Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La torre della rondine di Andrzej Sapkowski. Il romanzo è pubblicato in Italia da Nord con un prezzo di copertina di 18,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è disponibile in eBook al prezzo di euro 8,99.
La torre della rondine: trama del libro
Nella notte dell’Equinozio d autunno, una tempesta infernale si abbatte su Ellander. All’improvviso, alcune nuvole nere assumono la forma di guerrieri a cavallo e sorvolano con gran strepito il tempio della dea Melitele. La maga Triss Merigold non ha dubbi: è la Caccia Selvaggia narrata dalle leggende, portatrice di morte e di sventura. Qualcuno a lei molto caro è caduto vittima di un sortilegio o di un’imboscata. Non c’è un attimo da perdere: deve avvisare Geralt di Rivia… Tre giorni dopo, durante una battuta di caccia nelle paludi, Vysogota di Corvo trova una fanciulla priva di sensi e gravemente ferita. Senza esitare, il vecchio eremita la porta in casa e le presta le prime cure. Tra i deliri indotti dalla febbre, la ragazza rivela di essere sfuggita per miracolo a un manipolo di soldati di Nilfgaard, gli stessi uomini che ancora le stanno dando la caccia per ucciderla. E allora l’eremita capisce: lei è la principessa Ciri, l’ultima erede al trono di Cintra, colei che, secondo la profezia, causerà il crollo dell’impero e riporterà la pace tra i popoli della terra. La giovane ha bisogno di protezione. E c’è solo una persona che possa aiutarla a compiere il suo destino: Geralt di Rivia…
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Gli umani approdati sulle spiagge nei pressi delle foci dello Jaruga e del Pontar avevano un proprio calendario: basato sulla luna, divideva l’anno in dodici mesi, che scandivano il ciclo del lavoro annuale dell’agricoltore, da gennaio, quando si fabbricavano i sostegni per le piante, al momento in cui il gelo trasformava la terra in una dura lastra gelata. Ma, pur dividendo l’anno e calcolando le date in maniera diversa, gli umani avevano accettato la ruota elfica e gli otto punti segnati sul suo cerchione. Imbaelk e Lammas, Saovine e Belleteyn, i due Solstizi e i due Equinozi del calendario elfico erano divenuti anche presso di loro feste importanti, date solenni. Si distinguevano tra le altre date come un albero solitario in un prato.
Perché a distinguerle era la magia.
Non era e non è un segreto che in quei giorni e in quelle notti l’aura magica acquista una forza straordinaria. Nessuno si stupisce più dei fenomeni magici e degli avvenimenti misteriosi che accompagnano le otto date, in particolare gli Equinozi e i Solstizi. Ormai tutti si sono abituati a certi fenomeni, che raramente suscitano grande scalpore.
Ma quell’anno andò diversamente.
Quell’anno gli umani celebrarono come al solito l’Equinozio d’Autunno con una solenne cena in famiglia, in occasione della quale sulla tavola dovevano comparire quanti più frutti possibile, sia pure in piccola quantità, tra quelli raccolti durante l’anno. Così imponeva la tradizione. Una volta consumata la cena e ringraziata la dea Melitele delle messi abbondanti, gli umani andarono a riposare. Fu allora che ebbe inizio l’orrore.
Subito prima della mezzanotte, si levò un vento terribile, si scatenò una bufera infernale; attraverso il fruscio degli alberi piegati fin quasi a terra, lo scricchiolio dei puntoni dei tetti e lo sbatacchiare delle imposte risuonavano urla, grida e lamenti lugubri. Le nuvole che venivano sospinte nel cielo assunsero forme fantastiche: le più ricorrenti erano le sagome di cavalli e unicorni al galoppo. La bufera non si placò per più di un’ora e, nel silenzio improvviso che seguì, la notte si animò del trillo e del frullo d’ali di centinaia di succiacapre, quei misteriosi uccelli che, secondo le credenze popolari, si radunano per cantare un diabolico lamento funebre a chi è in fin di vita. Questa volta il loro coro era talmente grande e potente, da far pensare che a morire fosse il mondo intero.
