Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il tribunale delle anime di Donato Carrisi. Il romanzo è pubblicato in Italia da TEA con un prezzo di copertina di 5,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è disponibile in eBook al prezzo di euro 9,99.
Il tribunale delle anime: trama del libro
Roma è battuta da una pioggia incessante. In un antico caffè, vicino a piazza Navona, due uomini esaminano lo stesso dossier. Una ragazza è scomparsa. Forse è stata rapita, ma se è ancora viva non le resta molto tempo. Uno dei due uomini, Clemente, è la guida. L’altro, Marcus, è un cacciatore del buio, addestrato a riconoscere le anomalie, a scovare il male e a svelarne il volto nascosto. Perché c’è un particolare che rende il caso della ragazza scomparsa diverso da ogni altro. Per questo solo lui può salvarla. Ma, sfiorandosi la cicatrice sulla tempia, Marcus è tormentato dai dubbi. Come può riuscire nell’impresa a pochi mesi dall’incidente che gli ha fatto perdere la memoria? Anomalie. Dettagli. Sandra è addestrata a riconoscere i dettagli fuori posto, perché sa che è in essi che si annida la morte. Sandra è una fotorilevatrice della Scientifica e il suo lavoro è fotografare i luoghi in cui è avvenuto un fatto di sangue. Il suo sguardo, filtrato dall’obiettivo, è quello di chi è a caccia di indizi. E di un colpevole. Ma c’è un dettaglio fuori posto anche nella sua vita personale. E la ossessiona. Quando le strade di Marcus e di Sandra si incrociano, portano allo scoperto un mondo segreto e terribile, nascosto nelle pieghe oscure di Roma. Un mondo che risponde a un disegno superiore, tanto perfetto quanto malvagio. Un disegno di morte. Perché quando la giustizia non è più possibile, resta soltanto il perdono. Oppure la vendetta. Questa è la storia di un segreto invisibile…
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L’ambulanza procedette lentamente lungo il giardino in stato di abbandono. Il lampeggiante risvegliò dall’oscurità statue di ninfe ricoperte di muschio e veneri mutilate, che salutarono il loro passaggio con sorrisi sbilenchi, protese in gesti eleganti e incompleti. Danzavano immobili, solo per loro.
Una vecchia villa li accolse come un approdo sicuro in mezzo alla tempesta. Non s’intravedevano luci all’interno. La porta, però, era aperta.
La casa li stava aspettando.
Erano in tre. Monica, giovane medico internista che quella notte era di turno al Pronto Soccorso. Tony, un infermiere professionista con alle spalle una lunga esperienza in interventi d’emergenza. E l’autista, che rimase sull’ambulanza mentre gli altri due sfidarono il temporale avviandosi verso la casa. Prima di varcare la soglia, richiamarono ad alta voce l’attenzione di chi vi abitava.
Nessuno rispose. Entrarono.
Odore stantio, la luce fioca e arancione di una fila di lampade che tracciavano un lungo corridoio di pareti scure. A destra, una scala conduceva al piano di sopra.
Nella stanza in fondo s’intravedeva un corpo esanime.
Si precipitarono per prestargli soccorso e si ritrovarono in un soggiorno con i mobili coperti da teli bianchi. Tranne una poltrona consunta, piazzata nel mezzo, proprio davanti al modello antiquato di un televisore. In realtà, tutto in quel posto sapeva di vecchio.
Monica si gettò carponi sull’uomo disteso a terra che respirava a fatica, chiamando accanto a sé Tony con tutto l’occorrente.
«È cianotico», constatò.
Tony si accertò che le vie respiratorie fossero sgombre, poi gli piazzò il pallone Ambu sulla bocca, mentre Monica gli controllava le iridi con una pila.
Sembrava avere al massimo cinquant’anni ed era incosciente. Indossava un pigiama a righe, pantofole di pelle e una vestaglia. L’aspetto era trasandato, la barba lunga di qualche giorno e i pochi capelli in disordine. In una mano stringeva ancora il cellulare con cui aveva chiamato il numero delle emergenze, lamentando forti dolori al torace.
L’ospedale più vicino era il Gemelli. Con un codice rosso, il medico di turno si aggregava al personale della prima ambulanza disponibile.
Per questo Monica era lì.
