Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Tu, sanguinosa infanzia di Michele Mari. La raccolta di racconti è pubblicata in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 13,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Tu, sanguinosa infanzia: trama del libro
Il passato raccontato da Michele Mari è quello mitico e irrecuperabile dell’infanzia, eroso negli anni da una diaspora di oggetti e sentimenti il cui ricordo continua a sanguinare. Ma in questi racconti non c’è mai il rimpianto di una perduta età dell’oro, perché la violenza immaginifica dell’autore opera un recupero altissimo di emozioni infantili legate a un universo in cui le sole figure amiche sono quelle dei propri personali mostri e di pochi, semplici ma “fatidici” giocattoli. Ogni pagina spalanca abissi di malinconia dove fanno irruzione visioni fantastiche e terrificanti, in cui riecheggiano nitide le voci degli autori più amati, Stevenson, London, Poe, Melville. Così i giardinetti che accolgono gli svaghi pomeridiani dei bambini diventano lande inospitali, dove s’aggirano tremende creature mitologiche come le Antiche Madri; così un puzzle segna l’iniziazione a un’ascesi quasi monastica, così le copertine di Urania o le canzoni degli alpini diventano la palestra di ossessive elucubrazioni mentali, e tutto è tanto più feticisticamente inventariato quanto più la vita sembra cosa riservata ad altri.
Approfondimenti sul libro
L’ebook di Tu, sanguinosa infanzia (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
I giornalini
Quando seppe che sarebbe diventato padre, il professor *** si chiuse a lungo nel suo studio per riordinare le idee. Nell’incertezza del futuro uscí da quella stanza con una certezza: i giornalini, i cari giornalini della sua infanzia dovevano essere messi in salvo.
Da trent’anni l’amato malloppino occupava uno dei palchetti piú alti della sua vasta biblioteca, in una posizione che se relegava quegli album fra le impervie altitudini degli Urania e delle storie di mostri, anche li ingloriava di un’eminenza cui tutti gli altri libri – i libri «veri», i libri «seri» – dovevano inchinarsi. Il professore lo sapeva, che la nobiltà della sua biblioteca era costituita dalle cinquecentine e dagli in-folio barocchi, dai Parnasi zattiani e dalla beltà dei Bodoni, e che le sue cuspidi scientifiche avevano nome e sostanza di edizioni critiche e di edizioni nazionali; lo sapeva da tanto tempo, che quell’immensa famiglia era cresciuta attorno ai Silvestri e ai Sonzogno, alle Meduse e agli Struzzi, e che poi si era raffinata negli azzurrini oxoniensi e nel giallo-mattone delle Belles Lettres, nell’humana dovizia della Pléiade e dei Ricciardi o nel defunto rigore di Lerici. Però sapeva anche che senza quel fondamento originale la sua biblioteca – quindi la sua vita – sarebbe stata come un grande frutto senza picciuolo, quasi che staccate da quella tenera linfa aurorale le dotte scritture fossero destinate ad avvizzire, a rinsecchirsi. I fanciulli pascoliani non c’entravano, chiosava irritato fra sé: era piuttosto questione di sequenze corrette, di materiale giustificazione: non sarai titolare di un letto se non avrai dormito in un lettino, se non ti avrà contenuto una culla; non leggerai e non possederai Columella o Malebranche se non avrai letto e posseduto Collodi o Salgari. Lui nella casa di campagna ce li aveva ancora tutti i suoi lettini, allineati in una medesima stanza come un’allegoria delle età dell’uomo: e non avrebbe dovuto conservarsele sacre le sue prime letture? Non erano forse un documento – una prova! – della sua infanzia e insieme del suo angosciato dibattersi per non uscirne mai, da quella infanzia, mentre invece tutto aveva congiurato a strappargliela via a sangue a colpi di paure, di orrende prurigini, di ambigue conquiste intellettuali («Il risveglio epico»! «Il cammino dell’uomo»!), di botte da orbi? Sentiva in profondo che se la vita è corruzione ed abiura, dovrebbe essere altissimamente morale contrapporre alla sua ruina il movimento contrario del riscatto, del disseppellimento affettuoso.
E cosí era stato per quei suoi giornalini, gelosamente tutelati come uno dei suoi beni piú cari. Quante volte, sentendo un coetaneo esprimere una perplessa ignoranza sul destino dei propri antichi fumetti, aveva provato un impagabile senso di trionfo e di premio per non avere dilapidato, per non avere, come l’altro, ceduto all’umiliante ricatto della crescita in cambio del tradimento!
Ora però sarebbe arrivato un bambino. Alti com’erano i suoi giornalini erano fuori della portata ed anzi del guardo del futuro esserino, tuttavia era bastata una frase muliebre ad allarmarlo: «Pensa a quando i tuoi vecchi fumetti verranno buoni per Filippuccio». Verranno buoni? Sono stati, furono buoni – avrebbe voluto protestare – e serbano la loro bontà come una luminescenza perpetua. Ma non parlò, perché subito dovette obbedire al piú forte impulso di montare lassú a prendersele, quelle cose benedette sí inopinatamente insidiate. Ridisceso con tutto il blocco ci soffiò sopra per mandare via il grosso della polvere; poi sciolse lo spago che lo rilegava, e ancora una volta i cimeli si sparsero davanti ai suoi occhi commossi.
