Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La zattera di pietra di José Saramago. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 9,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
La zattera di pietra: trama del libro
A Cerbère, sui Pirenei Orientali, improvvisamente la terra si spacca, seminando panico e terrore tra gli abitanti. Non si sa per causa di chi o di che cosa, ma ben presto si crea lungo tutto il confine tra Francia e Spagna una frattura così profonda che la Penisola iberica resta disancorata dal continente europeo e, trasformatasi in un’enorme zattera di pietra, inizia a vagare nell’Oceano Atlantico, verso altri orizzonti e un ignoto destino. Sulla zattera, che rischia di speronare le Azzorre, i protagonisti sono costretti a fare i conti con la loro favolosa e fatale condizione di naviganti, in un clima di sospesa magia, tra eventi miracolosi e oscuri presagi. Le antiche rivali, Spagna e Portogallo, da sempre tenute ai margini dell’Europa, ora che non sono più vincolate a essa potrebbero dirigersi verso l’Africa e le Americhe, cui le lega un antico patrimonio comune di lingua e cultura. “La zattera di pietra” è la storia di questa incredibile e avventurosa navigazione, scritta con divertita fantasia e con una straordinaria invenzione di grandi e piccoli prodigi. In più, nella metafora delle due nazioni alla deriva, si può leggere in filigrana anche la riflessione sul mancato processo di integrazione europea, cui si contrappone un possibile nuovo mondo, il frutto di un’inedita solidarietà atlantica e di una nuova identità dei popoli iberici sganciati finalmente dai vincoli del Vecchio Mondo.
In ebook La zattera di pietra (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
A Parigi si erano fatti due risate sulle suppliche del sindaco che sembrava stesse telefonando da un canile all’ora del pasto dei cani, e solo in seguito alle reiterate istanze di un deputato della maggioranza, nato e cresciuto in quel comune, e pertanto conoscitore delle leggende e delle storie locali, si era finito per inviare al sud due veterinari qualificati del Deuxième Bureau, con la missione speciale di studiare l’insolito fenomeno e presentarne una relazione con le proposte di intervento. Frattanto, disperati, sulla soglia della sordità, gli abitanti avevano sparso per le strade e le piazze di quella gradevole stazione balneare, adesso luogo infernale, dozzine di bocconi di carne avvelenati, metodo di estrema semplicità la cui efficacia è stata confermata dall’esperienza in tutti i tempi e in ogni latitudine. Nell’insieme, non morì che un solo cane, ma i sopravvissuti impararono subito la lezione e in un batter d’occhio, latrando, abbaiando e ululando, se la squagliarono nei campi circostanti dove, senza alcun motivo comprensibile, dopo pochi minuti si zittirono. Quando infine giunsero i veterinari fu loro presentato lo sventurato Médor, freddo, gonfio, tanto diverso dal felice animale che accompagnava la padrona a far la spesa e che, essendo ormai vecchio, se la godeva a dormire al sole, senza preoccupazioni. Tuttavia, dato che la giustizia non ha ancora abbandonato completamente questo mondo, volle Iddio, poeticamente, che Médor morisse per il boccone preparato dalla sua beneamata padrona, la quale, è bene che si sappia, aveva in mente una certa cagna del vicinato che non se ne voleva andar via dal suo giardino. Il più anziano dei veterinari, dinanzi alle funebri spoglie, disse, Procediamo con l’autopsia, e in realtà non ne valeva la pena, perché qualsiasi abitante di Cerbère avrebbe potuto, volendolo, testimoniare sulla causa mortis, ma il fine occulto della Facoltà, come la chiamavano nel gergo del servizio segreto, era di procedere, nascostamente, all’esame delle corde vocali di un animale che, tra la mutezza per morte adesso definitiva e il silenzio che era sembrato dover essere di tutta la vita, aveva infine avuto la parola per qualche ora ed era stato così uguale a tutti gli altri cani. Furono sforzi inutili, Médor non aveva neanche le corde vocali. Rimasero i chirurghi stupefatti, ma il sindaco diede la sua opinione, amministrativa e sensata, Non c’è da meravigliarsi, per tanti secoli i cani di Cerbère sono rimasti senza abbaiare che gli si è atrofizzato l’organo, E come mai, allora, all’improvviso, Questo non lo so, non sono un veterinario, ma le nostre preoccupazioni sono finite, i chiens sono spariti, là dove sono adesso non si sentono neppure. Médor, tagliuzzato e mal ricucito, fu consegnato alla padrona in lacrime, come un rimorso vivo, cosa che del resto sono i rimorsi anche dopo morti. Sulla strada per l’aeroporto, dove andavano a prendere l’aereo per Parigi, i veterinari si accordarono di sorvolare, nella relazione, sul compromettente episodio delle corde vocali sparite. E definitivamente, pare, dato che quella stessa notte si mise a gironzolare per Cerbère un enorme cane a tre teste, alto come un albero, ma silenzioso.
