Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di The Dome di Stephen King, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 13,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
The Dome: trama del libro
È una tiepida mattina d’autunno a Chester’s Mill, nel Maine, una mattina come tante altre. All’improvviso, una specie di cilindro trasparente cala sulla cittadina, tranciando in due tutto quello che si trova lungo il suo perimetro: cose, animali, persone. Come se dal cielo fosse scesa la lama di una ghigliottina invisibile. Gli aerei si schiantano contro la misteriosa, impenetrabile lastra di vetro ed esplodono in mille pezzi, l’intera area – con i suoi duemila abitanti – resta intrappolata all’interno, isolata dal resto del mondo. L’ex marine Dale Barbara, soprannominato Barbie, fa parte dell’intrepido gruppo di cittadini che vuole trovare una via di scampo prima che quella cosa che hanno chiamato la Cupola faccia fare a tutti loro una morte orribile. Al suo fianco, la proprietaria del giornale locale, un paramedico, una consigliera comunale e tre ragazzi coraggiosi. Nessuno all’esterno può aiutarli, la barriera è inaccessibile. Ma un’altra separazione, altrettanto invisibile e letale, si insinua come un gas velenoso nel microcosmo che la Cupola ha isolato: quella fra gli onesti e i malvagi. Tutti loro, buoni e cattivi, dovranno fare i conti con la Cupola stessa, un incubo da cui sembra impossibile salvarsi. Ormai il tempo rimasto è poco, anzi sta proprio finendo, come l’aria…
«In fondo sono solo un vagabondo», disse e rise. «Un vagabondo in giro per il grande mondo.» E perché no, diamine? Montana! O Wyoming! O la fottuta Rapid City, South Dakota. Dovunque piuttosto che lì.
Sentì un motore in arrivo, si voltò, ora camminando all’indietro, e alzò il pollice. Il quadretto che gli si presentò non era niente male: un vecchio pick-up Ford tutto sporco con una bionda giovane e fresca al volante. Biondo cenere, quello che preferiva su tutti. Barbie le porse il suo sorriso più accattivante. La ragazza al volante del pick-up rispose con un sorriso dei suoi e oh, mio Dio, se aveva un solo tictoc più di diciannove anni, si sarebbe mangiato l’ultima busta paga del Sweetbriar Rose. Troppo giovane per un galantuomo di trenta primavere, questo sì, ma legalmente fattibile, come si diceva ai tempi della sua gioventù nutrita di mais nell’Iowa.
Il pick-up rallentò, Barbie fece un passo nella sua direzione… e lo vide riaccelerare. Lei gli rivolse ancora una breve occhiata mentre lo sorpassava. Aveva ancora il sorriso sulle labbra, ma era diventato di rammarico. Per un istante, un momento fa, diceva quel sorriso, mi è venuto un crampo al cervello, ma ha ripreso a funzionare bene.
E a Barbie sembrò di riconoscerla vagamente, senza metterci la mano sul fuoco, impossibile, perché la domenica mattina il Sweetbriar era sempre un manicomio. Però credeva di averla vista in compagnia di un uomo maturo, probabilmente suo padre, entrambi con la testa quasi sempre sprofondata tra le pagine del Sunday Times. Se avesse potuto parlarle quando gli passò davanti, Barbie avrebbe detto: Se ti sei fidata di me abbastanza da mangiare le mie uova e salsiccia, potrai ben fidarti abbastanza da caricarmi a bordo per qualche chilometro.
Ma ovviamente non gliene fu data l’opportunità, così alzò la mano in un piccolo saluto di senza-rancore. Gli stop del pick-up si accesero, come per un ripensamento. Poi si spensero e il veicolo accelerò.
Nei giorni successivi, mentre al Mill la situazione procedeva di male in peggio, avrebbe rivissuto più di una volta quella scenetta nel caldo sole d’ottobre. Sarebbe stato a quel breve lampo degli stop che avrebbe pensato… al fatto che alla fine lei lo avesse riconosciuto. Quello è il cuoco del Sweetbriar Rose, ne sono quasi sicura. Forse dovrei…
Ma «forse» è un abisso in cui erano precipitati uomini migliori di lui. Se quella ragazza ci avesse davvero ripensato, tutto quello che nella sua vita sarebbe seguito sarebbe stato diverso. Perché lei doveva avercela fatta a uscire; non rivide mai più la bionda dal fresco faccino né il vecchio Ford F-150 polveroso. Doveva aver attraversato il confine di Chester’s Mill pochi minuti (anche solo secondi) prima che venisse sbarrato. Se fosse stato con lei, sarebbe stato fuori sano e salvo.
A meno che, ovviamente, avrebbe riflettuto in seguito – quelle volte che non riusciva a prender sonno – la sosta per caricarmi fosse stata lunga giusto quel tanto da essere troppo lunga. In quel caso lo stesso non sarei qui. E non ci sarebbe lei. Perché il limite di velocità su quel tratto della 119 è di ottanta. E a ottanta chilometri all’ora…
A quel punto pensava sempre all’aereo.
