Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di È una vita che ti aspetto di Fabio Volo. Il romanzo è pubblicato in Italia da Mondadori con un prezzo di copertina di 11,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è disponibile in eBook al prezzo di euro 6,99.
È una vita che ti aspetto: trama del libro
Il percorso di Francesco è quello di molti ragazzi d’oggi, che si accorgono di esistere senza vivere davvero, come se mancasse loro qualcosa, e un giorno decidono che così non va. Ha un lavoro stressante, amche se remunerativo, che fa per comprarsi cose che gli riducano lo stress. Ha storie con tipe tanto diverse tra loro. Sente il bisogno di star solo ma ha paura di essere “tagliato fuori”, adora i genitori ma non è mai riuscito a comunicare con il padre, si fa le canne ma vuole smettere di fumare…
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Queste sono state le prime parole che ho detto guardando in faccia Giovanni quando sono entrato nel suo ambulatorio, qualche giorno dopo che mi aveva fatto fare delle analisi.
Era parecchio che aspettavo l’esito, e non nascondo che avevo anche avuto paura. In quei giorni sono stato molto agitato.
Non è facile per me capire da che punto devo partire a raccontare questa storia. Non so dove sia esattamente l’inizio. Non so se cominciare da una decisione, o dai pensieri che la fanno nascere, o dai sintomi che fanno nascere i pensieri, o da disagi, crisi… Adamo ed Eva.
Innanzitutto, vorrei esternare lo stato d’animo che sto provando adesso nel trovarmi di fronte a queste pagine bianche. Di fronte a questa incognita. Chissà come le riempirò? Cosa c’è di meglio che essere curiosi di se stessi?
Pagina bianca come la vita. Le amo entrambe perché sono curioso di vedere come va a finire.
Posso riempirle con cose stupide, discorsi o frasi di senso compiuto, o anche mettere parole a caso. Senza regole, senza limiti. Citofono. Barchetta. Fiore. Suora. Balcone. Prima era bianco, adesso c’è una parola. Una parola che prima non c’era.
Fatta questa premessa, posso iniziare a raccontare la mia storia. Non la mia vita. Solo una piccola storia della mia vita. Perché se non mi fosse capitata avrei continuato a credere che queste cose non succedano.
Mi chiamo Francesco, ma tutti da sempre mi chiamano Checco, e circa cinque anni fa, alla giovane età di ventotto anni, vivevo una vita che si potrebbe, senza farsi troppe pippe mentali, definire “NORMALE”. Dico pippe mentali perché ogni volta che si usa la parola “NORMALE” c’è sempre qualcuno che chiede: ma cos’è normale? E giù filosofia a fiumi.
Per normale intendo senza grandi traumi o shock. Normale.
Mi ero laureato in Economia e commercio discutendo la tesi: Il metodo di coordinamento economico: l’elasticità della microeconomia.
Lavoravo da qualche anno per una società di leasing. La Finalta. Avevo una Golf 1.9 turbodiesel high-line, grigia, 115 cavalli, cambio automatico tiptronic. Autoradio con navigatore, cerchi del 19 in lega. Tettuccio apribile e fari allo xeno.
Il motivo per cui avevo una macchina così superaccessoriata è che l’ho comprata da un mio cliente che mi ha fatto un prezzo talmente basso che non ho potuto rifiutare. In più, ho scaricato fiscalmente parte del valore della vettura recuperando l’IVA.
Avevo anche una bici da corsa e sempre la mia vecchia Vespa 50 che ho comprato quando avevo quindici anni. Vivevo da solo in un bilocale che pagavo con un mutuo di quindici anni al 7% di interesse euribor a sei mesi + 1,30 di spread.
Alla lettura del contratto, il giovane notaio figlio del notaio, dopo aver elencato una serie di punti che non ho nemmeno capito perché andava troppo velocemente, ha incassato un assegno di circa otto milioni di lire. Sette milioni e settecentomila per la precisione.
Pare che i notai guadagnino molto perché hanno dovuto studiare parecchio. Sembra che quel parecchio sia a spese nostre. Forse pensano che, quando loro stavano studiando, noi eravamo in giro a non fare un cazzo.