Mentre i succiacapre intonavano il loro lamento funebre con voci selvagge, le nuvole nascosero la volta celeste, spegnendo quanto restava della luce lunare. Fu allora che si levò lo spaventoso gemito di una beann’shie, annunciando una morte rapida e violenta, e attraverso il cielo nero come la pece si lanciò al galoppo la Caccia Selvaggia: un corteo di spettri dagli occhi di brace che cavalcavano scheletri di cavalli, tra i fruscii di mantelli e stendardi laceri. Come accadeva ogni quattro o cinque anni, la Caccia Selvaggia mieté molte vittime, ma questa volta fu terribile come non era stata da decenni: nella sola Novigrad si contarono più di duecento persone scomparse senza lasciar traccia.
Dopo che la Caccia fu passata al galoppo e le nuvole si furono dissipate, gli umani videro la luna: calante, come sempre durante l’Equinozio. Quella notte però aveva il colore del sangue.
La gente semplice si spiegava i fenomeni legati agli Equinozi in molti modi, che d’altronde si differenziavano notevolmente da una regione all’altra, a seconda delle caratteristiche delle demonologie locali. Anche gli astrologi, i druidi e i maghi avevano delle spiegazioni, ma per lo più erronee e abborracciate. Pochi, incredibilmente pochi erano coloro in grado di collegare tali fenomeni a fatti reali.
Sulle isole Skellige, per esempio, un numero esiguo di persone molto superstiziose scorgeva negli strani eventi l’annuncio di Tedd Deireádh, la fine del mondo, preceduta dalla battaglia di Ragh nar Roog, la guerra finale tra la Luce e le Tenebre. La violenta burrasca che sconvolse le isole nella notte dell’Equinozio d’Autunno fu considerata dai superstiziosi un’enorme onda provocata dalla prua del mostruoso Naglfar di Morhögg, il drakkar dalle fiancate costruite con unghie di cadavere che trasportava un esercito di spettri e demoni del Caos. Gli umani più colti o più informati associavano tuttavia la furia dei cieli e del mare alla persona della malvagia maga Yennefer e alla sua spaventosa morte. Altri ancora – i meglio informati – vedevano nel mare in tempesta il segno che stava morendo qualcuno nelle cui vene scorreva il sangue dei re delle isole Skellige e di Cintra.
In tutto il mondo, la notte dell’Equinozio d’Autunno fu inoltre una notte di visioni, incubi e allucinazioni, una notte di bruschi risvegli angosciosi e frementi di paura tra lenzuola stropicciate e fradicie di sudore.
Allucinazioni e risvegli di soprassalto non risparmiarono neppure le menti più lucide. A Nilfgaard, nelle Torri Dorate, l’imperatore Emhyr var Emreis si svegliò urlando. Al Nord, a Lan Exeter, il re Esterad Thyssen saltò giù dal letto strappando dal sonno la moglie, la regina Zuleyka. Lo stesso fece a Tretogor la superspia Dijkstra, che allungò subito la mano verso il suo stiletto, svegliando la moglie del ministro del tesoro. Nel grande castello di Montecalvo, la maga Filippa Eilhart saltò giù dal letto damascato senza interrompere il sonno della consorte del conte de Noailles. Si svegliarono – più o meno di colpo – il nano Yarpen Zigrin a Mahakam, il vecchio strigo Vesemir nella fortezza montana di Kaer Morhen, l’impiegato di banca Fabio Sachs nella città di Gors Velen e lo jarl Crach an Craite sul ponte del drakkar Ringhorn. Si svegliò la maga Fringilla Vigo nel castello di Beauclair, si svegliò la sacerdotessa Sigrdrifa nel tempio della dea Freyja, sull’isola di Hindarsfjall. Si svegliò Daniel Etcheverry, conte di Garramone, nella fortezza assediata di Maribor. Zyvik, decurione dello Stendardo Grigio, nel forte di Ban Gleán. Il mercante Dominik Bombastus Houvenaghel nella cittadina di Claremont. E molti, molti altri.
