Edito da NUOVAPRHOMOS nel 2019 • Pagine: 182 • Compra su Amazon
Quando inizi a correre, non sai in che direzione la Strada ti porterà, se è solo un passatempo passeggero, o se e quanto, essa si spingerà all’interno di te, anche in maniera appassionatamente intensa. Nel mio caso, si è trattato della seconda ipotesi.
Ho cercato di raccontare a modo mio, dal punto di vista di un corridore che non vincerà mai una gara, perché, più o meno tutte le domeniche devo mettermi un numero addosso e correre con altri compagni di strada.
Tanti Lucky loser, perdenti fortunati (nel tennis, il lucky loser è un giocatore che, eliminato dal tabellone di un torneo, rientra in gioco per il ritiro di un altro tennista), non è la stessa cosa, ma suona bene e rende l’idea.
Siamo perdenti (la stragrande maggioranza) ma fortunati insomma, viaggiatori erranti in cammino verso una terra che non raggiungeremo mai, pendolari della fatica, apparentemente immobili ma in eterno movimento, verso un orizzonte che mano a mano che avanziamo arretra, come l’utopia di Galeano, ma a questo serve, ad andareavanti, godendo più possibile del viaggio.Ho suddiviso l’insieme in 42 capitoli, più gli 0,195 metri finali che qua sono i ringraziamenti, ah, ci sono anche il riscaldamento e il prologo:
Non esiste, non può esistere una successione logica degli eventi nelle passioni, in ogni sorta d’amore. Riecheggiano assiduamente, insistentemente, le circostanze migliori. Ne avvertiamo la presenza ovunque; libri, film, canzoni e perché no, nelle opere d’arte.
Anche se parlano di tutt’altro, il nostro essere sempre, di continuo, proiettati lì, trasfigura quel tutt’altro in un altro tutto.
Questo atto d’amore disorganizzato verso la Corsa, è per questo pieno di riferimenti o citazioni più o meno evidenti, anche inconsapevoli, perché alla fine siamo ciò che ci ha segnato di più. Consistiamo anche delle cose che abbiamo raccolto e messo da parte lungo la Strada. Link come punti di riferimento, e rifornimento, che ci tornano utili nelle giornate in salita, o su noiosi rettilinei.
Non ho mai corso per vincere, perché basta essere sufficientemente realisti e ammettere a noi stessi che non siamo nati cavalli di razza. Preso atto di questa oggettività molto presto, mi sono occupato più del piacere di correre che della fatica, che comunque esiste, e alle volte non è poca.
Ho messo a disposizione molte volte fiato e gambe per altre persone, ed è molto diverso che correre per se stessi, emotivamente e fisicamente. Hai una responsabilità, e a volte devi fingere di star bene anche quando non sei al meglio. Stare concentrato per prendere ristori, indicare la traiettoria più corta possibile allungando un attimo per portarsi avanti, oltre che lasciare una discreta riserva d’aria dentro i polmoni per incitare o distrarre il compagno dalla fatica. Ma ho ricevuto anche qualche soddisfazione personale.
Se non possiamo arrivare primi, possiamo sempre battere il nostro io di ieri e gratificarci per un personale su una mezza o una maratona, è il nostro modo per misuraci, e non è sempre una questione di tempi, è anche quello che resta, perché qualcosa rimane tutte le volte. Primo, ultimo, nel mezzo, non è importante quando le ragioni per cui si corre sono legate ad altro.
E appurato che non potevo, e non potrò vincere mai, ho tentato almeno due volte ad arrivare ultimo, ad essere Lanterne Rouge, come si chiama l’ultimo al Tour de France, indicando la luce rossa che segnala la fine di un convoglio, e in un’occasione, nel 2011, per poco non ci sono riuscito, anzi sono stato ultimo uomo, non sapevo avessi dietro una ragazza a 4’. Qualsiasi podista attraversa fasi o cicli, semplificando potrebbero essere quelli in cui ci si dedica ad inseguire prestazioni, tempi o classifiche, o quelli in cui “basta” correre, cercando altro, e molto spesso quell’altro significa noi stessi. Possiamo farlo anche in gare che in un’altra stagione della vita percorrevamo in maniera diversa, per capire cosa ci resta del correre dopo tanto tempo, e sotto le impronte dei passi falsi.
