Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Veronika decide di morire di Paulo Coelho. Il romanzo è pubblicato in Italia da Bompiani con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è in vendita in eBook al prezzo di euro 7,99.
Veronika decide di morire: trama del libro
Il giorno 11 novembre del 1997 Veronika, ventiquattro anni, slovena, capisce di non voler più vivere e assume una forte dose di sonniferi. Salvata per caso, si risveglia tra le mura dell’ospedale psichiatrico di Villete, con il cuore stanco e sofferente per il veleno che lei gli ha somministrato. In pochi oiorni a Villete Veronika scopre un universo di cui non sospettava l’esistenza. Conosce Mari, Zedka, Eduard, persone che la gente “normale” considera folli, e soprattutto incontra il dottor Igor, che attraverso una serie di colloqui cerca di eliminare dall’organismo di Veronika l’Amargura, l’Amarezza che la intossica privandola del desiderio di vivere. Veronika spalanca così le porte di un nuovo mondo, un mondo che, attraversato con la consapevolezza della morte, la spinge, sorprendentemente, alla consapevolezza della vita. Fino alla conquista del dono più prezioso: sapere vivere ogni giorno come un miracolo.
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Dal comodino prese le quattro confezioni di compresse per dormire. Invece di scioglierle nell’acqua, decise di inghiottire una pasticca dopo l’altra, perché esiste un’enorme distanza fra l’intenzione e l’atto, e lei voleva essere libera di pentirsi a metà strada. Eppure, a ogni compressa che inghiottiva, si sentiva sempre più convinta: dopo cinque minuti, le scatole erano vuote.
Visto che non sapeva esattamente dopo quanto tempo avrebbe perso conoscenza, aveva posato sul letto il numero di quel mese della rivista francese Homme, da poco arrivato nella biblioteca in cui lei lavorava. Benché non avesse alcun interesse particolare per l’informatica, sfogliando il giornale aveva scoperto un articolo su un gioco per computer – un CD-Rom, lo chiamavano – ideato da Paulo Coelho, uno scrittore brasiliano che lei aveva avuto occasione di conoscere durante una conferenza presso il caffè dell’Hotel Grand Union. Avevano scambiato qualche parola e, alla fine, Veronika era stata invitata a una cena dall’editore di Coelho. Poiché il gruppo era numeroso, non c’era stata alcuna possibilità di approfondire un qualsiasi argomento.
Il fatto di aver conosciuto lo scrittore, però, la portava a pensare che lui facesse parte del suo mondo, e leggere qualcosa sul suo lavoro poteva aiutarla a passare il tempo. Mentre aspettava la morte, Veronika cominciò a scorrere alcuni articoli di informatica, un campo per il quale non nutriva il minimo interesse: ciò corrispondeva perfettamente a quello che aveva fatto per tutta la vita, vale a dire cercare sempre la cosa più facile, più a portata di mano. Come quella rivista, per esempio.
Con sua grande sorpresa, però, la prima riga del testo la riscosse dalla sua naturale apatia – i sonniferi non le si erano ancora sciolti nello stomaco; comunque Veronika era abulica per natura – e, per la prima volta nella vita, la spinse a considerare la veridicità di una frase all’epoca molto in uso fra i suoi amici: “A questo mondo, nulla accade per caso.”
Perché quella prima riga, proprio nel momento in cui aveva iniziato a morire? Qual era il messaggio occulto che lei aveva davanti agli occhi, ammesso che esistano messaggi occulti e che, invece, non siano coincidenze?
Sotto un’illustrazione del gioco per computer, il giornalista iniziava l’articolo domandando: “Dov’è la Slovenia?”
“Nessuno sa dov’è la Slovenia,” pensò Veronika. “Neanche lui.”
Ma la Slovenia comunque esisteva, ed era là fuori – o là dentro –, nelle montagne che la circondavano e nella piazza davanti ai suoi occhi: la Slovenia era il suo paese.
Ripose la rivista: non le interessava indignarsi con un mondo che ignorava totalmente l’esistenza degli sloveni; adesso l’onore della sua nazione non la riguardava più. Per lei, era giunto il momento di essere orgogliosa di se stessa, sapendo che ce l’aveva fatta, che finalmente aveva avuto il coraggio: stava lasciando questa vita. Che gioia! E lo stava facendo nel modo che aveva sempre sognato: con quelle compresse, che non lasciano segni.
Veronika aveva cercato di procurarsi le compresse per quasi sei mesi. Pensando di non riuscire a ottenerle, era giunta a considerare la possibilità di tagliarsi le vene. Sapeva che avrebbe riempito la camera di sangue, e provocato confusione e preoccupazione nelle suore: in un suicidio bisogna pensare prima a se stessi e poi agli altri. Era disposta a fare il possibile perché la propria morte non causasse molto scompiglio, ma se tagliarsi le vene era l’unica possibilità, allora non poteva davvero far altro – le suore avrebbero poi pensato a ripulire la camera e a dimenticare ben presto quella storia, altrimenti avrebbero avuto difficoltà a riaffittarla. In fin dei conti, pur essendo alla fine del ventesimo secolo, le persone credevano ancora nei fantasmi.
Certo, avrebbe potuto anche lanciarsi da uno dei pochi grattacieli di Lubiana, ma che dire dell’ulteriore sofferenza che avrebbe finito per causare ai suoi genitori? Oltre allo shock di scoprire che la figlia era morta, sarebbero stati costretti a identificare un corpo sfigurato: no, questa era una soluzione peggiore che lasciarsi dissanguare fino alla morte, perché avrebbe provocato dei segni indelebili in due persone che volevano soltanto il suo bene.
