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La ragazza dello Sputnik: trama e anteprima del libro
La trama di La ragazza dello Sputnik di Murakami e un estratto dal libro
Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La ragazza dello Sputnik di Haruki Murakami, romanzo edito in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99. [Read more…]
After Dark: trama e anteprima del libro
La trama di After Dark di Murakami e un estratto dal libro
Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di After Dark di Haruki Murakami, romanzo edito in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99. [Read more…]
Nel segno della pecora: trama e anteprima del libro
La trama di Nel segno della pecora di Haruki Murakami e un estratto dal libro
Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Nel segno della pecora di Haruki Murakami, romanzo edito in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99. [Read more…]
Kafka sulla spiaggia: trama e anteprima del libro
La trama di Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami e un estratto dal libro
Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami, romanzo edito in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 15,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99. [Read more…]
L’uccello che girava le viti del mondo: riassunto trama ed estratto
Riassunto della trama di L'uccello che girava le viti del mondo di Haruki Murakami
L’uccello che girava le viti del mondo è un lungo romanzo di Haruki Murakami, grande scrittore giapponese autore, tra gli altri, di Norwegian Wood – Tokyo Blues, Kafka sulla spiaggia e la recente serie di romanzi 1Q84.
Vediamo insieme il riassunto della trama di L’uccello che girava le viti del mondo e un ampio estratto dall’inizio del libro.
La trama di L’uccello che girava le viti del mondo
“Vorrei dieci minuti del tuo tempo”, disse senza preamboli una voce di donna, lo sono piuttosto bravo a riconoscere le persone dalla voce, quella li però non l’avevo mai sentita”. In un sobborgo di Tokyo il giovane Okada Toru ha appena lasciato volontariamente il suo lavoro e si dedica alle faccende di casa. Due episodi apparentemente insignificanti riescono tuttavia a rovesciare la sua vita tranquilla: la scomparsa del suo gatto e la telefonata anonima di una donna dalla voce sensuale. Toru si accorgerà presto che oltre al gatto, a cui la moglie Kumiko è molto affezionata, dovrà cercare Kumiko stessa.
Lo spazio limitato del suo quotidiano diventerà il teatro di una ricerca in cui sogni, ricordi e realtà si confondono e che lo porterà a incontrare personaggi sempre più strani: dalla prostituta psicotica alla sedicenne morbosa, dal politico diabolico al vecchio e misterioso veterano di guerra. A poco a poco Toru dovrà risolvere i conflitti della sua vita passata di cui nemmeno sospettava l’esistenza. Un romanzo che illumina quelle zone d’ombra in cui ognuno nasconde segreti e fragilità.
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Avevo la pasta sul fuoco in cucina, quando squillò il telefono. Alla radio davano la Gazza ladra di Rossini, il sottofondo musicale ideale per prepararsi un piatto di spaghetti, e io l’accompagnavo fischiando. Fui tentato di non rispondere, gli spaghetti erano quasi cotti, e Claudio Abbado stava giusto per portare l’orchestra filarmonica di Londra all’apice dell’intensità drammatica. Pazienza, mi rassegnai ad abbassare il fuoco, andai nel soggiorno e sollevai il ricevitore. Poteva anche essere un conoscente con qualche nuova proposta di lavoro.
– Vorrei dieci minuti del tuo tempo, – disse senza preamboli una voce di donna.
Io sono piuttosto bravo a riconoscere le persone dalla voce, quella lí però non l’avevo mai sentita.
– Scusi, con chi desidera parlare? – chiesi educatamente.
– Proprio con te. Dieci minuti, dammi solo dieci minuti del tuo tempo. Vedrai che riusciremo a intenderci perfettamente –. La donna aveva una voce bassa, morbida, elusiva.
– Intenderci?
– Parlo di feeling.
Sporsi la testa oltre la porta a guardare in cucina: dalla pentola si alzava bianco vapore, Abbado continuava a dirigere la Gazza ladra.
– Scusi, ma ho gli spaghetti sul fuoco, non potrebbe chiamare piú tardi?
