Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Tu, mio di Erri De Luca. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 8,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Tu, mio: trama del libro
Il ragazzo e il mare: l’avventura estiva di un adolescente del dopoguerra, l’incontro con la pesca, e con una ragazza più grande, col suo segreto, con il suo dolore per la perdita del padre in guerra, prima della fine delle vacanze. C’è un’estate brusca nell’età giovane in cui s’impara il mondo di corsa. In un’isola del Tirreno, in mezzo agli anni cinquanta del secolo, un pescatore che ha conosciuto la guerra e una giovane donna dal nome difficile, senza intenzione trasmettono a un ragazzo la febbre del rispondere. Qui si racconta una risposta, un eccomi, decisivo come un luogo di nascita.
Approfondimenti sul libro
In ebook Tu, mio (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 2,99 euro.
Nicola mi ha insegnato a pescare. La barca non era sua, era di zio, il mio. Nicola l’usava durante l’anno, poi iniziava la buona stagione e allora faceva da marinaio a zio le domeniche, le ferie d’estate. Di notte pescava totani, specie di calamari, con le lampare per farne esca al morso dell’amo.
Preparava la barca e si partiva di mattina presto. L’isola era muta e scendendo scalzo alla marina un ragazzo poteva sentirsi liscio per la pietra sotto i piedi, profumato per il pane che gli sfiorava il naso dai forni, adulto perché andava sul mare verso il largo e le profondità a maneggiare un’arte. Gli altri ragazzi andavano al mare più tardi perle ragazze e i bagni, i ricchi avevano motoscafi e giravano in tondo sui legni lucenti e i motori pieni di cavalli.
La barca di zio aveva un diesel lento che scoppiettava sulla bonaccia dell’alba e faceva vibrare l’aria intorno e a me dava il solletico al naso per la durata del viaggio. Ci si sedeva sul bordo un po’ buttati in fuori, anche se il mare si metteva contro e sbatteva di prua. Nicola si metteva in piedi sulla poppa e governava la barra del timone con le caviglie. Era il suo mestiere, aveva piede, nessun’onda gli impacciava l’equilibrio. Chi sapeva stare dritto su una piccola barca che andava contro mare aveva piede. Io l’avevo e qualche volta sulla via del ritorno mi facevano reggere il timone, mentre zio dormiva e Nicola rimetteva la barca in ordine, puliva i pesci.
Non era bello che un ragazzo tenesse timone. Bisognava scegliere il verso all’onda e farla passare liscia sotto la chiglia, senza farla sbattere. La barca sente i colpi, il legno soffre. Ma se il mare era quieto e niente barche in vista, allora mi offrivo per il timone e Nicola sbrigava il suo resto di lavoro.
Lui mi ha insegnato il mare grazie alla barca e al permesso di zio, che m’invitava perché me ne stavo zitto, non facevo imbrogliare la lenza, non facevo mosse se abboccava il pesce, non mi lamentavo del caldo, non facevo tuffi dalla barca, solo una calata brusca per rinfrescare. Mai chiedevo il pesce da portare a casa, il pesce era suo, poi di Nicola. Mai chiedevo se mi portava, ma era lui la sera prima a dire: vieni.
Nicola mi ha insegnato il mare senza dire: si fa così. Faceva il così e il così era giusto, non solo preciso ma bello da vedere, mai di fretta. Il così di Nicola aveva l’andatura delle onde, i suoi gesti facevano una rima che imparavo a intendere. Tagliava il totano a pezzi lunghi un’unghia, un taglio e uno striscio di piatto di lama per allontanarli, andava secondo un suo ritmo, assorto, uguale. I pezzi tagliati si seccavano al sole durante il viaggio verso il largo. Immorsava le esche al centro, coprendo l’amo fino all’attaccatura del nylon. E dopo la cattura, dalla bocca del pesce, dalla gola, recuperava l’esca, la riusava. E quasi senza occhi, le mani andavano da sole. Lui poteva guardare altrove, il lontano o niente, lasciando le mani a fare da sole. Quella era l’opera, il davanti, mentre il resto del corpo era solo un sostegno di pazienza.
In barca parlavano solo gli uomini, io ascoltavo le voci, non i discorsi, e i saluti scambiati con altri pescatori: “a’ re nuost”, sei dei nostri, un grido che ho sentito solo a mare.
Qualche pomeriggio andavo alla spiaggia dei pescatori e se trovavo Nicola da solo a preparare pesca mi fermavo vicino. Tra i resti del pescato, qualche gallina razzolava in cerca di una testa di alice da inghiottire insieme alla sabbia. Ero un ragazzo di città, ma d’estate m’inselvatichivo. Scalzo, la pelle dei piedi indurita come le carrube mangiate sull’albero, lavato all’acqua di mare, salato come aringa, un pantalone di tela blu, odore di pesce addosso, qualche squama in giro nei capelli, andatura a passi corti, da barca. In una settimana non avevo più una città d’origine. Me l’ero staccata di dosso insieme alla pelle morta del naso e della schiena, i punti dove il. sole si approfondiva fino alla carne.
Il sole è una mano di superficie, una carta vetrata chesgrossad’ estate la terra, la pareggia, la liscia, asciutta e magra a fior di polvere. Coi corpi fa lo stesso. Il mio esposto fino a sera si spaccava come un fico solo in qualche punto delle spalle e sul naso. Non ci mettevo oli solari che già c’erano allora, metà di anni cinquanta. Era da forestieri la spalmatura, il lucido sul corpo come un’alice passata nell’uovo prima di esserefritta. “Piscetiello addevantasse / int’o sciore m’avutasse/ m’afferrasse sta manella / me…
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Erri De Luca.
salve! quello che si legge sopra, accanto alla copertina, non è la trama di Tu, mio
Grazie Matilde,
abbiamo rimediato all’errore!