Proprio in quei giorni, forse prima, forse dopo che Joana Carda aveva segnato il suolo con il suo bastone d’olmo, un uomo se ne andava a spasso sulla spiaggia verso l’imbrunire, quando il rumore delle onde si ode appena, breve e trattenuto come un sospiro senza motivo, e quell’uomo, che più tardi dirà di chiamarsi Joaquim Sassa, procedeva camminando su quella linea del mare che distingue le sabbie asciutte dalla sabbia bagnata, e di tanto in tanto si chinava per raccogliere una conchiglia, la pinza di un granchio, un filo di alga verde, non è raro che passiamo così il tempo, questo passeggiatore solitario lo stava passando così. Non avendo né tasche né sacchetti per conservare ciò che trovava, restituiva all’acqua i resti morti quando ne aveva le mani piene, al mare ciò che al mare appartiene, che la terra resti alla terra. Ma ogni regola ha le sue eccezioni, e una pietra che si vedeva più in là, fuori della portata del mare, Joaquim Sassa la raccolse, ed era pesante, larga come un disco, irregolare, magari fosse stata come le altre, aggraziate, dal contorno levigato, come quelle che si adattano comodamente fra il pollice e l’indice, allora Joaquim Sassa l’avrebbe lanciata rasente alla superficie dell’acqua per vederla rimbalzare, puerilmente felice della propria destrezza, e poi affondare, una volta perduta la spinta, una pietra che sembrava avesse il destino segnato, rinsecchita dal sole, dalla pioggia soltanto bagnata, che infine s’immergeva nell’oscura profondità per attendere un migliaio di anni, finché questo mare non sia evaporato o, indietreggiando, non la faccia tornare alla terra per un altro migliaio di anni, dando al tempo il tempo che scenda alla spiaggia un altro Joaquim Sassa che, senza saperlo, ripeterà il gesto e il movimento, che nessuno dica, Non lo farei, non c’è una sola pietra fissa e sicura.
Lungo gli arenili del sud, a quest’ora tiepida, c’è chi fa l’ultimo bagno, nuotare, giocare a palla, tuffarsi dentro le onde, o si riposa vogando su di un materassino, oppure, sentendo sulla pelle la prima brezza dell’imbrunire, adagia il proprio corpo per ricevere l’ultima carezza del sole che si poserà sul mare fra un secondo, il più lungo di tutti, perché lo guardiamo e lui si fa guardare. Ma qui, su questa spiaggia del nord dove Joaquim Sassa tiene stretta una pietra, così pesante che le sue mani sono già stanche, il vento soffia freddo e il sole si è già tuffato per metà, neanche i gabbiani volano sull’acqua, Joaquim Sassa ha lanciato la pietra, pensava cadesse a pochi passi di distanza, poco più in là dei suoi piedi, ognuno di noi ha il dovere di conoscere le proprie forze, né c’erano testimoni che potessero ridersela di quel discobolo frustrato, piuttosto era lui pronto a ridere di se stesso, ma non è andata come pensava, scura e pesante la pietra è salita in aria, è scesa e ha battuto sull’acqua di piatto, col colpo è risalita, con un gran volo o salto, e di nuovo si è abbassata, ed è salita, per affondare infine al largo, se è vero che quel biancore che riusciamo a distinguere non è solo la frangia di spuma dell’onda che si frange. Come mai, ha pensato perplesso Joaquim Sassa, come mai io, che sono tanto poco forte di natura, sono riuscito a lanciare una pietra così pesante tanto lontano, nelmare che sta già scurendo, e non c’è nessuno a dirmi, Molto bene, Joaquim Sassa, sono il tuo testimone per il Guinness dei primati, un’impresa del genere non può rimanere ignorata, che sfortuna, se vado a raccontare quello che è successo, mi daranno del bugiardo. È arrivata dal largo un’onda alta alta, che si frange spumeggiante, in fondo la pietra è caduta davvero in mare, e questo è l’effetto noto fin dai fiumi dell’infanzia di chi nell’infanzia ha avuto fiumi, l’ondulazione concentrica che provocano le pietre quando si lanciano. Joaquim Sassa si è messo a correre sulla spiaggia e l’onda si è franta sulla sabbia trascinando con sé conchiglie, pinze di granchi, alghe verdi, e non solo quelle, i sargassi, le coralline, le laminarie. E una piccola pietra, maneggevole, di quelle che stanno tra il pollice e l’indice, chissà da quanti anni non vedeva la luce del sole.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore portoghese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a José Saramago.