
Edito da Ebs Print nel 2019 • Pagine: 164 • Compra su Amazon
Evidenze scientifiche e linee guida pratiche per un efficace contrasto all'evento aggressivo, attraverso l'innovativa sinergia tra criminologia e scienze forensi.
Lo scopo di questo manuale è quello di apportare una metodologia scientificamente valida e condivisibile per fornire poi agli operatori della sanità una metodologia non solo teorica di comportamento, una preparazione all'evento aggressivo imprevisto ed imprevedibile senza tralasciare aspetti pratici con evidenze e metodi di difesa della propria persona.
Il progetto prevede un'iniziale sensibilizzazione rivolta agli operatori che potranno apprendere prima di ogni altro principio quali siano i comportamenti adeguati da non trascurare nei frequenti momenti di elevato stress professionale.

In un’epoca in cui la medicina grazie ad uno sviluppo tecnologico e scientifico attraversa un momento di straordinaria evoluzione in ogni sua branca oggi definibile super specialistica, si assiste ad un fenomeno inversamente proporzionale di “degrado” del rapporto medico paziente. Nel contesto particolare in cui consideriamo il rapporto medico paziente dobbiamo temporaneamente allontanare i principi medici ed etici che dominano il rispetto reciproco nei contesti clinici. Dobbiamo fare riferimento, in questo caso a quei principi sociologici che nella storia della medicina hanno sempre descritto il valore non solo professionale ma anche umano che ha portato alla figura medica come meritevole di un rispetto professionale ma anche riconosciuto nell’ambito sociale e territoriale in cui vive. La frenetica evoluzione favorevole di scienza e medicina hanno evidentemente portato ad una comune opinione di efficace ed infallibile attività diagnostica e terapeutica. Tale principio distante dalla realtà clinica probabilmente è una delle cause che porta a rendere come indiscutibile ogni prestazione medica in termini non solo di efficacia ma anche di rapidità. A volte il giustificato fallimento di tali aspettative associato ad un’ attività professionale che richiede tempi di attesa ed il rispetto di un’ adeguata farmaco economia risulta essere evidentemente un fattore scatenante non trascurabile. Solo successivamente entreremo nel dettaglio di quelli che si possono definire fattori endogeni ed esogeni incentivanti il comportamento violento, fattori fondamentali per uno studio adeguato di questi fenomeni. Le brevi premesse sopra citate sono quindi indispensabili per procedere ad una esposizione di quelle che sono le “predisposizioni” riscontrabili nei soggetti che risultano essere violenti anche nei confronti dei professionisti della sanità.
Nel pensiero comune il termine violenza viene associato ad un concetto più ampio di criminalità. Riprendendo il concetto di Well-Being: “ il violento è chi senza giustificato ed oggettivo motivo utilizza la forza in modo da limitare l’altrui qualità di vita “. Ovviamente con il termine forza può essere intesa qualsiasi natura della stessa, fisica, psicologica, indiretta e non per ultimo diretta. Da questa prima definizione risulta evidente che al concetto di violenza non si associa necessariamente l’essere criminale nel senso più scientifico del termine. Il coinvolgimento diretto in un contrasto fra le parti dove il soggetto violento assume un ruolo di difensore del più debole, malato o incapace rende spesso autogiustificante il comportamento aggressivo. Nella realtà nel giustificato motivo di un atto violento la legge non contempla la forza fisica. D’altra parte nella legittima difesa la forza fisica non può essere superiore a quella ricevuta o ricevibile. Spesso un atto violento diviene manifesto solo quando esiste una disparità tra le forze. Un esempio purtroppo frequente è l’utilizzo di spedizioni punitive nei confronti di sanitari. Spesso l’episodio violento è sostenuto da un ruolo di “giustiziere” come se la sede del contrasto tra il sanitario e la controparte avvenga in un contesto dove risulta assente il concetto di civiltà. Un soggetto è civile quando riconosce il valore assoluto delle leggi che regolano la società in cui vive. Il concetto descritto si riscontra in modo frequente e viene spesso dichiarato dal soggetto violento che in modo inadeguato arriva ad affermare o a far comprendere il concetto di “ istituzione” che non riesce a garantire. Sarà un’ esperienza percepita con frequenza da parte del professionista della sanità, percezione spesso vissuta con sensazione di inferiorità per incapacità nel colmare non tanto il rapporto interpersonale ma le eventuali carenze logistiche, di personale o ambientali.
