza di ventun anni, con la peritonite, dicendo che erano dolori mestruali.
Il suo avvocato – io – lo aveva fatto assolvere senza fargli perdere nemmeno un giorno di servizio e una lira di stipendio. Non era stato un processo difficile. Il pubblico ministero era una idiota e l’avvocato di parte civile un analfabeta terminale.
Quando fu assolto Carrassi mi abbracciò. Aveva l’alito pesante, era accaldato e pensava che fosse stata fatta giustizia.
Uscendo dall’aula avevo evitato lo sguardo dei genitori della ragazza.
Il barbuto andò via ed io, soffocando la nausea, preparai il ricorso contro il sequestro del suo pregevole ristorante mobile.
Poi andai a casa.
Il venerdì sera, di regola, andavamo al cinema e poi a cena, sempre con lo stesso gruppo di amici.
Non partecipavo mai alla scelta del cinema e del ristorante. Facevo quello che decidevano Sara e gli altri e passavo la serata in apnea, aspettando che finisse. Era diverso solo quando capitava un film che mi piacesse davvero, ma era una eventualità sempre più rara.
Quel venerdì, quando rientrai, Sara era già pronta per uscire. Dissi che avevo bisogno di almeno un quarto d’ora, il tempo di fare una doccia e cambiarmi.
Ah, lei usciva con i suoi amici. Quali amici? Quelli del corso di fotografia. Poteva dirmelo prima, che mi sarei organizzato. Me lo aveva detto da ieri e non poteva farci niente se non ascoltavo quando parlava. Va bene, non c’era bisogno di arrabbiarsi, avrei visto di combinare qualcosa per conto mio, se avessi fatto in tempo. No, non avevo nessuna intenzione di farla sentire in colpa, volevo dire solo ed esattamente quello che avevo detto. Va bene era meglio chiudere la discussione.
Lei uscì ed io rimasi a casa. Pensai di chiamare i soliti amici e di uscire con loro. Poi mi sembrò assurdamente difficile spiegare perché Sara non c’era, e dove era andata, e pensai che mi avrebbero guardato con aria strana e, insomma, lasciai stare.
Provai a chiamare una mia amica con cui qualche volta mi vedevo – clandestinamente – in quel periodo, ma lei mi disse, parlando sottovoce al cellulare, che era con il fidanzato. Che mi aspettavo, di venerdì? Mi sentii a disagio e allora pensai che noleggiavo un bel film poliziesco, tiravo fuori una pizza surgelata, una birra grande, fredda e in un modo o nell’altro quel venerdì sera sarebbe passato.
Presi Black Rain, anche se l’avevo già visto due volte. Lo rividi per la terza e mi piacque ancora. Mangiai la pizza, bevvi tutta la birra. Poi bevvi anche un whisky e fumai diverse sigarette. Mi feci un giro di canali, scoprendo che sulle televisioni locali avevano ripreso a dare i film hard. Questo mi fece notare che era l’una passata e così andai a dormire.
Non so quando mi addormentai e non so quando Sara rientrò, perché non la sentii.
La mattina dopo mi svegliai che lei si era già alzata. Entrai in cucina con la faccia del sonno e lei, senza dire niente mi versò una tazza di caffè americano. Il caffè americano, lungo, era sempre piaciuto a tutti e due.
Bevvi due sorsi e stavo per domandarle a che ora fosse rientrata la notte prima, quando mi disse che voleva la separazione.
Disse così, semplicemente: «Guido, voglio che ci separiamo».
Dopo molti secondi di silenzio assordante fui costretto alla domanda più banale.
Perché?
Me lo disse il perché. Fu calma, e implacabile. Forse pensavo che non si fosse accorta di come era stata la mia vita degli ultimi, diciamo almeno due anni. Invece se ne era accorta e non le era piaciuta. Quello che l’aveva più umiliata non era la mia infedeltà – quella parola mi colpì in faccia come uno sputo – ma il fatto che le avessi veramente mancato di rispetto trattandola come fosse una stupida. Lei non sapeva se ero sempre stato così o se lo ero diventato. Non sapeva quale ipotesi preferire e forse non gliene importava nemmeno.
Mi stava dicendo che ero diventato un uomo mediocre o che forse lo ero sempre stato. E lei non aveva voglia di vivere con un uomo mediocre. Non più.
Da vero uomo mediocre non trovai niente di meglio che chiederle se aveva un altro. Lei rispose semplicemente di no e che comunque, da quel momento, non erano più affari miei.
Giusto.
La conversazione non proseguì a lungo e dieci giorni dopo ero fuori di casa.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Gianrico Carofiglio.