C’erano un tavolino ribaltato, una ciotola rotta, latte e biscotti sparsi ovunque, mischiati all’urina. L’uomo doveva essersi sentito male mentre guardava la tv e se l’era fatta addosso. Era un classico, aveva pensato Monica. Maschio di mezz’età, che vive solo, ha un infarto e, se non riesce a chiedere aiuto, di solito viene scoperto cadavere quando i vicini di casa cominciano a sentirne la puzza. Ma in quella villa isolata non sarebbe successo. Se non aveva parenti prossimi, potevano passare anni prima che qualcuno si accorgesse di quanto gli era accaduto. In ogni caso, sembrava una scena già vista e provò pena per lui. Almeno finché non gli aprirono la giacca del pigiama per praticargli il massaggio cardiaco. Sul torace era incisa una parola.
Uccidimi.
Medico e infermiere fecero finta di non vederla. Il loro compito era salvare una vita. Ma da quel momento impressero a ogni gesto una percettibile premura.
«La saturazione sta scendendo», disse Tony, dopo aver verificato i valori dell’ossimetro. Non gli arrivava aria nei polmoni.
«Dobbiamo intubarlo o lo perdiamo.» Monica prese il laringoscopio dalla borsa e si spostò dietro la testa del paziente.
In tal modo liberò la visuale dell’infermiere e scorse un lampo improvviso nei suoi occhi. Un turbamento che non riuscì a interpretare. Tony era un professionista allenato a ogni genere di situazione, eppure qualcosa l’aveva sconvolto. Qualcosa che stava proprio dietro di lei.
In ospedale tutti conoscevano la storia della giovane dottoressa e di sua sorella. Nessuno gliene aveva mai fatto parola, ma lei si accorgeva quando la osservavano con compassione e inquietudine, domandandosi in cuor loro come si potesse vivere con un simile peso.
In quel frangente, sul volto dell’infermiere c’era la stessa espressione, ma molto più spaventata. Così Monica si voltò per un istante, e vide anche lei ciò che aveva visto Tony.
Un pattino a rotelle, abbandonato in un angolo della stanza, che veniva dritto dall’inferno.
Era rosso, con le fibbie dorate. Identico al suo gemello che non era lì, ma in un’altra casa, in un’altra vita. Monica li aveva sempre trovati un po’ kitsch. Invece Teresa sosteneva che fossero vintage. Anche loro erano gemelle, così a Monica era sembrato di vedere se stessa quando il cadavere di sua sorella era stato ritrovato nella radura accanto al fiume, il mattino di un freddo dicembre.
Aveva solo ventun anni e l’avevano sgozzata.
Dicono che i gemelli sentano cose l’uno dell’altro, anche a chilometri di distanza. Ma Monica non ci credeva. Lei non aveva avvertito alcuna sensazione di paura o pericolo mentre Teresa veniva rapita una domenica pomeriggio, di ritorno da una pattinata con le amiche. Il suo corpo era stato rinvenuto un mese dopo con gli stessi abiti con cui era scomparsa.
E quel pattino rosso che era una grottesca protesi al piede del cadavere.
Per sei anni Monica l’aveva conservato, chiedendosi che fine avesse fatto l’altro e se mai un giorno si sarebbero ritrovati. Quante volte aveva provato a immaginare il volto della persona che l’aveva preso? Quante volte l’aveva cercato fra gli estranei che incontrava per strada? Col tempo, era diventato una specie di gioco.
Ora, forse, Monica si trovava di fronte alla risposta.
Guardò l’uomo disteso sotto di lei. Le sue mani screpolate e grassocce, i peli che gli spuntavano dalle narici, la macchia di urina sul cavallo dei pantaloni. Non aveva le sembianze di un mostro, come aveva sempre immaginato. Era fatto di carne. Un essere umano banale e con un cuore fragile, per giunta.
Tony la riportò indietro dai suoi pensieri. «Lo so cosa ti passa per la mente», le disse. «Possiamo smettere quando ti pare. E starcene qui ad aspettare che succeda ciò che deve accadere… Devi dirmelo tu. Non lo saprà nessuno.»
Era stato lui a proporlo, forse perché l’aveva vista esitare col laringoscopio in bilico sulla bocca ansimante dell’uomo. Ancora una volta, Monica osservò il suo torace.
Uccidimi.
Forse era l’ultima cosa che gli occhi di sua sorella avevano visto mentre la sgozzava come un animale da macello. Non una calda parola di conforto, come dovrebbe essere per ogni creatura umana che sta per lasciare per sempre questa vita. In quel modo, il suo assassino aveva voluto prendersi gioco di lei. E aveva gioito per questo. Forse anche Teresa aveva invocato la propria morte purché tutto finisse in fretta. Per la rabbia, Monica strinse forte il manico del laringoscopio, le nocche divennero bianche.