– Spaghetti? – fece lei in tono sconcertato. – Spaghetti alle dieci e mezzo del mattino?
– Questo non la riguarda. Ho il diritto di mangiare quello che mi pare all’ora che mi pare, – risposi un po’ irritato.
– In effetti, – disse la donna in tono secco e impersonale, molto diverso da prima. L’umore sembrava leggermente cambiato. – Vabbè, non importa, richiamo piú tardi.
– Aspetti un momento, – risposi in fretta. – Se è per vendermi qualcosa, guardi che perde il suo tempo, mi telefonasse anche cento volte. In questo momento non posso permettermi di comprare niente, sono disoccupato, non ho soldi da buttare via.
– Lo so, non ti preoccupare.
– Come sarebbe a dire, lo sa?
– Significa che so benissimo che sei disoccupato. Per cui vai pure a prepararti i tuoi preziosi spaghetti.
– Ma lei, cosa diavolo… – Non feci in tempo a terminare, dall’altra parte avevano sbattuto giú il telefono.
Non sapendo dove sfogare il mio malumore, rimasi per un momento a guardare il ricevitore che tenevo in mano. Poi mi venne in mente la pentola sul fuoco, tornai in cucina, spensi il gas e scolai gli spaghetti. Per colpa della telefonata erano un po’ scotti, non si potevano certo dire al dente. Non erano neanche un disastro totale, però.
Intendersi? pensavo mangiando. In dieci minuti tra di noi si sarebbe dovuto creare un feeling? Ma cosa aveva voluto dire, quella lí? Magari era solo uno scherzo. Oppure una nuova strategia di vendita. Nell’uno e nell’altro caso, non era cosa che mi riguardasse.
Tornai sul divano del soggiorno e mi misi a leggere un romanzo che avevo preso in prestito in biblioteca. Intanto continuavo a gettare occhiate al telefono, domandandomi con un senso di disagio cosa potevano significare le parole di quella donna: «in dieci minuti possiamo intenderci». Cosa potevamo mai capire l’uno dell’altra in dieci minuti? A pensarci bene, lei aveva fissato quel preciso limite di tempo fin dall’inizio. E con grande sicurezza, anche. Poteva darsi che nove minuti fossero troppo pochi e undici troppi. Come il tempo di cottura degli spaghetti.
Intanto quelle riflessioni mi avevano fatto passare la voglia di leggere. Decisi di mettermi a stirare le camicie. Ogni volta che mi trovo in uno stato confusionale, io stiro camicie. Da tempi immemorabili. Eseguo l’operazione in dodici fasi, comincio dal collo (1) e finisco con il polsino della manica sinistra (12). Procedo seguendo sempre lo stesso ordine, e contando le fasi a una a una, altrimenti non ottengo un risultato soddisfacente.
Stirai tre camicie, che appesi ai rispettivi attaccapanni dopo aver controllato che non avessero pieghe. Staccai il ferro dalla presa di corrente e lo riposi insieme all’asse da stiro nell’armadio a muro. Il mio cervello sembrava essersi considerevolmente rischiarato.
Stavo per andare in cucina a bere un bicchier d’acqua, quando squillò nuovamente il telefono. Esitai un attimo. Poi decisi di rispondere, se era ancora quella lí potevo sempre riattaccare con la scusa che stavo stirando, pensai.
Invece era mia moglie Kumiko. Le lancette dell’orologio segnavano le undici e mezza.
– Stai bene? – mi chiese.
– Ho appena finito di stirare.
– È successo qualcosa? – Nella sua voce vibrava una leggera apprensione, lei sa bene che quando sono un po’ fuori fase mi metto a stirare.
– Ho semplicemente stirato delle camicie, non è successo niente di speciale, – risposi sedendomi su una sedia e spostando il ricevitore nella mano destra. – Ma come mai mi hai telefonato?
– Tu scrivi poesie, per caso?
– Poesie? – ripetei sorpreso. Come, poesie? Cosa diavolo voleva dire?