Tuttavia furono pochi gli individui in grado di collegare tutti questi fenomeni e avvenimenti a un fatto reale, concreto. E a una persona concreta. Il caso volle che tre di questi individui avessero trascorso la notte dell’Equinozio d’Autunno sotto lo stesso tetto. Nel tempio della dea Melitele a Ellander.
«I succiacapre…» gemette lo scrivano Jarre, gli occhi fissi nell’oscurità che ricopriva il parco del tempio. «Devono essere a migliaia, intere torme… Gridano per la morte di qualcuno… Per la suamorte… Lei sta morendo…»
«Non dire sciocchezze!» Triss Merigold si girò di scatto, sollevando il pugno serrato, e per un momento sembrò sul punto di spingere via il ragazzo o di colpirlo al petto. «Credi a queste sciocche superstizioni? Settembre è agli sgoccioli, i succiacapre si radunano prima di migrare! È assolutamente naturale!»
«Sta morendo…»
«Non sta morendo nessuno!» gridò la maga, impallidendo per l’ira. «Nessuno, capisci? Smettila di dire stupidaggini!»
Le adepte, svegliate dall’allarme notturno, affluivano nel corridoio della biblioteca. I loro volti erano seri, pallidi.
Ormai più calma, Triss mise una mano sulla spalla del ragazzo e strinse forte. «Jarre, sei l’unico uomo nel tempio. Noi tutte guardiamo a te in cerca di sostegno e aiuto. Non puoi avere paura, non puoi farti prendere dal panico. Controllati. Non deluderci.»
Lo scrivano fece un profondo respiro, nel tentativo di calmare il tremito delle mani e delle labbra. «Non è paura», sussurrò, evitando lo sguardo della maga. «Non ho paura, sono preoccupato! Per lei. Ho visto in sogno…»
«Anch’io», disse Triss stringendo le labbra. «Abbiamo fatto lo stesso sogno, tu, io e Nenneke. Ma non farne parola.»
«Il sangue sul suo viso… Tanto sangue…»
«Ti ho pregato di tacere. Sta arrivando Nenneke.»
La gran sacerdotessa si diresse verso di loro. Aveva il viso stanco. Alla muta domanda di Triss, rispose con un cenno negativo del capo. Accortasi che Jarre stava per parlare, lo anticipò: «Niente, purtroppo. Quando la Caccia Selvaggia è passata in volo sopra il tempio, si sono svegliate quasi tutte, ma nessuna ha avuto delle visioni. Neppure vaghe come le nostre. Va’ a dormire, Jarre, è inutile che tu stia qui. Ragazze, per favore, in dormitorio!» Si stropicciò il viso e gli occhi con tutte e due le mani. «Ah… L’Equinozio! Che notte infernale… Vatti a coricare, Triss. Non possiamo fare nulla.»
«Questa impotenza mi fa impazzire», disse la maga serrando i pugni. «Al pensiero che lei sta soffrendo da qualche parte, che perde sangue, che è minacciata… Maledizione, se sapessi cosa fare!»
Nenneke, gran sacerdotessa del tempio di Melitele, si girò. «A pregare hai provato?»
A sud, molto oltre i monti Amell, a Ebbing, in un paese chiamato Pereplut, nelle vaste paludi solcate dai fiumi Velda, Lete e Arete, in un luogo distante ottocento miglia a volo di cornacchia dalla città di Ellander e dal tempio di Melitele, sul far del mattino il vecchio eremita Vysogota fu bruscamente svegliato da un incubo. Una volta sveglio, non riuscì a ricordare il contenuto del sogno, ma una strana inquietudine gli impedì di riaddormentarsi.
«Fa freddo, freddo, freddo, brrr…» diceva tra sé Vysogota, camminando lungo un sentiero tra i giunchi. «Fa freddo, freddo, brrrr.»
Un’altra trappola vuota. Neppure un topo muschiato. La caccia si era rivelata un vero fallimento. L’eremita ripulì la trappola dalla melma e dalle lenticchie d’acqua borbottando imprecazioni e tirando su col naso gelato.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore polacco rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Andrzej Sapkowski.
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