Nelle definizioni puramente psichiatriche è possibile definire il comportamento aggressivo come mirato a scacciare, offendere, danneggiare, prevaricare, ferire o uccidere una persona (un animale o una cosa). Questa definizione di Scharfetter et All del 1980 risulta molto attuale se consideriamo la conflittualità di tipo esplosivo che spesso coinvolge il sanitario vittima di o degli aggressori inaspettati. Un’ attenta analisi anche criminodinamica quando è il caso, permette di identificare quelle che sono le emozioni d’accompagnamento alle fasi dell’aggressività: collera, paura, risentimento, rabbia sono tra le più frequenti. Nelle situazioni professionali che stiamo trattando l’aggressività è spesso reattiva, contro persone e cose proprio per i meccanismi di “innesco” dovuti ad un “doveroso conflitto in difesa di alcuni interessi”. L’esternazione dell’aggressività nel caso specifico è spesso attiva, fisica, consapevole e mirata. Risulta particolarmente interessante affrontare ed accennare la relazione tra psicopatologia ed evento aggressivo in quanto a differenza di quanto accade nella popolazione generale dove è rara la relazione tra attività violenta, crimine e psicopatologia, in questo caso tale relazione assume un valore maggiore.
L’operatore sanitario con maggiore frequenza si trova ad affrontare una situazione violenta esplicitata da un soggetto con psicopatologia nota; spesso si tratta di un soggetto privo di una presa a carico psichiatrica territoriale, sfuggito alle necessarie attività assistenziali e di sorveglianza indispensabili per la stabilità della psicopatologia.
L’ulteriore difficoltà è legata al fatto che il soggetto, Paziente o utente che si rivolge alla struttura sanitaria spesso non è noto e quindi potrà avvalersi dell’improvvisa aggressività ancor più efficace per il suo essere inaspettata. Il sanitario non è a conoscenza di dati o elementi anamnestici psichiatrici utili per una percezione del rischio personale. Bisogna comunque sottolineare che atteggiamenti minacciosi o violenti non hanno una relazione certa con una psicopatologia, tale affermazione non perde valore nemmeno nel contesto di assistenza sanitaria. Ancora una volta l’epidemiologia documentata e scientificamente validata potrebbe dare informazioni utili per uno studio di elementi sociali, ambientali e socio culturali che potrebbero essere considerati predisponenti all’aggressione.
Durante l’attività di continuità assistenziale, nei pronto soccorso, il 118 sono tutti luoghi o situazioni nei quali ci si confronta con soggetti anche emarginati, tale evidenza corrisponde a volte ad una psicopatologia in progressione. Una emarginazione determinata a volte da una assente istituzionalizzazione ha portato inevitabilmente ad una maggiore esposizione al contrasto violento e aggressivo. Non possiamo non ricordare fin d’ora che l’assunzione di sostanze stupefacenti e alcol sono un ulteriore fattore di rischio non sottovalutabile. Non stupisce se giovani in condizioni sociali adeguate e senza alcuna storia di patologia psichiatrica giungono per la prima volta al pronto soccorso o in continuità assistenziale ed hanno un atteggiamento aggressivo violento, unico, improvviso “esplosivo” in termini di aggressività ricca di forza auto ed eterolesionistica.
Situazioni sempre più frequenti sono anche dovute spesso all’utilizzo, a volte inconsapevole di sostanze stupefacenti di nuova sintetizzazione somministrate con inganno in associazione ad alcolici. Gli aspetti sociali risultano quindi particolarmente influenti sotto diversi punti di vista; importanti sono inoltre le ricerche dal punto di vista clinico rivolte alla comprensione quando possibile di una relazione tra vissuti emozionali e comportamenti aggressivi e violenti. Non per ultimo entrano in gioco competenze medico legali e criminologiche necessarie per discriminare aggressioni con caratteristiche patologiche o dinamiche criminali con evidenze complesse da discriminare tra patologia e normalità. Parlare di fattori predittivi di rischio aggressività in psichiatria è un argomento ormai ampiamente codificato, psicosi, comportamenti maniacali, disturbi di personalità sono tra le classificazioni più comuni.