Ed è anche per questo che torno a correre una 42 km dopo 5 anni, la stessa in cui feci il personale sulla distanza, ma stavolta sono un poco più grande e molto meno allenato, però son quelle cose che senti di fare, e se lo senti, non devi pensarci troppo, vuol dire che stavolta il motore sarà il cuore. Mi iscrivo il mese prima, e in quello che manca riesco a correre poco, per via del lavoro e impegni assortiti, ma non ho tensione per questo, la vivo come un lungo, che per vari motivi in questo periodo non riesco a fare da solo, e penso che sarà meglio farlo in compagnia e con dei ristori ben fatti.
La mattina prima del via se corro un po’ è per riscaldamento, nel senso letterale del termine, è che è proprio freddo e stare immobili è difficile, intanto continuo a non avere alcun tipo di preoccupazione. Giusto a volte, qualche pensiero sull’immagazzinare sensazioni e suggestioni che potrebbero finire in certe pagine che sto scrivendo. La partenza sarebbe alle nove e mezza, ma bisogna aspettare che passi il pullman di linea delle 9 e 32 per non darsi noie a vicenda. Eccolo, è sempre una questione di tempo, di tempi giusti.
Finalmente mi rendo conto che sto partire per una maratona, do uno sguardo in giro ai miei compagni, gente che la mattina del 31 dicembre, non ha meglio da fare che correre qua, che, con tutto il rispetto, non è una gara che scegli propriamente per il paesaggio, ma come insegna Melville: La passione, anche quella più profonda, non richiede un palcoscenico grandioso per recitare la sua parte. E faccio caso, che son pochi i corridori abbigliati in maniera esageratamente tecnica come va adesso, molti sembrano gente uscita così per una corsetta al parco, con divise palesemente provenienti da altre stagioni podistiche, magari prestate da un amico che corre, quelle che non mette più perché la società ne ha rifatte di nuove. Invece son tutti vecchi draghi della strada, lo senti dal numero incredibile di maratone che hanno sul groppone nei discorsi prima del via. Tre indizi fanno una prova si dice no?
E questo dettaglio, sommato al poco invitante sfondo da ripetere otto volte (è una maratona a circuito), e al fatto che sia l’ultimo giorno dell’anno, è la prova che è una gara dove sale in superficie la sostanza della corsa, dove sei vicino al cuore della sua essenza, e quindi, è il posto dove mi sento più me stesso. E allora capisco che in qualche modo arriverò in fondo, anche se la corsa più lunga di questo ultimo anno è stata una mezza.
Avanzerò in stile jazz, genere nato come “Work Song”, ovvero musica cantata durante il lavoro nelle piantagioni di cotone, o nel corso di costruzioni ferroviarie o stradali, da parte di manodopera più simile a schiavi che a operai, per modulare e coordinare le fasi lavorative. In fondo gli elementi principali di questo genere sono ritmo e improvvisazione, e io ho poco altro di cui disporre. Vado tranquillo a sensazione, guardando l’orologio più per abitudine che per altro, al decimo chilometro vengo pian piano raggiunto da un ragazzo con il quale farò due giri, si chiama Alessandro, e iniziamo a raccontarci esperienze podistiche, come sempre accade in questi casi. Vuole stare sotto le quattro ore, e dalle classifiche finali vedrò che c’è riuscito, sono contento per lui ma non potrò fargli i complimenti di persona, perché non ho avuto occasione di rivederlo.
Alla mezza entrano in pista, anzi rientrano perché avevano corso la 21, Paola e Giulia la mia compagna, e si fa un giro insieme, mi raccontano i loro tempi e la loro gara, per qualche attimo mi maledico per non aver scelto la mezza, a quest’ora sarebbe tutto finito, ma non è per questo che sono venuto, quindi cancello questo pensiero e proseguo. Al giro successivo incontro Enzo, con il quale, tra sorpassi e controsorpassi, faccio altri due giri, con il consueto scambio di esperienze di gare e luoghi, tra l’altro a occhio e croce ha venti anni più di me, ma mi sta tranquillamente staccando nell’ultima delle nostre fasi di questa altalenante compagnia. Lo saluto augurandogli un buon proseguire, e al contrario di Alessandro, lo rivedo a fine gara, salutandolo e complimentandomi ancora.
