L’uomo del labirinto: la trama
L’ondata di caldo anomala travolge ogni cosa, costringendo tutti a invertire i ritmi di vita: soltanto durante le ore di buio è possibile lavorare, muoversi, sopravvivere. Ed è proprio nel cuore della notte che Samantha riemerge dalle tenebre che l’avevano inghiottita. Tredicenne rapita e a lungo tenuta prigioniera, Sam ora è improvvisamente libera e, traumatizzata e ferita, è ricoverata in una stanza d’ospedale. Accanto a lei, il dottor Green, un profiler fuori dal comune. Green infatti non va a caccia di mostri nel mondo esterno, bensì nella mente delle vittime. Perché è dentro i ricordi di Sam che si celano gli indizi in grado di condurre alla cattura del suo carceriere: l’Uomo del Labirinto. Ma il dottor Green non è l’unico a inseguire il mostro. Là fuori c’è anche Bruno Genko, un investigatore privato con un insospettabile talento. Quello di Samantha potrebbe essere l’ultimo caso di cui Bruno si occupa, perché non gli resta molto da vivere. Anzi: il suo tempo è già scaduto, e ogni giorno che passa Bruno si domanda quale sia il senso di quella sua vita regalata, o forse soltanto presa a prestito. Ma uno scopo c’è: risolvere un ultimo mistero. La scomparsa di Samantha Andretti è un suo vecchio caso, un incarico che Bruno non ha mai portato a termine… E questa è l’occasione di rimediare. Nonostante sia trascorso tanto tempo. Perché quello che Samantha non sa è che il suo rapimento non è avvenuto pochi mesi prima, come lei crede.
L’Uomo del Labirinto l’ha tenuta prigioniera per quindici lunghi anni. E ora è scomparso.
Tony Baretta aveva chiesto di parlarle.
Sam si era rigirata nel letto per tutta la notte come l’indemoniata di alcuni film dell’orrore, provando a ipotizzare i motivi che spingevano uno dei ragazzi più carini della scuola – e del creato – a voler scambiare frasi di senso compiuto proprio con lei.
L’inizio dei fatti, però, doveva essere collocato al giorno precedente. Per prima cosa, la richiesta non era stata fatta direttamente a lei, e nemmeno da lui in persona. Fra i preadolescenti certe cose prevedevano il rispetto di regole precise. Certo, l’iniziativa partiva sempre dall’interessato. Ma poi c’era tutta una procedura. Tony si era servito di Mike, uno del suo giro, che l’aveva riferito a Tina, la compagna di banco di Sam. Tina poi l’aveva detto a lei. Una frase semplice, diretta, ma che, nell’imperscrutabile universo delle scuole medie, poteva significare molte cose.
«Tony Baretta vuole parlarti» le aveva sussurrato in un orecchio Tina durante l’ora di ginnastica, saltellando per la contentezza e con gli occhi e la voce che brillavano – perché una vera amica gioisce per le cose belle che ti riguardano come se fossero capitate a lei.
«Chi te l’ha detto?» aveva chiesto subito Sam.
«Mike Levin, mi ha fermata mentre tornavo dal bagno.»
Se Mike si era rivolto a Tina, la materia era confidenziale e doveva rimanere tale. «Ma cosa ti ha detto, esattamente?» aveva chiesto lei, per essere sicura che Tina avesse capito veramente bene – a scuola nessuno aveva dimenticato la storia della povera Gina D’Abbraccio, soprannominata «la vedova» perché quando un ragazzo le aveva chiesto se avesse o meno un cavaliere per il ballo di fine anno, lei aveva scambiato quella semplice curiosità per un invito, e così si era ritrovata in abito lungo di tulle color pesca ad attendere in lacrime un fantasma.
Tina aveva ribadito pedissequamente: «Mi ha detto: ’Di’ a Samantha che Tony vuole parlare con lei’».
Ovviamente, mentre commentavano la cosa, Samantha le aveva fatto ripetere quelle parole ancora e ancora. Proprio per avere la garanzia che Tina non avesse travisato o magari per timore che qualche alieno avesse deciso di clonare la sua compagna al solo scopo di burlarsi di lei.
Non era dato sapere il «quando» e il «dove» sarebbe avvenuta la chiacchierata con Tony, e ciò per Sam era un ulteriore elemento di frustrazione. Forse sarebbe accaduto nel laboratorio di scienze o in biblioteca, immaginava. Oppure dietro le gradinate della palestra dove Tony Baretta si allenava con la squadra di basket e Samantha con quella di pallavolo. Erano escluse entrata e uscita da scuola, e non sarebbe successo nemmeno in mensa o nei corridoi – troppi occhi e orecchie indiscreti. A pensarci bene, però, non possedere altri dettagli, oltre che una tortura, era anche il bello della cosa. Sam non avrebbe saputo descrivere meglio la strana alternanza di euforia e depressione che era seguita a quella semplice richiesta, perché l’argomento dell’incontro poteva essere una sorpresa o una delusione ma lei era comunque grata – sì, grata – per ciò che le stava capitando.
E stava capitando proprio a lei – Samantha Andretti – e non a qualcun altro!
Sua madre aveva torto nel dire che certe cose che succedono a tredici anni si apprezzano meglio da adulti, quando le rivedi nel passato. Perché al momento Sam era felice di una felicità che era soltanto sua, che nessun altro sulla faccia della terra avrebbe potuto comprendere o provare. E ciò faceva di lei una privilegiata… O, forse, una povera illusa che stava per andare a sbattere il muso contro un’atroce verità: in fondo, Tony Baretta era noto per fare lo sbruffone con le ragazze.
Il fatto era che lei a Tony non ci aveva mai pensato. Non in quel senso almeno. La natura aveva iniziato a operare misteriosamente sul suo corpo e Sam si era già abituata alla piccola condanna mensile che avrebbe dovuto scontare per gran parte della vita, ma fino a quel momento non aveva potuto apprezzare gli effetti positivi di quella «mutazione». Samantha non si era mai resa conto di essere carina – o forse lo sapeva anche prima, ma la cosa non era ancora rilevante. In realtà, le nuove forme che avevano iniziato a incuriosire i ragazzi erano una rivelazione anche per lei.
Tony se n’era accorto? Era a questo che mirava? Metterle le mani sotto la maglietta o – gesùperdonami e signoresantoaiutami – anche più sotto?
Ecco perché il mattino del 23 febbraio – il giorno dei giorni! –, mentre spossata dall’insonnia osservava il bagliore dell’alba invadere il soffitto della propria stanza, Sam si era persuasa che la frase di Tony Baretta non fosse reale, bensì solo il frutto di un’allucinazione. O, probabilmente, lei ci aveva pensato troppo e, nel passaggio fra i meandri della fervida fantasia di ogni preadolescente, l’idea aveva perso credibilità. C’era un solo modo per scoprire se si era ingannata. E per questo non doveva far altro che sollevare il proprio corpo stanco da un letto di sudore, prepararsi e andare a scuola.