Immagine di Gaelle Marcel, Unsplash, numero 8992 – per uso libero
Pochi giorni fa il Guardian, nella sua infinita saggezza e lungimiranza culturale, ha pubblicato un articolo molto interessante che raccoglie 50 racconti tra i più significativi di tutte le epoche, scelti da alcuni scrittori e scrittrici contemporanei sia della Gran Bretagna che dell’Irlanda (da notare come la stragrande maggioranza delle scelte sia caduta su autori anglofoni). Il genere del racconto o ‘short story’ sta tornando sempre più di moda e la sua ascesa è ormai davvero irresistibile. Si va dall’estrema brevità delle ‘storie di sei parole’ e della minisaga (50 parole), veri haiku in prosa, al ‘drabble’ o ‘microfiction’ (100 parole), alla ‘twitteratura’ (prima 140 caratteri, da un annetto ormai ben 280), alla ‘flash fiction’ o microstoria composta da almeno un paio di righe secondo alcuni e quindi comprendente anche il ‘drabble’ ad esempio, e secondo altri puristi formata da un massimo di 1000 parole, fino a racconti lunghi anche decine di pagine. (Mi chiedo incidentalmente: un romanzo breve è un racconto lungo? O viceversa?). I volumi composti da una raccolta di racconti più o meno lunghi sono finalmente tornati nel panorama letterario mondiale per restarci. Sia in Italia che all’estero ci sono ormai anche interessantissimi esempi di case editrici indipendenti dedicate esclusivamente o in gran parte alla pubblicazione di collane di racconti, e persino alle nuove forme di letteratura brevissima, una forma di editoria quasi post-futurista in questo momento di onnipotenza vera o presunta delle reti sociali.
La ripresa del racconto e delle sue vecchie e nuove forme si nota soprattutto da qualche anno, e non solo grazie a questa più o meno nuova rapidità di scrittura, condivisione e visibilità data dai social media, che può anche bypassare la pubblicazione tradizionale, soprattutto per le forme di storie più brevi. Nell’area meno radicale dell’editoria e della lettura internazionale, il racconto si è comunque ripreso una parte della sua antica predominanza come forma letteraria da celebrare da quando ad esempio la scrittrice statunitense Lydia Davis ha vinto il prestigioso Man Booker International Prize nel 2013. In un articolo sulla rinascita di questo genere letterario, il Telegraph ha scritto della Davis che “non è proprio una scrittrice di ‘short stories’ quanto di ‘short-short stories’ (alcune delle sue narrazioni sono lunghe solo una frase)”, e che la decisione del Booker “ha preso il mondo letterario completamente alla sprovvista”. Questo ancora di più da quando dopo poco nello stesso anno è stato conferito il Premio Nobel per la Letteratura alla scrittrice canadese Alice Munro in quanto “maestra del racconto breve contemporaneo”; ─ cosa che ha fatto rabbrividire alcuni quasi quanto l’assegnazione dello stesso Nobel a Bob Dylan nel 2016. Per non parlare dei veri brividi che ha causato la decisione di non assegnare il Nobel del 2018 a causa di scandali sessuali, dimissioni e relativo caos internazionale.
Nell’articolo dell’inizio di febbraio, il Guardian si chiede: “veloce e facilmente condivisibile, il racconto è la forma letteraria del nostro tempo?” Speriamo che il mondo dei lettori e degli editori continui sempre più a sostenere questo genere, non perchè nella nostra era digitale il tempo massimo di attenzione sembra essere diventato di soli 8 secondi, quanto perchè il racconto in tutte le sue forme e lunghezze è davvero uno dei generi narrativi più versatili ed innovativi, e ben si adatta ad ogni tempo storico e personale.
Di seguito i primi cinque racconti tra i cinquanta scelti per il Guardian. Tutti gli scrittori che hanno segnalato questi testi sono a loro volta autori anche o esclusivamente di racconti.
Iniziamo da Jhumpa Lahiri, la scrittrice premio Pulitzer nel 2000, statunitense nata in Gran Bretagna da genitori bengalesi, innamorata dell’Italia e dell’italiano tanto da aver vissuto in Italia e aver addirittura pubblicato direttamente in italiano un libro di articoli sulla sua storia d’amore con il nostro paese, e da aver curato il nuovo Penguin Book of Italian Short Story in uscita ad inizio marzo. L’autrice ha quasi obbligatoriamente scelto un autore italiano classico, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e il suo racconto La Sirena del 1961. Scrive la Lahiri: “Nato a Palermo nel 1896, Lampedusa era un principe colto ed istruito che morì prima che le sue opere venissero pubblicate. Oltre al famoso romanzo Il Gattopardo, ha lasciato anche dei racconti, compreso La Sirena, un capolavoro misterioso che mi scuote e mi ossessiona ogni volta che lo leggo. Racchiude due piani narrativi, due protagonisti centrali, due ambientazioni, due registri tonali e due punti di vista. Ci sono persino due titoli; sebbene sia stato pubblicato come La Sirena, in origine era stato chiamato Lighea, il nome della sirena, rappresentata come una ragazzina di sedici anni. La descrizione di Lampedusa dipinge questa creatura, fatidicamente seducente, in maniera precisa, vulnerabile e veritiera.”