“Alla morte della figlia finiranno per abituarsi; un cranio fracassato, invece, dev’essere proprio impossibile da dimenti-care.”
Rivoltellate, salti da un palazzo, impiccagione: nessuna di queste cose si adattava alla sua natura femminile. Le donne, quando si uccidono, scelgono sistemi molto più romantici, come tagliarsi le vene, o prendere una dose massiccia di sonniferi. Le principesse abbandonate e le attrici di Hollywood ne avevano dato vari esempi.
Veronika sapeva che in fondo la vita si riduce all’attesa del momento giusto per agire. E così era stato: due amici, sensibilizzati dalle sue lamentele riguardo al fatto che non riusciva più a dormire, le avevano procurato due scatole ciascuno di un potente medicinale – un barbiturico –, usato dai musicisti di un locale del posto. Veronika aveva tenuto le quattro scatole nel comodino per una settimana, pregustando la morte che si avvicinava e congedandosi, senza alcun sentimentalismo, da ciò che chiamavano “vita”.
Adesso era lì, contenta di essersi spinta fino in fondo, ma anche leggermente infastidita perché non sapeva che cosa fare di quel poco tempo che le restava. Ripensò all’assurdità di quanto aveva appena letto: com’è possibile che un articolo su un videogame possa iniziare con una frase tanto idiota: “Dov’è la Slovenia?”
Visto che non trovò niente di più interessante per cui preoccuparsi, decise di leggere tutto l’articolo: il gioco era stato prodotto in Slovenia – questo strano paese che nessuno sembrava saper collocare, eccetto chi ci viveva – per via della mano d’opera più economica. Alcuni mesi prima, per il lancio del prodotto, il produttore francese aveva organizzato un ricevimento per i giornalisti di tutto il mondo in un castello a Vled.
Veronika si ricordò di aver sentito parlare di quella festa: si era trattato di un avvenimento speciale in città, non solo perché il castello era stato restaurato in modo da riportarlo allo splendore dell’ambiente medievale del famoso CD-Rom, ma anche per la polemica che ne era seguita sulla stampa locale. C’erano corrispondenti tedeschi, francesi, inglesi, italiani, spagnoli, ma non era stato invitato nessun giornalista sloveno.
L’articolista di Homme – al suo primo viaggio in Slovenia, sicuramente spesato di ogni cosa e deciso a trascorrere il tempo celiando con altri giornalisti, parlando di argomenti ipoteticamente interessanti, mangiando e bevendo gratis nel castello – aveva deciso di iniziare il testo con una battuta che di sicuro avrebbe divertito molto i sofisticati intellettuali del suo paese. Probabilmente aveva anche raccontato agli amici della redazione alcune storie non veritiere sui costumi locali, o sul modo piuttosto trascurato in cui si vestono le donne slovene.
Fatti suoi. Veronika stava per morire, e le sue preoccupazioni dovevano essere altre: come scoprire se esiste una vita dopo la morte, oppure a che ora il suo corpo sarebbe stato ritrovato. Era anche per questo – anzi, forse proprio per questo, per l’importante decisione che aveva preso – che quell’articolo la infastidiva.
Guardò fuori dalla finestra del convento che si affacciava sulla piccola piazza di Lubiana. “Se non sanno dov’è la Slovenia, Lubiana dev’essere un mito,” pensò. Come Atlantide, o come la Lemuria, oppure come i continenti perduti che popolano l’immaginazione degli uomini. In nessun posto del mondo, un giornalista avrebbe iniziato un articolo domandando dov’è il monte Everest, anche se non ci era mai stato. Eppure, al centro dell’Europa, il corrispondente di un’importante rivista non si vergognava di porre una domanda del genere, perché sapeva che la maggior parte dei suoi lettori ignorava dove fosse la Slovenia. E tanto più Lubiana, la sua capitale.
Fu allora che Veronika scoprì come passare il tempo, visto che erano già trascorsi dieci minuti senza che le fosse stato possibile avvertire una qualche modificazione nel suo organismo. L’ultimo atto della sua vita sarebbe stata una lettera a quella rivista, in cui spiegava che la Slovenia era una delle cinque repubbliche nate dalla divisione dell’ex Jugoslavia.
Avrebbe lasciato quella lettera come ultimo scritto. E comunque non avrebbe dato alcuna spiegazione sui veri motivi della sua morte.
Al ritrovamento del suo corpo, tutti avrebbero tratto la conclusione che si era uccisa perché una rivista non sapeva dove fosse il suo paese. Rise all’idea di assistere a una polemica sui giornali, con la gente a favore e contro quel suicidio in nome di una causa nazionale. Fu impressionata dalla rapidità con cui aveva cambiato idea, giacché qualche attimo prima la pensava esattamente al contrario: il mondo e i problemi geografici ormai non la riguardavano più.
Scrisse la lettera. Quel momento di buon umore quasi la spinse a pensieri diversi sull’opportunità di morire, ma ormai aveva ingerito le compresse: era troppo tardi per tornare indietro.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore brasiliano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Paulo Coelho.
La vita è come un Miracolo, non ci è concessa nessuna libertà solo quella di viverla… ogni giorno come un miracolo concessa a pochi… Perché difronte all’universo è troppo breve da poterla assaporare tutta! Chi si uccide non lo potrà mai sapere….