Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La vendetta di Anne Holt. Il volume è pubblicato in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
La vendetta: trama del libro
Tra maggio e giugno, in una Oslo oppressa da una anomala ondata di calore, una serie di crimini raccapriccianti tengono in stato di tensione le forze di polizia. Da settimane infatti, ogni sabato sera, qualcuno si diverte ad attirare la polizia in locali inondati di sangue e con le pareti imbrattate da strane cifre. Ma a inquietare Hanne Wilhelmsen è soprattutto un caso di stupro. Non che l’ispettrice non sia abituata ai casi di violenza sulle donne che, anzi, le vengono regolarmente affidati per le sue spiccate capacità empatiche. Ma quello della giovane donna segregata per una intera notte in casa propria, in uno dei quartieri più eleganti della città, e seviziata brutalmente da uno sconosciuto, ha qualcosa di particolarmente efferato. In più, il padre della ragazza, incapace di accettare una simile violenza verso la figlia, ha deciso di portare avanti una sua indagine privata, con l’intenzione di farsi giustizia da sé. E l’ispettrice Hanne Wilhelmsen ha i minuti contati…
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Per il momento, l’aria sembrava inconsapevole del sorgere imminente di un nuovo giorno, e possedeva ancora quella strana trasparenza tipica delle mattine primaverili a circa sessanta gradi di latitudine nord. Anche se era presto per prevedere la temperatura, tutto lasciava presagire che, pure quel giorno, a Oslo avrebbe fatto molto caldo.
La detective Hanne Wilhelmsen, comunque, aveva ben altro per la testa. Se ne stava immobile, rimuginando sul da farsi. C’era sangue dappertutto. Sul pavimento. Sui muri. Persino sul soffitto non intonacato, dove si notavano macchie scure simili ai disegni astratti di un test psicologico. Alzò il capo e ne fissò una proprio sopra di lei: assomigliava a un bue rosso porpora, con tre corna e la parte posteriore del corpo deformata.
Si sentiva come pietrificata, sia per lo sconcerto, sia per la paura di scivolare sul pavimento liscio.
– Fermo! – ordinò bruscamente a un poliziotto piú giovane, il cui colore di capelli si intonava alla perfezione con quell’ambiente bizzarro, prima che toccasse il muro. Un raggio di luce polveroso filtrò da una piccola fessura nel tetto diroccato e illuminò la parete sul fondo, talmente imbrattata di sangue da far pensare, piú che a disegni, a un maldestro lavoro di tinteggiatura.
– Vattene! – intimò poi all’inesperto collega, colpevole di aver stampigliato le proprie orme su ampi tratti del pavimento, e si morse la lingua per non caricare la dose. – Cerca di non lasciare altre tracce, uscendo…
Qualche minuto piú tardi, anche lei fece il percorso a ritroso, con estrema cautela. Mandò il collega a procurarsi una torcia elettrica, quindi si fermò un attimo sulla soglia.
– Volevo solo pisciare, – piagnucolò l’uomo che aveva dato l’allarme.
Se n’era rimasto fuori dalla legnaia, buono buono ad aspettare, ma ora pareva cosí irrequieto che Hanne Wilhelmsen ebbe il sospetto che non fosse ancora riuscito a soddisfare i propri bisogni.
– Il cesso è lí, – le disse lui, fornendole un’indicazione del tutto superflua. Le esalazioni che provenivano da uno dei troppi gabinetti esterni ancora esistenti a Oslo avevano la meglio persino sull’odore dolciastro e nauseabondo del sangue. La porta col cuoricino intagliato si trovava proprio di fianco a loro.
– Va’ pure, – gli concesse, ma lui non se la sentí.
– Come ti stavo dicendo, volevo solo pisciare. Poi mi sono accorto che la porta era aperta.
Indicando esitante la legnaia, l’uomo fece un passo indietro, come se all’interno si annidasse una bestia spaventosa che potesse all’improvviso spalancare le fauci e inghiottirgli il membro in un boccone.
– Di solito la porta è chiusa, ma non a chiave, solo accostata; capisci, è cosí pesante che si blocca da sola… Però non vogliamo che cani o gatti randagi rimangano intrappolati là dentro, per cui ci facciamo attenzione.
Un sorriso sghembo si dipinse sul viso rozzo dell’uomo. Meglio far sapere a quella poliziotta che pure lí, in quel caseggiato, rispettavano regole precise e ci tenevano all’ordine, sebbene fossero sul punto di perdere definitivamente la battaglia contro il degrado.
– Ho sempre abitato qui, – precisò con un pizzico di orgoglio nella voce. – Me ne accorgo subito quando qualcosa è fuori posto.
In attesa di un cenno d’approvazione, continuò a osservare la giovane donna, molto carina e cosí diversa dai poliziotti che aveva incrociato fino a quel momento.
– Bravo, – lo incoraggiò Hanne. – Sei stato molto gentile a telefonarci per dirci che cosa avevi scoperto.
L’uomo esibí un ampio sorriso e lei notò che era quasi completamente sdentato; un fatto piuttosto strano, considerato che non era poi cosí vecchio: sulla cinquantina, piú o meno.