Tali principi in una visione criminologica subiscono delle variazioni e modifiche determinate da considerazioni estranee alla psicopatologia ma ricche di informazioni anamnestiche sul vissuto criminale, comportamento sociale, scolastico, professionale e molte altre notizie a volte apparentemente di scarso significato. Le storie personali di pregressi abusi fisici, violenza in famiglia e non per ultimo la presenza di patologie organiche. La guida pericolosa, il danneggiamento di oggetti, comportamenti sessuali inadeguati, la familiarità criminale sono alcuni tra gli elementi che forniscono maggiori informazioni utili per una adeguata risposta in termini a volte anche peritali. Solo la sinergia tra le differenti discipline risulterà efficace nel definire un quadro preciso sia della personalità che della eventuale criminodinamica.
La descrizione del così detto ciclo dell’aggressione, presenta caratteristiche interessanti sia dal punto di vista psichiatrico che criminalistico.
L’identificazione di una prima fase definita di “Trigger”, la successiva escalation, poi la vera e propria crisi e successivamente la depressione postcritica sono fondamentali per esempio nel poter proporre un protocollo comportamentale adeguato ed efficace in caso di contrasto aggressivo e violento. Senza tali elementi anche clinici non risulterebbe possibile in alcun modo poter fornire linee guida e protocolli efficaci.
Poter identificare fattori percepiti come una provocazione e demolirli per quanto possibile, oppure ridurre la percezione di assenza di alternative adeguate sono elementi fondamentali anche solo allo scopo di prolungare i tempi di reazione del soggetto violento cosi da poter sperare nel supporto di professionisti della sicurezza giunti in aiuto. Da questo primo esempio è possibile comprendere l’importanza d’interazioni interdisciplinari indispensabili per studiare e comprendere la dinamica dell’atto aggressivo. Messaggi chiari non verbali, ben visibili osservando l’aggressore, se non conosciuti potrebbero essere sottovalutati incrementando così il rischio personale dell’operatore sanitario. Lo sguardo a palpebre serrate con caratteristiche minacciose, attivazione della muscolatura temporo mandibolare, chiusura dei pugni sono solo alcuni esempi.
Messaggi verbali intesi come incremento costante (non alternato) di verbalizzazione con toni molto elevati a volte con il contestuale avvicinarsi “faccia a faccia”. Sarà poi nella vera e propria fase più critica quando verrà perduta la possibilità di una risposta razionale che prenderà valore la possibilità di attuare poche ma adeguate ed efficaci prese o leve atte per quanto possibile esclusivamente alla propria difesa e alla tutela del soggetto violento.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di questo libro nasce dall’incremento costante di una casistica violenta che coinvolge ogni professione sanitaria e ogni contesto di lavoro di tipo assistenziale. Frutto di un’attività sperimentale eseguita sul territorio lombardo dove si sono svolti i primi corsi di sensibilizzazione, contrasto e formazione operativa comprendendo alcuni brevi concetti di difesa personale. L’attività ha richiesto il lavoro sinergico di due figure professionali: il criminologo e il professionista ad alta specializzazione in contrasto e difesa personale.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
L’impegno scientifico è risultato essere particolarmente intenso per la scarsa presenza di protocolli scientifici validati e per una difficile raccolta epidemiologica degli eventi violenti spesso non ufficialmente identificati.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Dal punto di vista scientifico i riferimenti sono certamente prevalenti in ambito accademico con particolare riferimento a tutte le scienze criminologiche e forensi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo tra Italia e Svizzera e la mia attività professionale di ricerca viene svolta principalmente nelle aree geografiche che ho indicato. L’attività peritale, contrasto e sensibilizzazione viene svolta in territorio europeo con particolare attenzione al territorio nazionale italiano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Proseguire con pubblicazioni scientifiche relative agli argomenti di criminologia, criminalistica e neuroscienze forensi.
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