Li considerò attentamente. Tutti i Tintin; tutti gli album originali di Cocco Bill; tanti L’Uomo Mascherato, pochi Mandrake, un po’ di Nembo Kid, un po’ di Jeff Hawke, le prime tre annate di Linus, quel primo Paperepopea, quel primo Topolineide, due Zio Tibia, ancora qualcosa, ancora qualche sciolta reliquia. Come gli era sempre successo in simili occasioni, fu sufficiente un impercettibile supplemento di indugio su una copertina per cedere all’impulso di sollevarla: e sollevatala, per incominciare a rileggere quella storia; e incominciatala, per giungere fino in fondo. Rilesse cosí I sigari del faraone, poi Il cosacco Cocco Bill, poi Le sette sfere di cristallo: dopodiché – erano passate piú di due ore – si riscosse con un brivido penoso, sospirò profondamente, e disse a se stesso quanto segue: «È questo un cristallo di sogni, è questo l’unico lampo non triste della vita mia; son documenti, sono fossili di un’età che mi chiede la pietà di un omaggio; sono cadaverini che si rifiutano di morire; sono ciò che solo io so cosa sono. E questo dovrebbe venire “usato”? Dovrebbe tornare “attuale”, domani? Attuale! Questi coaguli mostruosi, questi sovrumani concentrati della mia malinconia, questi monumenti della mia solitudine, queste cose SACRE dovrebbero finire in mano di una creatura (amata, certo, consanguinea, anche) di una creatura sbavante che me li pasticcerà con osceni pastelli, con piú oscene penne biro? Sono pregne delle mie continuazioni e rielaborazioni, siffatte entità, incasellano irripetibili giorni, codeste vignette (amati quadrati, adorati rettangoli, emblémata della mia camera, insegne del letto mio), sí, sí, sono storia, museata chiosata laudatissima historia, sono una docta collectio (signata, schedata) che merita scienza, distanza, l’amor che si debbe ai classici (Tacito Proust Guicciardini, Soldino Geppetto Eta Beta), e sono, e son tradizione, e son religione. E son commozione. Basta. Li maneggio con cautela io che li ho posseduti, li palpo con guanti ideali, li sfoglio con pinze mentali come fossero inestimati papiri io che ne fui il signore, e altri dovrebbe stabilire con loro un rapporto pratico d’immediata fruizione, reificarli cosí? È tardi, ormai. Non ci si può piú divertire, con ciò ch’è fasciato dall’aura; non ci si può confondere carnalmente con l’oggetto del nostro culto, non si può piú interrogare quando solo si può contemplare. Perdonami Filippuccio venturo, ma se fra i giornaletti venturi (tu omologo ad essi, essi organici a te) io insinuassi questi antichissimi miei, tu non ne riconosceresti la categoriale diversità, la trascendenza immanente, l’assiologica superiorità; accostandoti ad uno di loro – questo meraviglioso Cocco Bill in Canada per esempio – tu non ti sussurreresti dentro: “Eccolo, ecco quel giornalino che torna” (e torna cosí, immutato e perfetto), non predisporresti tutto il tuo essere a una deglutizione golosa ed insieme dolente, no: diresti brutale: “Toh un giornalino, vediamo di cosa trattarsi vediamo se alletta”. Ma le sacre scritture, Filippo, non tollerano la critica dei moderni, e non lo tollero io che ne son sacerdote. L’oltraggio, Filippo, non sono soltanto i ghirigori o gli strappi: lo sono anche l’indifferenza, lo sguardo che unisce e non sa gerarchia, l’adiafora passività del profano. Chiudo gli occhi e ti vedo, fantasmino veloce che cerchi, che frughi, che trovi, che sfogli, ti vedo buttare lontano questo liso Uomo Mascherato dopo poche pagine, tu, sceso dai lombi miei, non impazzire d’amore per l’Uomo Mascherato! Ti ho visto: hai sbuffato, sei insofferente! Cerchi conforto – e lo trovi – in altre letture che non mi dicono nulla, roba che è tua e solo tua e allora io qui te la assegno ufficialmente, siano quelli i tuoi sogni, se da quel groviglio sarai capace di estrarre l’oro che io ho estratto dai miei giornalini mi complimento con te, la vita si azzera, vorrai mica ereditare l’emozione del babbo la memoria del babbo la coscienza del babbo per innestarle come una protesi nel cervellino tuo, vero? Dunque incomincia, che io qui concludo e sigillo, io adesso prendo il necessario e imballo tutto, seppellisco in cantina, sottraggo alla contaminazione del tuo spiritello (non amare i radiatori delle macchine nere di Tintin! non amare la kryptonite! non conoscere la dialettica che scintilla fra Dick Tracy e Fearless Fosdick!), nemmeno lo saprai, che in questa cassa ci sono i miei giornalini, non potrai nemmeno cercarli, mai sentirò domandarmi di mostrarteli almeno un momento… “un momento”! Come liquidare un’intera civiltà con un solo sguardo! Io sono Cocco Bill, capisci? E se tu a Cocco Bill non dedicassi l’infanzia com’è certo che non la dedicheresti, è come se rinnegassi tuo padre, come se a tavola, una sera, tu ti rivolgessi alla mamma e indicandomi con il cucchiaio imbrattato di semolino le chiedessi: “Mamma, chi è questo signore che mangia con noi?” Cocco Bill sono! Il capitano Haddock, sono! Poldo! Gancio! Brainiac! Non ti basta? Quel deficiente di Jimmy Olsen, sí, anche lui! Questo è tuo padre! Rispondi: la camomilla, chi la beveva? Le montagne di panini? Vorrai mica ti chieda: la naftalina? Ma tu non sai nulla, nulla di nulla, che ne sai tu dell’“Album de Il Giorno…
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Michele Mari.
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