La scrittrice britannica Hilary Mantel, autrice di numerosi racconti e romanzi storici soprattutto sull’epoca Tudor, come Wolf Hall con cui ha vinto il Booker nel 2009, ha scelto un racconto della britannica Jane Gardam, intitolato Il Tributo (The Tribute, scritto nel 1980 e parte della raccolta The Sidmouth Letters, non ancora tradotta in italiano). Scrive la Mantel: “John McGahern e Annie Proulx sono tra i miei autori preferiti, ma per scacciare la tristezza scelgo questa storia di Jane Gardam. Mentre leggevo questo racconto nei miei giorni gioiosi da espatriata [la Mantel ha vissuto in Botswana e a Jeddah], ho riconosciuto il cast delle ‘mogli diplomatiche’ che trascinavano mariti inebriati attraverso le rovine dell’impero. Costruito quasi tutto in forma di dialogo, è un racconto intelligente ed arguto in cui un piccolo gesto di gentilezza ─ sebbene non fatto da una moglie diplomatica ─ viene ripagato quarant’anni dopo. Credo di averlo letto una dozzina di volte, per rendermi conto ogni volta di come la Graham sia in grado di sostenere e prolungare la nota lirica, e come poi scaturisca la sorpresa; ogni volta mi fa sorridere dal piacere.”
George Saunders è uno scrittore statunitense che con il romanzo Lincoln nel Bardo (2017) ha vinto il Booker, e ha scelto per il Guardian un testo ancora non pubblicato in italiano della scrittrice statunitense Gina Berriault. Uscito per la prima volta nel 1957, e poi nella sua prima raccolta di racconti The Mistress, and Other Stories del 1965, ne è stato tratto un film nel 1984, anch’esso non uscito in Italia. “The Stone Boy [Il ragazzo di pietra] è un grande capolavoro sottovalutato, una meditazione sulla bontà e sulla malvagità e soprattutto sui modi in cui le aspettative e i pregiudizi delle persone su ognuno di noi possono sfinirci, e alla fine costringerci ad adattarci alla loro opinione. Ma è una storia ancora più profonda e biblica e, come ogni opera d’arte, resiste ad ogni riduzionismo. Berriault, morta nel 1999, è conosciuta come una scrittrice prettamente di San Francisco. Un meraviglioso campionario delle sue storie si trova in Women in Their Beds: New & Selected Stories” [parzialmente tradotte l’anno scorso nel volume Piaceri Rubati].
The Love of a Good Woman (1998, pubblicato in Italia come Il sogno di mia madre) del Premio Nobel Alice Munro è il racconto preferito di Tessa Hadley, scrittrice britannica tra le più amate ma con solo due libri tradotti in italiano. La Hadley afferma che “tra la manciata di racconti che amo in maniera davvero speciale, ho scelto Il sogno di mia madre della canadese Munro, parte della sua collezione dallo stesso nome. Narra di un omicidio ─ probabilmente un omicidio, perché nulla è sicuro ─ e dell’amore di una coppia che dipende dal fatto che questo omicidio rimanga segreto. Come molte delle storie della Munro, questa ha la portata di un romanzo ma non sembra mai affrettata o troppo affollata di personaggi e avvenimenti. La sociologia di un paesino dell’Ontario rurale è vista in azione nell’ampia trama della narrazione; la storia comprende intere esistenze, e ciononostante il suo ritmo è anche squisitamente lento, e ci fa addentrare in momenti particolari con grande profondità. Una donna si muove tra i salici vicino ad un fiume, prendendo una decisione.”
“Gustave Flaubert scrisse questa storia, Un cuore semplice (1877), dedicandola alla sua vecchia amicizia e «compagnia tra troubadours» con George Sand. È la storia di Félicité, una vecchia domestica, e degli amori della sua vita, che vanno sempre più diminuendo, fino all’ultimo, un pappagallo. Ha una cupa densità novellistica, ed è toccante e tenero, comico e grottesco. Il controllo del tono è centrale alla sua riuscita. È anche un esempio perfetto del principio flaubertiano secondo cui ironia e compassione non sono incompatibili. La Sand morì prima di poterlo leggere. «Così accade anche con tutti i nostri sogni», annotò Flaubert. Un cuore semplice è stato scelto da Julian Barnes, autore inglese di romanzi e saggi e francesista.
A breve un’altra tranche di racconti commentati da altri scrittori per il Guardian.
Francesca Zunino Harper è linguista, anglista e ispanista, traduttrice e appassionata di Gran Bretagna e America Latina, Messico in particolare, dove ha vissuto per anni. Ama soprattutto la letteratura e la saggistica contemporanee e storiche di donne, natura, viaggi, cibo, e i libri da riscattare. Fa la spola tra Londra e il Piemonte.