Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Ultima sentenza di John Grisham. Il romanzo è pubblicato in Italia da Mondadori con un prezzo di copertina di 11,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è disponibile in eBook al prezzo di euro 7,99.
Ultima sentenza: trama del libro
La coppia di avvocati Wes e Mary Grace Payton ha puntato tutto sulla causa legale intentata dalla vedova Baker, cittadina di Bowmore, Mississippi, contro la Krane Chemical, colpevole di avere avvelenato la falda acquifera del paese e di avere causato decine di morti per cancro. Per quella causa gli avvocati Payton hanno rifiutato clienti, venduto la casa e le belle automobili, rinunciando a uno stile di vita che era sempre sembrato del tutto connaturato alla professione. Il primo grado del processo si conclude con una sentenza a favore della vedova, ma Carl Trudeau, azionista di maggioranza della Krane, non è uomo da arrendersi facilmente. Sa che tutto si gioca in corte d’appello. E se gli avvocati non bastano, basta mettere sul libro paga anche giudici e politici…
Dopo quarantadue ore di discussioni a seguito di un processo di settantun giorni, che aveva comportato cinquecentotrenta ore di deposizioni rese da una quarantina di testimoni, e dopo una vita intera trascorsa a sedere in silenzio mentre gli avvocati cavillavano, il giudice pontificava e gli spettatori scrutavano come falchi in cerca di segnali rivelatori, i giurati erano pronti. Chiusi a chiave nella saletta riservata, isolati e in totale sicurezza, dieci di loro firmarono orgogliosi il verdetto, mentre gli altri due se ne stavano rabbuiati nei rispettivi angoli, distaccati e scontenti nel loro dissenso. Ci furono abbracci, sorrisi e non poche congratulazioni reciproche perché erano riusciti a sopravvivere a quella piccola guerra e ora potevano rientrare con fierezza nell’arena con una decisione a cui erano arrivati per pura forza di volontà e testarda ricerca del compromesso. La dura prova era finita, il dovere civico adempiuto. Avevano servito al meglio delle loro capacità. Erano pronti.
Il portavoce bussò alla porta, scuotendo Zio Joe dal suo assopimento. Zio Joe, il vecchio ausiliario della giustizia, aveva fatto la guardia ai giurati, ne aveva ascoltato le lamentele, aveva trasmesso discretamente i loro messaggi al giudice e aveva anche provveduto ai pasti. Si vociferava che da giovane, ai tempi in cui il suo udito era migliore, Zio Joe avesse ascoltato di nascosto le discussioni delle giurie, origliando attraverso una sottile porta di legno di pino che lui stesso aveva scelto e installato. Ma ormai i giorni dell’ascolto erano finiti e, come aveva confidato solo alla moglie, dopo le fatiche di quel particolare processo non era escluso che decidesse di appendere definitivamente al chiodo la sua vecchia pistola. Lo stress del controllo della giustizia lo stava sfinendo.
L’ausiliario sorrise e disse: «Splendido. Adesso avverto il giudice», quasi che il giudice se ne fosse stato rintanato da qualche parte nei meandri del tribunale in attesa della chiamata di Zio Joe. Che invece, come d’uso, si rivolse a un’impiegata alla quale trasmise la meravigliosa notizia. Era veramente eccitante. Quel vecchio tribunale non aveva mai assistito a un processo così importante e così lungo. Concluderlo senza una decisione sarebbe stata un’autentica vergogna.
L’impiegata bussò delicatamente alla porta del giudice, poi fece un passo all’interno dell’ufficio e annunciò con orgoglio: «Abbiamo il verdetto», come se avesse preso parte personalmente ai faticosi negoziati e adesso ne stesse offrendo il risultato come un regalo.
Il giudice chiuse gli occhi ed emise un sospiro profondo e soddisfatto. Fece un sorriso felice e nervoso di enorme sollievo, quasi d’incredulità, e poi finalmente disse: «Convochi gli avvocati».
Dopo quasi cinque giorni di discussioni, il giudice Harrison si era rassegnato alla possibilità di una giuria incapace di decidere: il suo peggiore incubo. Trascorsi quattro anni di battaglie legali senza esclusione di colpi e quattro mesi di un processo combattutissimo, l’idea di un mancato verdetto lo faceva stare male. Non riusciva neppure a pensare alla prospettiva di dovere ricominciare tutto da capo.
Infilò i piedi nei vecchi mocassini, si alzò di scatto dalla poltrona sorridendo come un ragazzino e allungò la mano verso la toga. Era finita, il processo più lungo della sua variegata carriera si era concluso.
La prima telefonata dell’impiegata fu per lo studio legale Payton & Payton, una ditta marito-e-moglie che al momento aveva sede in un magazzino abbandonato in una delle zone più desolate della città. Fu un paralegale a rispondere. Ascoltò per qualche secondo, riattaccò e poi gridò: «La giuria ha il verdetto!». La sua voce echeggiò nel cavernoso labirinto di piccole postazioni di lavoro temporanee, facendo sobbalzare i colleghi.
