In questo articolo scopriremo quali sono i migliori libri e manuali di psicologia sociale, la disciplina che ha per oggetto, appunto, lo studio dei processi di socializzazione e d’interazione sociale.
L’uomo è un “animale sociale” da qui la grandissima importanza rivestita da questa materia per la salute e il benessere dell’uomo.
Non è semplice fornire una definizione semplice ed esaustiva di cosa sia la psicologia sociale. Possiamo definire questa disciplina come lo studio di come l’attività mentale delle persone viene condizionata dalla realtà nella quale sono immerse. Si occupa, cioè, in senso lato, di analizzare le modalità e i processi propri dell’interazione tra il singolo individuo e i vari gruppi sociali.
I nostri pensieri e le nostre azioni, anche se non ne siamo pienamente consapevoli, sono profondamente influenzati dal rapporto con chi ci è vicino, in famiglia e fuori dalla famiglia, a scuola, al lavoro e in generale dalla società di cui facciamo parte.
Sono oggetto di studio della psicologia sociale i comportamenti gruppali, gli atteggiamenti, i fenomeni di massa, il conformismo, la disposizionale al male e l’obbedienza alla autorità (Esperimento di Milgram).
I più importanti studi di psicologia sociale sono nati in risposta alle atrocità e alle barbarie seguite agli avvenimenti della seconda guerra mondiale, dopo la quale si trattava di capire, come scrisse Max Horkheimer, come era stato possibile
“La persecuzione e lo sterminio meccanizzato di milioni di esseri umani in quella che era considerata la cittadella della civiltà occidentale”
[Premessa agli studi sul pregiudizio, in T. W. Adorno et al., La personalità autoritaria, 1949].
Abbiamo scelto di inserire il libro da cui è tratta questa citazione, ovvero “La personalità autoritaria”, in questa nostra selezione dei migliori libri di psicologia sociale, perché tutti dovrebbero, a nostro giudizio, leggere almeno una volta nella vita questo volume.
Nel testo Adorno analizza il tipo umano, potenzialmente assai pericoloso, caratterizzato da tratti importanti di aggressività e violenza nei confronti dei più deboli ed in generale delle minoranze. Non importa che si parli di minoranze legate alla razza (ebrei o persone di colore) o all’orientamento sessuale (omosessuali): le personalità autoritarie sono fortemente ubbidienti verso le persone di rango superiore ma ostili nei confronti di quelli che vengono visti come “inferiori a sé” e deboli.
Da questi studi sono emerse le caratteristiche tipiche dell’individuo che soffre di pregiudizi: il suo convenzionalismo e la sua sottomissione nei confronti dell’autorità.
Secondo Adorno, infatti, le personalità autoritarie si formano durante l’infanzia e l’adolescenza nei bambini che hanno sperimentato, durante la fase di socializzazione primaria, un’educazione troppo rigida e repressiva da parte dei genitori.
Lo sviluppo della personalità individuale, in questi casi, risente fortemente del clima rigido e troppo severo in cui sono immersi i più piccoli che, spinti dai genitori a conformarsi eccessivamente alle norme sociali, spostano la propria aggressività naturale dai caregivers su bersagli alternativi, come appunto le minoranze.
Il risultato finale sarà la nascita di una personalità contraddistinta da obbedienza ferrea e cieca alle figure autoritarie (simboleggiate nei genitori) e aggressività verso gli appartenenti ad altri gruppi ritenuti “inferiori”.
Altri grandi temi di ampia portata indagati dalla psicologia sociale sono l’origine del male e l’effetto Lucifero.
Troppo ingenuamente, infatti, si pensa al “Male” come qualcosa da contestualizzare solo in alcune persone e certi ambienti (i criminali e le periferie degradate delle grandi metropoli, ad esempio).
Il concetto dell'”eccezionalità del male” ci permette di vedere la cattiveria come qualcosa di profondamente lontano da noi e da delegare questo concetto alla natura luciferina di alcune persone, proiettando il male sugli altri, come ci hanno insegnato gli scritti di psicanalisi sui meccanismi di difesa dell’io.
Quasi tutti identificano il Male come qualcosa di intrinseco in alcune persone e non di altre.
Ma alcuni esperimenti di psicologia sociale hanno inesorabilmente smontato questa credenza errata data dal senso comune. Ricordiamo, ad esempio, l’esperimento carcerario di Stanford del 1971, ideato da un gruppo di psicologi guidati dal prof. Philip Zimbardo, che ha svelato quello che viene chiamato in psicologia e psichiatria l‘Effetto Lucifero.
Nella società odierna si tende a considerare i comportamenti delle persone come il risultato delle naturali disposizioni interiori (locus interno) delle stesse, trascurando la grande influenza del contesto sociale sui loro comportamenti.
Il prof. Philip Zimbardo, ispirandosi alla teoria della deindividuazione di Gustave Le Bon che ideava le folle come insieme di individui che sviluppavano tendenze antisociali e perdita l’identità personale, ha ricostruito un setting particolare nel seminterrato dell’Istituto di psicologia dell’Università di Stanford, a Palo Alto: un carcere.
L’esperimento consisteva in una simulazione di vita carceraria condotta su 24 volontari di cui la metà recitavano il ruolo dei prigionieri e la metà restante quello delle guardie, per un periodo atteso di 2 settimane. Zimbardo impersonava il ruolo di direttore del carcere.
I 24 volontari erano maschi, di ceto medio, scelti dopo averne testato la personalità al fine di selezionare individui tranquilli ed equilibrati.
Entrambi i gruppi sono stati obbligati a indossare divise e accessori che li ponevano in una condizione di deindividuazione per le guardie e deumanizzazione per i prigionieri (come divise numerate e catene alle caviglie per i prigionieri e manganelli e occhiali a specchio per le guardie).
I risultati furono disastrosi: dopo solo due giorni si sono verificati i primi episodi di violenza da parte delle guardie sui malcapitati prigionieri e dopo 5 giorni questi ultimi mostrarono sintomi evidenti di gravi problematiche psicologiche. Eppure le guardie continuarono a praticare comportamenti sadici nei loro confronti. Al sesto giorno Zimbardo decise di interrompere l’esperimento.
I risultati, insomma, furono sorprendenti: ci si aspettava un rifiuto netto da parte dei partecipanti all’esperimento di compiere azioni eticamente discutibili ma i risultati dimostrarono che chiunque, quando sottoposto all’autorità, può arrivare a compiere azioni di cui non si immaginerebbe mai capace. Si tratta dell’Effetto Lucifero.
Citando lo stesso Zimbardo:
“il male è l’esercizio del potere sugli altri in una situazione in cui non ci si sente responsabili delle proprie azioni”.
L’Effetto Lucifero può innescarsi nelle persone tendenti al conformismo che vivono in un sistema politico-economico fortemente ideologizzato.
Nella nostra selezione dei migliori libri di psicologia sociale troverete un importante scritto sull’argomento che indaga i diversi fattori che concorrono al manifestarsi dell’Effetto Lucifero nelle persone, ovvero la deindividuazione, la deumanizzazione, il conformismo, l’eterodirezione, l’obbedienza e la diffusione della responsabilità.
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