– Stavo per mettermi a vomitare, con tutto quel sangue… davvero.
Scosse il capo per farle comprendere come fosse rimasto inorridito nel trovarsi di fronte a uno spettacolo cosí macabro.
Hanne lo capiva, eccome. Il collega dai capelli rossi era tornato con la torcia. Lei l’afferrò con entrambe le mani e con il fascio di luce esplorò in modo sistematico le pareti del locale, da un lato all’altro, dall’alto verso il basso. Quindi esaminò minuziosamente il soffitto, almeno per quanto era possibile dalla soglia, per poi setacciare ogni centimetro del pavimento.
La stanza era completamente vuota, non c’era nemmeno un ceppo di legno, solo schegge e polvere che facevano capire a che cosa fosse stata adibita in origine. Tutto sembrava indicare che fosse inutilizzata da parecchio tempo. Quando Hanne ebbe ispezionato con la torcia ogni angolo del locale, vi entrò nuovamente, attenta a ripercorrere le orme che aveva lasciato in precedenza. Con un gesto impedí al collega di seguirla. Si accovacciò in mezzo alla stanza, grande all’incirca una cinquantina di metri quadrati, e diresse il fascio di luce contro la parete di fronte a lei, a un metro da terra. Dalla soglia aveva intravisto una scritta, forse alcune lettere poco leggibili, tracciate con del sangue poi colato lungo il muro.
Non erano lettere, bensí numeri. Otto cifre, per l’esattezza: 91043576. Il nove, tuttavia, avrebbe potuto essere anche un quattro. L’ultima cifra sembrava un sei, ma era solo un’ipotesi azzardata, magari si trattava di un otto.
Hanne si alzò e indietreggiò fino a trovarsi di nuovo all’aperto, alla luce del giorno che ormai avanzava a grandi passi. Da una finestra socchiusa al terzo piano le giunse il pianto di un neonato, e rabbrividí al pensiero che un bambino dovesse vivere in un quartiere simile. Un pakistano con indosso la divisa dell’azienda tranviaria uscí dal caseggiato di cemento e li guardò incuriosito per un istante, prima di realizzare di essere in grande ritardo e allontanarsi trafelato lungo il vialetto. Dai riflessi di luce sui vetri delle finestre ai piani superiori, Hanne si rese conto che il sole era finalmente sorto. Alcuni uccellini grigi, sopravvissuti chissà come alla vita grama della zona piú interna della città vecchia, cinguettavano timidamente da una betulla scheletrica, i cui rami si tendevano invano verso i raggi di luce mattutina.
– Cazzo, ci hanno proprio dato dentro! – esclamò il giovane poliziotto, e sputò, cercando invano di liberarsi del sapore di fogna che gli impastava la bocca. – Qui deve esserci stata una vera e propria carneficina!
Sembrava soddisfatto della propria intuizione.
– Molto probabile, – rispose Hanne Wilhelmsen in tono sommesso. – Sí, può darsi che qui sia accaduto qualcosa di grave, ma per il momento…
Si interruppe e si voltò verso il collega.
– Per il momento, non possiamo sostenere che c’è stato un crimine. Per dirlo, avremmo bisogno di un cadavere, e finora non ce n’è traccia. In linea di massima, si tratta solo di un atto di vandalismo. Certo che…
Ancora una volta, lanciò uno sguardo verso l’interno della legnaia.
– Be’, può sempre darsi che salti fuori qualche indizio. Chiama la scientifica. Meglio evitare sorprese.
Rabbrividí leggermente, piú al pensiero di cosa potesse essere accaduto lí dentro che non per l’aria fresca del mattino. Si chiuse meglio la giacca. Ringraziò di nuovo l’uomo sdentato per averli avvisati, poi, da sola, percorse a piedi i trecento metri che la separavano dalla centrale di polizia. Quando ebbe attraversato la strada e si trovò in piena luce del sole, si sentí meglio. Nelle vie riecheggiavano voci di donne in urdu, punjabi e arabo. Un’atmosfera cosmopolita. Un venditore ambulante si accingeva a iniziare l’ennesima lunga giornata di lavoro, senza curarsi delle funzioni religiose e delle disposizioni comunali, e aveva già imbandito tutta la sua mercanzia sul marciapiede. Le sorrise amichevolmente, mettendo in mostra i denti candidi; le porse un’arancia e alzò le sopracciglia con aria interrogativa.
Hanne Wilhelmsen fece cenno di no col capo e gli sorrise di rimando. Un gruppo di quattordicenni avanzava rumorosamente sul selciato, trainando carrelli blu colmi di copie dell’«Aftenposten», il quotidiano di Oslo. Due donne velate camminavano a passo spedito verso una meta imprecisata, a occhi bassi, ma fecero una vistosa deviazione per scansare la detective: era insolito vedere una donna bianca in giro a quell’ora del mattino. Per il resto, non c’era anima viva. Con un tempo cosí, persino un quartiere come Tøyen aveva un che di placido, una sua inedita suggestione.
Sicuramente, sarebbe stata un’altra splendida giornata di sole.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice norvegese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Anne Holt.
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