Intanto mi accorgo che sono stato raramente da solo, ma anche che sono quasi alla fine del sesto giro, e l’illusione ottica di questa gara, come sempre, mi fa vedere che mancano “solo” due giri, e non “ben” dieci km. Può apparire una logica insensata vederla così, ma nella maratona, una disciplina nella quale una cosa vera può diventare falsa nel giro di pochi minuti e viceversa, non c’è niente di assurdo, è tutto coerente con la sua contraddittoria natura.Poco prima di entrare nel sottopassaggio, unico dislivello rilevante in questo tracciato, mi affianco al gruppetto di quattro persone con il quale concluderò la gara. Sono messi più o meno come me, alternano fasi di corsa a cammino, ed è la compagnia migliore che potessi trovare a questo punto della gara.
Il clima è spensierato, e mi trovo bene da subito, Luca è evidentemente quello con più esperienza di tutti, Diego un ragazzone che devo guardare dal basso, eppure sono 1,83, non uno stangone ma neanche piccolo piccolo, viene da Pistoia come Luca. Simona e Alessandro invece sono delle vicinanze, emiliani. Non so a che punto della gara si sia composto questo gruppetto, ma sembrano lì da sempre, messi apposta per me da un destino benevolo. Stabiliamo piccoli obiettivi da raggiungere di corsa, il palo, lo stop, il sottopassaggio. Tanti traguardi intermedi ai quali ci premiamo con una breve camminata per riprenderci e ricompattarci, e sono sempre io quello che resta indietro di qualche metro, però vedo che con la coda dell’occhio mi cercano e mi aspettano volentieri, e allora mi impegno di più per non farli aspettare troppo.
Entriamo nell’ultimo giro, con lo stesso copione, è uno dei momenti in cui ognuno inizia a fare i conti con se stesso, e probabilmente io sono quello a cui tornano di meno, sono infatti regolarmente la lanterne rouge che chiude questo convoglio, e vorrei spingere di più per non frenare i miei compagni, dico loro di proseguire, mi sento un pezzo di carne maciullata come Mickey Rourke in The wrestler*. Non se ne parla neanche, si arriva tutti insieme, dicono in coro. Il piacere di questo conforto allevia i dolori di articolazioni non più abituate a tutta questa strada, ma passo dopo passo ecco che siamo ad abbracciarci sotto lo striscione dell’arrivo, a batterci il cinque come tornati da chissà dove.
Non ci conoscevamo prima, non so se ci rivedremo ancora, ma per alcuni momenti abbiamo percorso un tratto insieme delle nostre personali mappe, una casuale e temporanea unione, una solidale unità.
Come è nata l’idea di questo libro?
Da una decina d’anni ho scoperto la passione per la scrittura, ho scritto cose prima per me, per ricordare principalmente le gare a cui amatorialmente prendevo parte, perchè sentivo che c’era qualcosa, non volevo andasse perso. Ho iniziato con un blog, e alla fine ho deciso di raccogliere, ampliando, tutto in un volume.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Mi sono concentrato nell’ultimo anno a selezionare, riscrivere e approfondire le tematiche, difficile ma piacevole, come certe corse.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Adoro la scrittura di J.R. Moheringher e i modi all’apparenza sgangherati, ma molto profondi, inarrivabili, di Andrea Pazienza nel raccontare storie e vita tramite la sua arte, ma anche narrativamente.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Città di Castello, in provincia di Perugia, ho sempre vissuto qua, corro insomma, ma poi torno a casa.
Dal punto di vista letterario quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho in mente una raccolta di personaggi reali, sportivi e non, raccontati dal mio punto di vista.
Non corro e mi sento male solo a pensarci. Ho però coperto il libro incuriosita dal titolo.
Si legge tutto di un fiato. Più che un libro sull corsa è ibro di emozioni e sentimenti. Mi è eramnte piaciuto.
Questo libro è bellissimo, mentre lo leggi sembra di stare lì, dentro la sua mente, a correre con lui e allora vedi quella scena che descrive, senti la musica che l’accompagna, provi quell’emozione che sta vivendo. Perché quando si corre ti passano per la testa mille pensieri, mille note musicali solo apparentemente slegati fra loro ma invece accomunati dall’essere molto vicini alla nostra essenza più profonda.