– Uno che conosco lavora in una casa editrice che pubblica una rivista letteraria per ragazzine. Sta cercando una persona che selezioni e corregga le poesie inviate dalle lettrici. Inoltre ogni mese dovresti scrivere una poesiola per la prima pagina. Per essere un lavoretto facile, non è mal pagato. Ovviamente non si tratta di un posto fisso, ma se la cosa funziona può darsi che ti passino anche dei lavori di editing.
– Facile? – risposi io. – Un momento, per favore. Io sto cercando un’attività nel campo della giurisprudenza. Da dove diavolo salta fuori, ’sta storia di correggere poesie?
– Be’, non hai detto che quando eri al liceo scrivevi delle cose?
– Sul giornalino. Sul giornalino della scuola. Commentavo i risultati del torneo di calcio, riferivo che l’insegnante di scienze era caduto per le scale ed era finito all’ospedale… articoli di questo livello, cavolate. Mica poesie. Mica so scrivere poesie, io.
– Sí, ma non è che ti chiedano chissà cosa. Delle poesie che vadano bene per delle liceali. Nessuno ti dice di comporre capolavori che restino nella storia della letteratura, basta che butti giú delle cose come ti vengono. Mi spiego?
– Buttate giú o no, io poesie non ne so scrivere. Non ne ho mai scritte, e non ho l’intenzione di scriverne, – risposi in maniera definitiva. Io scrivere poesie, roba da pazzi!
– Come vuoi, – disse mia moglie in tono di rammarico. – Però un lavoro nel campo della giurisprudenza non è che si trovi cosí, dall’oggi al domani, non ti pare?
– Ho già dei contatti con alcune persone, fra non molto dovrebbero darmi una risposta. Se poi non funziona neanche questo, allora penserò al da farsi.
– Davvero? Vabbè, lasciamo perdere. Senti, ma oggi che giorno è?
– Martedí, – risposi dopo averci riflettuto un po’.
– Allora dovresti andare in banca a pagare le bollette del gas e del telefono.
– Va bene, piú tardi, quando vado a far la spesa per stasera, passo anche in banca.
– Cosa prepari per cena?
– Non ho ancora deciso. Ci penserò dopo aver fatto la spesa.
– Senti… – fece mia moglie col tono di voler ricominciare, – tutto sommato, non è che tu abbia bisogno di trovare lavoro tanto in fretta.– Come sarebbe? – risposi. Questa era un’altra sorpresa, le donne mi telefonavano tutte per darmi delle sorprese, pareva. – Fra non molto non sarò neanche piú in cassa integrazione, mica posso restare indefinitamente a girarmi i pollici tutto il giorno.
– Sí, ma io ho avuto l’aumento e di lavoretti supplementari me ne passano in continuazione. Un po’ di risparmi li abbiamo… Non potremo concederci grandi lussi ma ce la caviamo egregiamente. Ti secca stare a casa e occuparti delle faccende domestiche? La vita che fai ora non ti piace?
– Non lo so, – risposi sinceramente. Era cosí, non lo sapevo.
– Be’, dovresti cercare di pensarci con calma, – disse mia moglie. – A proposito, il gatto è tornato?
A quelle parole mi resi conto che per tutta la mattina quel pensiero non mi aveva neanche sfiorato.
– No, non ancora.
– Perché non provi a cercarlo un po’ nel quartiere? È già da piú di una settimana che è scomparso.
Passai di nuovo il ricevitore nella mano sinistra e risposi che lo avrei fatto.
– Può darsi che sia nel giardino della casa disabitata in fondo al vicolo. Sai, quella dove c’è la statua di pietra di un uccello. L’ho visto entrare non so quante volte, lí dentro.
– Nel vicolo? – feci io. – Ma tu quand’è che ci sei andata, nel vicolo? È la prima volta che ti sento dire…
– Senti, scusa ma devo riattaccare, devo proprio andare. Mi raccomando il gatto!
La telefonata si interruppe. Restai ancora un attimo a guardare il ricevitore, poi lo misi giú.