Il bilocale è al secondo piano di una palazzina con giardinetto di ghiaia che però dal mio appartamento non vedo perché le stanze danno sulla strada. Quando torno a casa, passeggiando nel giardinetto sento lo scricchiolio dei sassettini. A occhi chiusi so distinguere il rumore di passi, di biciclette o quello di passeggini.
Riesco addirittura a indovinare se chi cammina è giovane o anziano. Ho un margine d’errore talmente basso che potrei presentarmi a qualche programma televisivo. Se non fosse che ho vergogna delle telecamere, già mi vedrei: “Signore e signori, è qui con noi anche questa sera il campione dei campioni, l’uomo che grazie al suo straordinario talento ha vinto un montepremi di cinquecentomila euro, il signor Checcoooo… un applausooo. E ora vaiii con la passeggiata misteriosa…”.
Nell’atrio della palazzina, a fianco dell’ascensore c’è appeso un regolamento:
• Vietato parcheggiare biciclette, passeggini o altro nell’atrio.
• La battitura di tappeti o altro può essere effettuata soltanto dalle ore otto alle ore dieci durante la stagione invernale e dalle sette alle nove durante la stagione estiva.
• Vietato stendere biancheria, panni o altro alle finestre verso strada.
• Vietato disturbare i vicini, sia quelli dei piani inferiori che quelli dei piani superiori, manovrando oggetti in maniera da produrre rumori o con schiamazzi, suoni, canti, danze o usando apparecchi radio, televisori a volume eccessivo.
Questi sono i punti che ricordo ma ce ne sono molti altri.
Vivendo al secondo piano con vista sulla strada, quando sfrecciano la notte le macchine, dal rumore mi sembra che passino tra il comodino e il letto. Ma ormai ci sono abituato. L’unica cosa che ancora sento sono le marmitte truccate dei motorini, gli antifurto e i camion della nettezza urbana che portano via il vetro. Quelli mi spaventano sempre.
Una volta ho fatto un finesettimana in montagna e ho faticato a addormentarmi per il troppo silenzio.
Pensare che quando abitavo dai miei non si sentiva niente. Tranne l’inquilino del terzo piano che usciva dal garage con la sua Fiat Punto bianca. Il signor Pedretti per la precisione, pensionato sulla settantina che credo si potesse tranquillamente iscrivere al campionato Chi ci mette più tempo a uscire dal garage?
Il rumore delle sue manovre era evidenziato da un utilizzo un po’ lento della frizione e uno troppo pesante dell’acceleratore. Questo stile portava il motore della Punto a circa dieci-dodicimila giri.
L’appartamento, l’ho arredato appena l’ho preso e non manca niente. Con l’idea che avrei comprato tutto una volta per sempre, ho scelto ogni cosa con accurata attenzione. Letto matrimoniale della Flou con spalliera alta. Divano di Cassina. Tavolino Philippe Starck e lampada Arco della Flos. Pavimento in parquet anche in bagno. Stereo composto da: giradischi Thorens, piastra, cd e amplificatore McIntosh, casse Tannoy. E un televisore Sony.
Ma soprattutto ho realizzato il sogno della mia vita: il frigorifero anni Cinquanta blu della Smeg.
Ho speso talmente tanti soldi che per un po’ sono stato forzato al risparmio. Anche nelle piccole cose. Ad esempio ho dovuto fumare le Diana e uscire di casa solo dopo cena. Già mangiato. Che coglione!
Nonostante tutte queste cose, però, non ero felice. Soprattutto non ero una persona libera.
Addirittura certe notti mi capitava di svegliarmi agitato e non riuscire più a riaddormentarmi. Avevo paura. Avevo paura, ma non sapevo di cosa. Semplicemente provavo una sensazione di paura senza conoscerne il motivo.
Mi sentivo angosciato, pieno di ansie e mi ritrovavo sveglio.
Sveglio come se avessi dormito diverse ore.
Per la biografia e la bibliografia completa del conduttore e scrittore italiano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Fabio Volo.
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