2
L’aereo gli volò sopra quando aveva appena oltrepassato le Auto Usate di Jim Rennie, un posto che gli andava poco a genio. Non che ci avesse mai comprato un bottone (non possedeva un’automobile da più di un anno, aveva venduto l’ultima a Punta Gorda, Florida). Era solo che Jim Rennie Junior era stato uno di quelli del parcheggio al Dipper’s. Il membro di una confraternita con qualcosa da dimostrare; e quello che non dimostrava da solo, lo dimostrava in gruppo. Era così che funzionano i Jim Junior di questo mondo, per quel che aveva imparato Barbie.
Ma adesso era dietro di lui. Le auto di seconda mano di Jim Rennie, Jim Junior, il Sweetbriar Rose (nostra specialità frutti di mare fritti! Sempre freschi di giornata!), Angie McCain, Andy Sanders. Tutto quanto, compreso il Dipper’s (nostra specialità pestaggi al parcheggio!) Tutto dietro di sé. E davanti? Mah, i cancelli d’America. Addio piccolo Maine di provincia, salve Grande Mondo.
O magari, diavolo, poteva tornare al Sud. Per bella che fosse quella giornata in particolare, l’inverno era comunque in agguato una o due pagine più avanti sul calendario. Il Sud poteva essere una buona idea. Non era mai stato a Muscle Shoals, e il nome gli suonava bene. Era pura poesia, quel Muscle Shoals, e l’idea lo allietò tanto che quando sentì arrivare l’aeroplanino, guardò su e salutò con gesticolante esuberanza. Sperò in un movimento d’ali in risposta, ma non l’ottenne, sebbene il velivolo viaggiasse lentamente a bassa quota. Pensò che si trattasse di turisti in volo panoramico – era il giorno giusto, con gli alberi nel pieno del loro orgoglio fiammeggiante – o magari un principiante alle prime armi, troppo ansioso di non combinare qualche casino per occuparsi di un appiedato come Dale Barbara. Ma augurò loro buona fortuna. Turisti o principiante ancora a sei mesi dal suo primo volo solitario, Barbie augurò buona fortuna. Era una bella giornata e ogni passo che lo allontanava da Chester’s Mill la faceva diventare ancora più bella. Troppi coglioni al Mill e poi: viaggiare era un toccasana dell’anima.
Forse mettersi in viaggio in ottobre dovrebbe essere materia di legge. Nuovo motto nazionale: TUTTI PARTONO IN OTTOBRE. Ci si procura il Permesso Preparativi in agosto, si dà il Previsto Preavviso settimanale a metà settembre, e poi…
Si fermò. Non lontano da lui, sull’altro lato della strada asfaltata, c’era una marmotta. Grassa da far schifo. E anche bella arzilla e impertinente. Invece di scappare nell’erba alta, veniva avanti. La cima di una betulla caduta arrivava fin sul ciglio della strada e Barbie era pronto a scommettere che la marmotta sarebbe scappata a nascondersi là sotto in attesa che il grosso bipede cattivo fosse passato. Altrimenti si sarebbero incrociati da quei vagabondi che erano entrambi, quello a quattro zampe diretto a nord, quello su due piedi diretto a sud. Barbie sperò che andasse così. Sarebbe stato troppo forte.
Questi pensieri gli attraversarono la mente in pochi secondi; l’ombra dell’aereo era ancora tra lui e la marmotta, una croce nera che correva lungo la strada. Poi accaddero due cose quasi simultaneamente.
La prima fu la marmotta. Era intera, poi era in due pezzi. Entrambi pulsanti e sanguinanti. Barbie si fermò con la bocca spalancata dall’improvviso cedimento delle articolazioni della mascella. Era come se dal cielo fosse calata la lama di una ghigliottina invisibile. E fu allora che, direttamente sopra la marmotta tranciata, il piccolo aereo esplose.
3
Barbie guardò su. Dal cielo stava cadendo il bell’aeroplanino… in una versione accartocciata, come nel mondo di Bizzarro. Sospese nell’aria restavano spirali di fuoco come petali rossicci, un fiore che si stava ancora aprendo, una rosa disastro americano. Il velivolo precipitava in una scia di fumo denso.
Qualcosa si schiantò rumorosamente sulla strada scalzando pezzi di asfalto prima di rotolare vorticosamente nell’erba alta a sinistra. Un’elica.
Se fosse rimbalzata verso di me…
Per un attimo Barbie si vide tagliato in due, come la povera marmotta, e si girò per fuggire. Qualcosa gli cadde davanti e gli strappò un grido. Ma non era l’altra elica; era la gamba di un uomo in jeans. Non vide sangue, ma la cucitura laterale si era squarciata su un polpaccio bianco con duri peli neri.
Il piede non c’era.
Barbie scappò con la sensazione di muoversi al rallentatore. Vide uno dei suoi piedi in una vecchia scarpa da lavoro un po’ scorticata allungarsi in avanti e scendere sul terreno. Poi scomparve dietro di lui mentre avanzava l’altro piede. Tutto lentamente, lentamente. Come guardando il replay di un giocatore di baseball che cerca di rubare la seconda base.
Ci fu un fragore spaventoso alle sue spalle, seguito dal boato di un’esplosione secondaria, seguito da un’onda di calore che lo investì dai talloni alla nuca. Gli inferse uno spintone con una gigantesca mano surriscaldata. Poi tutti i pensieri volarono via e non ci fu nient’altro che l’elementare bisogno del corpo di sopravvivere.
Dale Barbara corse per la vita.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
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