Cosa diavolo era andata a fare, Kumiko, nel vicolo? Per entrarci bisognava scalare il muro del giardino, che senso c’era a fare una cosa del genere per infilarsi lí dentro?
Andai in cucina a bere un bicchier d’acqua, poi uscii sulla veranda a controllare la ciotola del gatto: era piena, le sardine secche che vi avevo messo la sera prima erano ancora lí, non ne mancava neanche una. Il gatto non era tornato, insomma. Rimasi in piedi nella veranda lasciandomi inondare dai raggi del primo sole d’estate, e guardai il piccolo giardino di casa. Non era uno di quei giardini la cui contemplazione potesse placare lo spirito. Il terreno era sempre umido e nero perché il sole vi batteva soltanto per pochissime ore al giorno, e tutta la vegetazione consisteva in due o tre modestissimi cespugli di ortensie in un angolo. E a me, tanto per cominciare, le ortensie non piacciono. Dagli alberi intorno arrivava costantemente il verso di un uccello, stridente come se qualcuno stesse avvitando qualcosa. Noi lo chiamavamo l’uccello-giraviti. Era stata Kumiko a chiamarlo cosí. Il suo vero nome non lo sapevamo, non sapevamo neanche che aspetto avesse. Ma questo all’uccello-giraviti era indifferente, ogni giorno veniva sugli alberi lí intorno a stringere le viti del nostro piccolo mondo tranquillo.
Forza, andiamo a cercare il gatto, pensai. A me i gatti sono sempre piaciuti, e mi piaceva quello lí in particolare. Sono creature tutt’altro che stupide, e hanno uno stile di vita proprio, se un gatto sparisce è perché vuole andare da qualche parte. Quando ha la pancia vuota ed è stanco, torna. In conclusione, era per Kumiko che dovevo mettermi alla ricerca. Tanto non avevo nulla da fare.
All’inizio di aprile, senza una ragione particolare avevo lasciato lo studio legale dove lavoravo da alcuni anni. Non si poteva neanche dire che quell’impiego non mi piacesse. Certo le mie incombenze non avevano nulla di esaltante, ma lo stipendio non era male, e l’atmosfera amichevole e simpatica.
In una parola, in quello studio fungevo da fattorino specializzato, e dato che sono tutt’altro che un fannullone, penso di non esser restato con le mani in mano. So che suona strano farsi dei complimenti da solo, ma entro i limiti delle mie mansioni avevo un certo talento. Capivo in fretta, agivo prontamente, non facevo storie, e avevo un modo molto realistico di considerare i problemi. Tant’è che quando annunciai che mi volevo licenziare, il vecchio avvocato – cioè il primo dei due titolari dello studio, padre e figlio – mi disse che potevano anche concedermi un piccolo aumento di stipendio.
Finii col licenziarmi ugualmente. Non perché avessi qualche precisa speranza o prospettiva per il mio futuro professionale, ma l’idea di chiudermi di nuovo in casa a preparare l’esame di Stato non mi attirava per niente. Tanto per cominciare, al punto in cui ero non avevo neanche voglia di diventare avvocato. Né avevo l’intenzione di restare indefinitamente in quello studio a fare sempre le stesse cose. Perciò se dovevo smettere quello era il momento, altrimenti la mia vita si sarebbe trascinata e probabilmente conclusa lí dentro. Tra l’altro avevo già trent’anni.
Una sera a cena avevo bruscamente annunciato che volevo lasciare il lavoro.
«Già…» aveva solo commentato Kumiko. Che cosa intendesse, con quel «già…» non mi era chiaro, ma lei non aveva aggiunto altro, e per un po’ era rimasta in silenzio.
Anch’io stavo zitto.
«Se desideri smettere, fai bene a farlo, – aveva detto allora lei. – Si tratta della tua vita. Fai come ti pare». E dopo quelle parole si era concentrata nell’operazione di togliere con i bastoncini le spine del pesce e posarle in un angolo del piatto.
Per la biografia e la bibliografia completa dell’autore rimandiamo alla pagina di Wikipedia dedicata ad Haruki Murakami.
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