Urlò di nuovo la stessa frase correndo verso “il Pozzo”, dove anche gli altri componenti dello studio stavano convergendo freneticamente. Wes Payton si trovava già lì e, quando sua moglie Mary Grace arrivò di corsa, gli sguardi dei due si incontrarono in una frazione di secondo di smarrimento e paura sfrenata. Due assistenti, due segretarie e una contabile si ritrovarono intorno al lungo, ingombro tavolo da lavoro e di colpo si immobilizzarono, guardandosi attoniti in faccia, ognuno in attesa che qualcuno parlasse.
Possibile che fosse veramente finita? Dopo che avevano aspettato per un’eternità, possibile che tutto terminasse così d’improvviso? Così bruscamente? Con una semplice telefonata?
«Propongo un momento di preghiera in silenzio» disse Wes. Tutti si presero per mano formando un cerchio serrato e pregarono come non avevano mai pregato prima. Le suppliche che si alzarono verso Dio Onnipotente erano formulate in modi diversi, ma la richiesta comune era di vittoria. Per favore, Signore, dopo tutto questo tempo, tutti questi sforzi, spese, paura e dubbi, per favore concedici una vittoria divina. E salvaci dall’umiliazione, dalla rovina, dalla bancarotta e dal cumulo di altri mali che comporterebbe un verdetto negativo.
La seconda telefonata dell’impiegata fu al cellulare di Jared Kurtin, l’architetto della difesa. Mr Kurtin si stava tranquillamente rilassando sul divano di pelle noleggiato per il suo ufficio provvisorio in Front Street, nel centro di Hattiesburg e a soli tre isolati dal tribunale. Stava leggendo una biografia e lasciava che le ore trascorressero a settecentocinquanta dollari l’una. Ascoltò con calma, richiuse il cellulare con uno scatto secco e ordinò: «Andiamo. La giuria è pronta». I suoi soldati in abito scuro scattarono sull’attenti e si disposero in fila per scortarlo verso un’altra schiacciante vittoria. Uscirono dall’ufficio senza fare commenti e senza preghiere.
Altre telefonate raggiunsero altri avvocati e poi i giornalisti. Nel giro di pochi minuti la voce era già arrivata in strada e andava diffondendosi rapidamente.
Da qualche parte vicino alla sommità di un alto palazzo in lower Manhattan, un giovanotto apparentemente in preda al panico piombò nel bel mezzo di un’importante riunione e sussurrò la notizia a Mr Carl Trudeau, il quale perse immediatamente interesse per gli argomenti in discussione, si alzò in piedi di colpo e annunciò: «Sembra che la giuria abbia raggiunto un verdetto». Uscì dalla sala, percorse il corridoio ed entrò in un’ampia suite d’angolo, dove si tolse la giacca, allentò la cravatta, si avvicinò a una finestra e attraverso la penombra del tardo pomeriggio guardò il fiume Hudson in distanza. Aspettò e, come al solito, si chiese in che modo tanta parte del suo impero potesse dipendere dalla saggezza di dodici cittadini medi del retrogrado Mississippi.
Per essere un uomo che sapeva così tanto, continuava a trovare sfuggente la risposta.
C’era gente che si affrettava verso il tribunale da ogni direzione, quando i Payton parcheggiarono nella strada dietro l’edificio. Rimasero in auto per un momento, tenendosi per mano. Per quattro mesi avevano cercato di non toccarsi mai nelle vicinanze del tribunale: qualcuno avrebbe potuto vedere. Un giurato o un giornalista. Era importante essere il più professionali possibile. La novità di una coppia di legali sposati sorprendeva la gente e i Payton cercavano di comportarsi tra loro come avvocati, non come coniugi.
E nel corso del processo c’erano state ben poche possibilità di toccarsi anche lontano dal tribunale, o da qualsiasi altra parte.
«Come ti senti?» chiese Wes senza guardare sua moglie. Il cuore gli martellava e si sentiva la fronte sudata. Stringeva ancora con forza il volante con la mano sinistra e continuava a ripetersi che doveva rilassarsi.
Rilassarsi. Si fa presto a dirlo.
«Non ho mai avuto tanta paura» rispose Mary Grace.
«Io neppure.»
Una lunga pausa, mentre tutti e due respiravano a fondo e osservavano il furgone di un’emittente televisiva che per poco non investiva un pedone.
«Possiamo sopravvivere a una sconfitta?» chiese Mary Grace. «È questa la domanda.»
«Dobbiamo sopravvivere, non abbiamo scelta. Ma non perderemo.»
«Bravo il mio ragazzo. Andiamo.»
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore statunitense rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a John Grisham.