Uccidimi.
Quel vigliacco si era tatuato la parola sullo sterno ma, quando s’era sentito male, aveva chiamato i soccorsi. Era come tutti gli altri. Anche lui aveva paura di morire.
Monica scavò dentro di sé. Chi aveva conosciuto Teresa vedeva in lei solo un ingannevole duplicato, la statua di un museo delle cere, la copia di un rimpianto. Per i suoi, lei rappresentava ciò che sua sorella poteva essere e non sarebbe mai stata. La guardavano crescere e cercavano Teresa. Adesso Monica aveva un’occasione per distinguersi e liberare il fantasma della gemella che albergava in lei. Sono un medico, rammentò a se stessa. Avrebbe voluto trovare un barlume di pietà per l’essere umano disteso davanti a lei, o il timore di una giustizia superiore, oppure qualcosa che somigliasse a un segno. Invece si accorse di non provare nulla. Allora tentò di scovare disperatamente un dubbio, qualcosa che la convincesse che quell’uomo non c’entrava niente con la morte di Teresa. Ma, per quanto ci pensasse, esisteva solo una ragione per cui quel pattino rosso era lì.
Uccidimi.
E in quel frangente, Monica si rese conto di aver già preso la sua decisione.
Ore 6.19
La pioggia si abbatteva su Roma come un triste funerale. Lunghe ombre drappeggiavano i palazzi del centro storico, una sfilata di mute facciate lacrimose. I vicoli, attorcigliati come visceri intorno a piazza Navona, erano deserti. Ma a pochi passi dal chiostro del Bramante, le vetrine dell’antico Caffè della Pace si riflettevano sulla strada lucida.
All’interno, sedie tappezzate di velluto rosso, tavoli in marmo venato di grigio, statue neorinascimentali e i soliti avventori. Artisti, soprattutto pittori e musicisti, inquieti per quell’alba incompiuta. Ma anche bottegai e antiquari in attesa di aprire i loro esercizi lungo la via, e qualche attore che, rientrando da una nottata di prove in teatro, passava per un cappuccino prima di andarsene a dormire. Tutti in cerca di un po’ di consolazione per quel mattino cattivo, tutti intenti a conversare fra loro. Nessuno badava ai due estranei vestiti di nero, confinati a un tavolino di fronte all’entrata.
«Come vanno le emicranie?» domandò quello che sembrava più giovane.
L’altro smise di raccogliere col polpastrello i granelli di zucchero intorno a una tazzina vuota e si accarezzò istintivamente la cicatrice sulla tempia sinistra. «A volte non mi fanno dormire, ma direi che sto meglio.»
«Fai ancora quel sogno?»
«Tutte le notti», rispose l’uomo sollevando gli occhi di un azzurro profondo e malinconico.
«Passerà.»
«Sì, passerà.»
Il silenzio che seguì fu interrotto dal lungo fischio di vapore emesso dalla macchina per fare il caffè espresso.
«Marcus, è venuto il momento», disse il più giovane.
«Non sono ancora pronto.»
«Non si può più aspettare. Dall’alto mi chiedono di te, sono ansiosi di sapere a che punto sei.»
«Sto facendo progressi, no?»
«Sì, è vero: migliori ogni giorno di più, e questo mi conforta, credimi. Ma c’è molta attesa. Da te dipendono parecchie cose.»
«Ma chi si interessa tanto a me? Mi piacerebbe incontrarli, parlare con loro. Io conosco solo te, Clemente.»
«Ne abbiamo già discusso. Non è possibile.»
«Perché?»
«Perché si è sempre fatto così.»
Marcus tornò a toccarsi la cicatrice, come faceva tutte le volte che era inquieto.
Clemente si sporse verso di lui, costringendolo a guardarlo. «È per la tua sicurezza.»
«Per la loro, vorrai dire.»
«Anche, se vuoi metterla in questo modo.»
«Potrei diventare motivo d’imbarazzo. E non deve accadere, vero?»
Il sarcasmo di Marcus non indispettì Clemente. «Qual è il tuo problema?»
«Io non esisto.»
Lo disse con una dolorosa distorsione nella voce.
«Il fatto che solo io conosca il tuo volto ti rende libero. Non capisci? Loro sanno solo il tuo nome e per tutto il resto si affidano a me. Così non ci sono limiti al tuo mandato. Se non sanno chi sei, non possono ostacolarti.»
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore e regista pugliese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Donato Carrisi.